Crisi ucraina: scende in campo la Cina
Venerdì 24 febbraio, a un anno esatto dall’inizio della guerra russo-ucraina, il Ministero degli Esteri di Pechino ha diffuso un documento contenente la “Posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi Ucraina”. Composto da 12 punti, il paper mira a proporre la Repubblica Popolare Cinese come possibile mediatrice tra le parti in conflitto e, parallelamente, a rafforzare l’immagine del Paese nell’arena internazionale.
Il documento si apre con un richiamo al rispetto della sovranità nazionale e all’integrità territoriale, in linea con quanto previsto dalla Carta delle Nazioni Unite (ONU). Tale posizione riflette principi cari a Pechino e sottolinea, come già evidenziato al vertice della Shanghai Cooperation Organization dello scorso settembre, il disallineamento con Mosca rispetto ai referendum sull’annessione delle regioni occupate. Inoltre, il richiamo alla Carta dell’ONU appare come una sorta di sfida agli Stati Uniti poiché sul tavolo la questione più ampia della credibilità e della leadership globale. Non a caso, il documento menziona anche la necessità di “abbandonare la mentalità da Guerra Fredda”, poco funzionale in questa fase ai progetti di ridefinizione della distribuzione del potere nel sistema internazionale perseguiti dalla leadership cinese.
Successivamente, la Cina sottolinea l’importanza della stabilità delle “industrial and supply chain” e invita a limitare l’utilizzo dell’economia come strumento utile a favorire determinati scopi politici. Con questo richiamo, Pechino sottolinea il timore per l’impatto che una guerra tanto prolungata produce sull’economia nazionale e globale. Il conflitto, infatti, ha contribuito a minare la ripresa economica cinese già rallentata dalla pandemia e dalle rigide politiche di gestione della crisi sanitaria. Secondo i dati della Banca Mondiale, nel 2022 la crescita del PIL cinese si è fermata attorno al 3%, ben al di sotto dell’obiettivo previsto del 5.5%. In questo quadro, Pechino vorrebbe limitare i danni ed evitare che il conflitto impatti sulla crescita anche nel 2023. Allo stesso tempo, tale posizione serve a Pechino per denunciare il processo di parziale decoupling in corso in parte dei Paesi del blocco euro-atlantico che indebolisce la proiezione economica cinese all’estero.
Nel complesso, i dodici punti rappresentano una serie di principi e linee guida su cui strutturare una possibile risoluzione del conflitto piuttosto che un articolato e concreto piano di pace. Nel documento, infatti, non vengono menzionate le azioni da compiere in direzione del cessate il fuoco, così come vengono sostanzialmente trascurate le condizioni fondamentali che Kiev ha chiesto per sedersi ai negoziati, quali il ritiro delle truppe russe e filorusse da Donbass e Crimea. Complessivamente si tratta di 12 punti che ricalcano quanto espresso nella Global Security Initiative, formalizzata dalla Cina il 21 febbraio scorso con l’obiettivo di ribadire i principi generali che muovono l’azione esterna cinese. Tra questi, spicca il richiamo alla cooperazione, l’importanza dell’integrità territoriale e il rispetto del diritto internazionale. Principi che, come affermato anche nei dodici punti, hanno lo scopo di e proporre Pechino come un leader credibile dal punto di vista diplomatico e di sicurezza globale, ma soprattutto di promuovere un nuovo ordine multilaterale in aperta contrapposizione a quello attuale, percepito come a guida statunitense.