Il nuovo peso strategico del Giappone
Asia e Pacifico

Il nuovo peso strategico del Giappone

Di Andrea Falconi
21.07.2011

L’assunzione da parte del Giappone di un ruolo strategico sempre maggiore nel Pacifico si colloca nell’ambito della politica di delega di responsabilità da parte degli Stati Uniti verso i propri alleati regionali, funzionale al contenimento delle potenziali minacce allo statu quo dell’area. L’espansionismo economico cinese, a cui fa seguito una forte ascesa dell’influenza del dragone asiatico nel Pacifico Occidentale e nel Mare Cinese Meridionale per il controllo delle proprie vie di approvvigionamento, sta portando ad una sempre maggiore militarizzazione dei paesi dell’area, quali il Vietnam, Taiwan, Singapore, la Corea del Sud, la Malesia, la Thailandia. La proliferazione nucleare ed il programma missilistico della Corea del Nord, inoltre, aggiungono un ulteriore tassello alla necessità statunitense di mantenere un controllo serrato delle possibili derive conflittuali delle relazioni tra i paesi dell’area.

Il Giappone, per la sua storia, la posizione geografica ed il grado di sviluppo ha sempre rappresentato il candidato ideale per una partnership strategica con gli Stati Uniti, soprattutto nel settore marittimo, come l’India lo è nello scacchiere dell’Asia meridionale e dell’Oceano Indiano.

Negli ultimi anni si è assistito quindi ad una progressiva assunzione di responsabilità in campo militare da parte del Giappone, ed al parziale superamento dell’ottica di non belligeranza imposta al paese dopo il secondo conflitto mondiale. Nonostante le limitazioni contenute nella stessa Costituzione giapponese all’espansionismo militare, infatti, il Giappone ha perseguito negli anni uno sviluppo navale costante, arrivando a dotarsi della seconda marina militare mondiale dopo quella statunitense. Il governo di Tokio sta portando avanti intese militari con diversi paesi dell’area, utili ai fini di effettuare esercitazioni nel Mare Cinese Meridionale, al centro di varie dispute tra la Cina ed i paesi limitrofi. Agli inizi di luglio 2011, ad esempio, è stata portata avanti la prima esercitazione congiunta con Stati Uniti ed Australia al largo delle coste del Brunei, alla quale il Giappone ha partecipato con l’invio del cacciatorpediniere Shimakaze della classe Hatakaze.

Il Paese del Sol Levante, inoltre, partecipa a missioni di pattugliamento in aree anche molto distanti dalla zona economica esclusiva nipponica, come ad esempio quella nel golfo di Aden. L’invio di 16 cacciatorpedineri delle classi Asagiri, Murasame e Takanami al largo delle coste della Somalia a sostegno della coalizione internazionale nella lotta contro la pirateria, e l’apertura di una base militare a Gibuti – la prima base extraterritoriale aperta dal Giappone dal secondo dopoguerra ad oggi – testimoniano il superamento pragmatico dei limiti legali che tutt’ora impongo al paese lo sviluppo di una capacità militare solamente in chiave difensiva. La scelta di inviare delle truppe è stata giustificata con il fatto che la pirateria somala rappresenta un pericolo per le numerose imbarcazioni commerciali nipponiche che transitano ogni giorno nello stretto, e dunque costituisce una minaccia agli interessi diretti del Paese.

Dal 2007 il Giappone ha deciso di dotarsi di un vero e proprio Ministero della Difesa in luogo della precedente Agenzia per la Difesa, a cui assegnare quindi maggiori capacità esecutive, quale quella di assumere poteri esclusivi in caso di emergenza militare.

La legittimazione internazionale del nuovo Ministero giapponese si è palesata nel summit del novembre del 2009 a Washington, a cui hanno partecipato i Ministri degli Esteri e della Difesa giapponesi, il Segretario di Stato americano Hillary Clinton e quello della Difesa, Robert Gates. In tale consesso le tematiche trattate sono state proprio quelle della sicurezza dell’area e della reciproca assistenza tecnica nel campo della difesa anti missilistica, necessaria al contenimento della minaccia nordcoreana.

Da un punto di vista operativo, le forze militari giapponesi - significativamente definite dalla Costituzione “Jieitai”, forze di autodifesa - rappresentano nello scenario militare mondiale una sorta di tigre dormiente, considerate le notevoli dimensioni della Marina, dotata di ben 110 navi di varie classi, dell’Aviazione, dotata di 805 aerei, tra cui 374 caccia, e - in misura minore, per ovvi motivi - dell’Esercito. La stretta collaborazione con gli Stati Uniti, unita alla tradizionale propensione del sistema industriale giapponese verso l’innovazione tecnologica, è valsa al paese un ruolo di partnership sempre maggiore nel campo delle migliorie tecniche del settore militare.

Già dagli anni ’70 il Giappone ha potuto dotarsi di un proprio modello di F-15, denominato F-15J, con un innovativo sistema di attacco a terra ed un sistema radio di fabbricazione interamente giapponese, ed ha sviluppato una propria versione del F-16 Flight Falcon, il caccia multiruolo Mitsubishi F-2.

Bisogna rimarcare inoltre come le stesse limitazioni imposte dalla Costituzione abbiano rappresentato un’importante opportunità di specializzazione per le forze armate giapponesi, che hanno potuto concentrare i loro sforzi nel campo del supporto logistico e dell’assistenza tecnica. Nel 2004 l’invio in Iraq di personale tecnico specializzato in assistenza umanitaria, ricostruzione e supporto logistico alle truppe di terra della coalizione rispose proprio a questa logica di compromesso tra le limitazioni imposte dalla Costituzione, e di riflesso dall’opinione pubblica, e l’assunzione di un ruolo geostrategico di ampio respiro.

La stessa propensione settoriale si riscontra nella tipologia delle forze navali, specializzate in compiti di monitoraggio, assistenza tecnica e sminamento, tanto che la flotta giapponese è composta in gran parte da cacciatorpedinieri di scorta, unità d’appoggio e navi mine-hunter preposte alla localizzazione ed alla distruzione di mine navali.

Il nodo cruciale riguarda quindi il definitivo avallo legale alla proiezione di potenza giapponese in contesti lontani da quello del Pacifico Occidentale, che permetterebbe l’assunzione di responsabilità più impegnative, e quindi più decisive, in vari contesti critici mondiali, come il golfo di Aden ed il Mare Cinese Meridionale. In questo senso si ravvisa l’assenza di vere e proprie portaerei tra le unità della Marina giapponese, nonostante la presenza di due imbarcazioni che ne posseggono tutte le caratteristiche - 20’000 tonnellate di dislocamento e 197 metri di lunghezza, con ponte di lancio utile al decollo di aerei a decollo corto o verticale come il Lockheed Martin F-35 - ma che vengono classificate dal Giappone come Cacciatorpedinieri portaelicotteri.

In definitiva, la specializzazione nel campo tecnologico e di supporto logistico, la tradizionale propensione marina dell’arcipelago giapponese e la rivalità storica con la Cina possono rappresentare il vantaggio comparato del Giappone nella definizione dei nuovi equilibri del Pacifico. I limiti autoimposti dal sistema legale vigente nel paese, la crisi economica dovuta ai disastri naturali dell’ultimo anno, e i sospetti degli statunitensi a militarizzare eccessivamente l’antico nemico, dotandolo ad esempio del nuovo F-22 Raptor per la superiorità aerea, possono costituire invece un ostacolo alla definitiva presa di coscienza del paese del Sol Levante riguardo al proprio ruolo di grande potenza economica e militare mondiale.

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