L’evoluzione dello strumento terrestre italiano: nuove dismissioni e possibilità di export
Difesa e Sicurezza

L’evoluzione dello strumento terrestre italiano: nuove dismissioni e possibilità di export

Di Michele Taufer
29.03.2015

Sono passati circa 25 anni dalla fine della Guerra Fredda e i mutamenti dello scenario globale nel quale sono chiamate ad operare le nostre Forze Armate hanno imposto radicali cambiamenti nell’approccio alle nuove sfide. Il potere a livello globale ha infatti assunto saldamente una forma multipolare, uno scenario caratterizzato sempre più dall’acquisita capacità da parte di attori non statali di impiegare e perpetrare su vasta scala quella violenza politica che prima era monopolio dello Stato. Capacità rese possibili dalla capillare diffusione e della relativa facilità d’accesso a tecnologie disgreganti quali rapida diffusione del know-how militare, armi di precisione e telecomunicazioni; peculiarità che sommate all’elevata urbanizzazione/progressiva litoralizzazione delle popolazioni mondiali hanno influito sui requisiti dei mezzi militari: in primis quelli terrestri. Parallelamente si è poi assistito ad un continuo trend al ribasso per quanto concerne le risorse economiche da destinare al comparto Difesa. Tutti questi elementi hanno spinto verso la ricerca di una sempre maggiore flessibilità ed adattabilità necessarie a poter spaziare da missioni tipicamente WAR fino a giungere a quelle del tipo PSO e Constabulary.

Nel 1990 le Forze Armate italiane potevano contare su di uno strumento militare di oltre 300,000 uomini la cui maggior parte era però costituita da personale di leva. Una difesa il cui compito primario era quello di dover sostenere uno scontro convenzionale ad alta intensità con i Paesi membri del Patto di Varsavia all’interno dei compiti previsti in ambito NATO. La componente terrestre era la più rilevante in termini numerici ed allineava centinaia tra APC, carri, mezzi logistici, semoventi e pezzi d’artiglieria. L’introduzione di nuovi concetti operativi per far fronte alle nuove sfide ha però reso via via sempre più obsoleti parte di questi mezzi, alcuni dei quali anche di recente introduzione. I due cardini di queste rivoluzioni dottrinali sono rappresentati dai concetti di EBO (Effects Based Operations) ed Expeditionary Warfare. Con il primo s’intendono operazioni che puntano ad ottenere il risultato desiderato attraverso l’applicazione sinergica, contemporanea e cumulativa di tutte le capacità disponibili, anche non militari spaziando quindi dal livello tattico a quello strategico. L’acquisizione di una capacità Netcentrica, ovvero di essere interconnessi l’un l’altro risulta essere il fattore abilitante di questo pensiero. Il secondo consiste nella capacità di proiettare unità anche a grande distanza riuscendo poi a sostenerle in teatro fornendo loro tutto il relativo supporto necessario: caratteristiche queste da sempre associate alle forze anfibie ma che ora rappresentano sempre più un requisito diffuso per l’intero strumento militare. Versatilità e proiettabilità sono quindi caratteristiche salienti degli strumenti militari occidentali a cui si aggiunge il privilegio del paradigma qualitativo su quello quantitativo: particolarità dovuta anche dall’aumento dei costi per acquisto e mantenimento dei mezzi e degli equipaggiamenti visto l’altissimo contenuto tecnologico. L’Italia si è quindi adeguata all’evolversi degli scenari esposti dapprima con l’introduzione del “Modello 190,000” e successivamente con la “Riforma Di Paola”: la quale prevede un compartimento terrestre limitato a 89,400 tra uomini e donne, traguardo da raggiungere entro il 2024. Perno del “nuovo” Esercito Italiano saranno 9 Brigate Pluriarma Multifunzione di Manovra potenziate da nuove capacità esploranti, logistiche, di artiglieria e del genio. La componente pesante sarà incentrata su 200 ARIETE e 150 DARDO sugli MLRS ammodernati e su 70 PZH-2000. Circa 500 8X8 VBM FRECCIA dovrebbero costituire l’ossatura delle forze medie affiancati dalla nuova blindo 8x8 CENTAURO 2 di cui l’Esercito Italiano ha indicato un’esigenza per circa 150 mezzi, mentre sono previste anche riduzioni/ammodernamenti per la componente d’artiglieria trainata così come l’introduzione di nuovi mezzi per l’Arma del Genio e per la mobilità tattica.

Tutto ciò ha però comportato la dismissione di un rilevante numero di mezzi: non più quindi ottimali per le moderne Forze Armate nazionali ma che possono ancora trovare impiego tra le fila degli apparati militari di Paesi in cui l’evoluzione tecnologica non è ancora così spinta o che magari richiedono un potenziamento dei propri ranghi.

In Italia la materia dell’export militare è regolamentata dalla Legge 185/190. Oggetto della disciplina legislativa sono i “materiali d’armamento” definiti come: “materiali che, per requisiti o per caratteristiche tecnico-costruttive e di progettazione, sono tali da considerarsi costruiti per un prevalente uso militare o di corpi armati o di polizia”. Un commercio che deve seguire le linee della politica estera e di difesa italiane e soprattutto essere conforme ai principi costituzionali. In particolare non vi devono essere cessioni di armamenti o di licenze di produzione che possano arrivare a ledere i fondamentali interessi di sicurezza dello Stato, del principio delle buone relazioni con gli altri Paesi oppure, oggigiorno più che mai rilevante, della lotta al terrorismo.

Vediamo ora di esplorare in maniera più dettagliata le possibilità d’export riguardanti i mezzi terrestri delle nostre Forze Armate:

PUMA – Possiamo intendere la blindo PUMA come la vittima più emblematica della rapidità dei mutamenti imposti dallo scenario globale. Immessa in servizio da soli 10 anni si è dimostrata troppo vulnerabile alle minacce IED: il mezzo risulterebbe, infatti, più idoneo a condurre operazioni belliche di tipo tradizionale in campo aperto. Un numero preventivato di 560 esemplari dovrebbe essere stato consegnato ai reparti (nella variante 6x6 per le forze leggere e 4x4 per i Reggimenti di Cavalleria). Centinaia sarebbero disponibili per essere vendute: alcuni esemplari sono stati consegnati al Governo libico, mentre 3 hanno raggiunto le fila di quello Gibutiano. Un’interessante prospettiva potrebbe essere quella di “girare” alcuni esemplari alle nostre Forze dell’Ordine qualora in futuro venisse deciso di blindare maggiormente il parco mezzi a loro disposizione in un’ottica di possibile “forza di reazione rapida” nei confronti di attacchi simili a quelli occorsi a Parigi lo scorso gennaio.

LEOPARD 1A5 – Poco più di 100 esemplari che prima erano posti in riserva potranno ora essere venduti. Un possibile acquirente potrebbe essere l’Esercito Brasiliano: la variante A5 risulta, infatti, già essere in uso con le Forze Armate del Paese Sud Americano e l’Italia vanta buoni rapporti in tema di cooperazione industriale/militare con Brasilia.

B1 CENTAURO – Circa 150 esemplari di quest’autoblindo caccia-carri verranno radiati: da sempre la Giordania vorrebbe questi mezzi vista anche la situazione ai confini con Siria e Iraq. Potrebbe quindi concretizzarsi la vendita di una quarantina di blindo, a titolo quasi completamente gratuito però viste le ristrettezze di bilancio di Amman. Concreto interesse vi sarebbe anche da parte di Senegal, Pakistan, Colombia e Paraguay.

M-113/VCC-1 - Centinaia di questi APC potrebbero trovare acquirenti nel mondo vista l’enorme diffusione di questo modello. Alcune centinaia dovrebbero essere già state cedute al Pakistan e anche qualche interesse sarebbe stato manifestato dalla Giordania.

M-109L – Questi obici semoventi sono stati consegnati a suo tempo in 221 esemplari: al momento 10 sono stati consegnati all’Esercito di Gibuti. Altri Stati, già utilizzatori di questo mezzo in versioni similari e che potrebbero quindi risultare interessati dalle dismissioni italiane sono: Brasile, Pakistan, Giordania, Cile, Perù ed Oman.

FH-70 – Circa un’ottantina di esemplari di quest’obice trainato da 155 mm si renderanno disponibili e potrebbero interessare Paesi già utilizzatori di questo modello quali: Giappone, Arabia Saudita, Oman e Malesia.

Una disponibilità quindi, come si può vedere, rilevante sia dal punto di vista quantitativo che soprattutto qualitativo.

In conclusione, possiamo inoltre affermare che anche il nostro Paese, al pari delle altre Nazioni europee, ha iniziato a vedere le dismissioni dei vari sistemi d’arma come un’ulteriore risorsa di politica estera per la costruzione di un comune quadro di sicurezza internazionale. E’, infatti, sotto gli occhi di tutti come la mancanza di strumenti militari adeguati, sia uno dei motivi che favorisce la crisi di diversi Stati in contesti regionali di interesse strategico per l’Italia. Di conseguenza, anche la cessione a Paesi amici di sistemi d’arma non più utili alle nostre Forze Terrestri, se inserita in un quadro di azione complessivo diplomatico ed economico, può essere uno strumento efficace per la conservazione della stabilità internazionale e il contrasto ai fenomeni terroristici.

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