La rivolta in Bahrain e l'attendismo degli al-Khalifa
Medio Oriente e Nord Africa

La rivolta in Bahrain e l'attendismo degli al-Khalifa

Di Andrea Ranelletti
25.02.2013

Nel 2011 sull’onda dei grandi moti di rinnovamento che stavano prendendo piede nel mondo arabo, anche i cittadini del Bahrain scendevano in piazza per chiedere maggiore democrazia e rispetto dei diritti umani e civili. L’assenza di una concreta risposta del governo alla richiesta di riforme sociali e civili ha spinto la protesta a concretizzarsi nella grande manifestazione del 14 febbraio 2011 a Pearl Square. Le domande dei manifestanti erano precise: scioglimento dell’Assemblea nazionale, rilascio degli oppositori e attivisti incarcerati, abrogazione della Costituzione del 2002, restrizioni al potere che la famiglia reale detiene all’interno del Governo, eleggibilità del Primo Ministro, indipendenza dei giudici, libertà di espressione e di stampa. Il sit-in pacifico dei manifestanti venne disperso da un violento raid notturno delle forze di sicurezza che lasciò a terra numerose vittime e diede inizio alla lunga serie di scontri.

A due anni dal “Giovedì sanguinoso”, le tensioni del Bahrain sono nuovamente esplose. Lo scorso 14 febbraio sono ripartiti gli scontri tra polizia e opposizione e sono già diverse le vittime da mettere a bilancio. Primo a cadere è stato il 16enne Hussein al-Jaziri, da un membro delle forze dell’ordine nel villaggio di Daih. Sono tornate, in questo modo, le polemiche sull’uso disinvolto della violenza da parte delle forze dell’ordine: il Capo della Pubblica Sicurezza Al-Hassan, ha continuato a ribadire la necessità di usare il pugno duro di fronte ai violenti attacchi dei manifestanti. Il giorno 22 febbraio un altro ragazzo è rimasto ucciso durante le sommosse: si tratta di Mahmood al-Jazeeri, colpito alla testa da un contenitore di gas lacrimogeno.

La ripresa delle violenze arriva dopo una lunga serie di rinvii al tavolo delle trattative tra governo e opposizione. Nonostante le manifestazioni abbiano portato in piazza una richiesta di cambiamento diffusa, il motore del malcontento nel Paese resta la maggioranza sciita. Pur costituendo il 70% della popolazione complessiva, gli sciiti lamentano da anni la discriminazione da parte della dinastia regnante sunnita, impegnata, a loro dire, a emarginarli dalla vita politica e dal potere istituzionale. La richiesta effettuata dalla maggioranza sciita è quella di una Costituzione che consenta l’elezione diretta del Governo e garantisca un maggior equilibrio dei poteri. Tale mossa garantirebbe un maggior controllo sciita sul Parlamento e limiterebbe l’arbitrio dei monarchi.

L’atteggiamento ambiguo degli al-Khalifa e delle massime istituzioni Bahrainite rispecchia il disaccordo presente riguardo quale sia la strada giusta da seguire: aprire al dialogo ed essere disposti ad attuare alcuni cambiamenti o stroncare la protesta facendo ricorso alla forza. Il Principe ereditario Salman Bin Hamad Bin Isa al-Khalifa è ufficialmente visto come l’esponente più aperto al dialogo e al riformismo; il Primo ministro Sheikh Khalifa bin Salman al-Khalifa è invece fautore della linea dura, convinto che ogni apertura sia destinata a generare maggiori richieste da parte dell’opposizione. La tensione tra queste due posizioni sta dando vita ad una dannosa politica di temporeggiamento. Il risultato è la rottura con i principali partiti d’opposizione. Il più forte di questi, al-Wefaq, ha lamentato a inizio mese come ogni trattativa sfoci nella produzione di ulteriore settarismo.

Una delle ragioni di tale impasse è il timore – talvolta strumentale al mantenimento dello status quo – che dietro l’attivismo sciita in Bahrain possa nascondersi l’interesse iraniano. In più occasioni, nel corso degli anni, le tensioni a Teheran hanno avuto un forte riverbero sull’isola – dalla rivoluzione islamica alla guerra tra Iran e Iraq – generando la preoccupazione per possibili onde d’urto a Manama. L’Iran è da anni accusato di voler creare un’area di instabilità a ridosso dei Paesi del Golfo e di aver continuamente finanziato sottobanco i movimenti d’opposizione in Bahrain. Durante le recenti manifestazioni, il Governo Bahrainita ha più volte dichiarato che una cellula legata ai Guardiani della Rivoluzione e ad Hezbollah è attiva sull’isola e appoggia i partecipanti alle sommosse. L’opposizione, da parte sua, ha ribadito la falsità di tali affermazioni. Nonostante i timori, sarebbe comunque inesatto definire il Bahrain come lacerato da tensioni interconfessionali; le due principali comunità religiose hanno generalmente trovato un buon equilibrio di convivenza e le altre minoranze – le più corpose sono quella cristiana e quella induista – sono ben tollerate nel Paese.

Differentemente da alcune delle principali rivolte che hanno scosso il mondo arabo, non c’è l’alto livello di disoccupazione o una stagnazione dell’economia reale tra le ragioni alla base delle sommosse del Bahrain. L’economia Bahrainita sta conoscendo anni di eccezionale rigoglio. Tra il 2009 e il 2011 il tasso di crescita del PIL ha oscillato tra il 3 e il 4%. L’aumento della ricchezza non ha avuto, però, una sufficiente distribuzione all’interno della società e ha finito per privilegiare esclusivamente il settore privato – in particolar modo nei servizi finanziari e nell’immobiliare – finendo per generare malcontento diffuso nella società. L’abbondante ricchezza ha consentito alla classe regnante di approntare un sistema di welfare teso a mantenere la calma nelle varie fasce della popolazione. Un esempio di tale politica fu la devoluzione di un contributo una tantum agli abitanti all’inizio dei disordini per ristabilire la tranquillità all’interno della popolazione.

Tra gli sforzi compiuti dalla dinastia regnante per portare nuova calma e qualche apertura ai diritti civili c’è stata l’istituzione nel luglio del 2011 di una commissione d’indagine sugli avvenimenti del febbraio e marzo precedenti, voluta dal Re Hamid Bin Isa al-Khalifa. Lo scopo era quello di focalizzare l’attenzione sulla repressione compiuta dalle autorità sulla popolazione, cercando di porre le basi per possibili risarcimenti alle famiglie delle vittime e punizioni a quegli ufficiali macchiatisi delle colpe più gravi. E’ nata così la Bahrain Independent Commission of Inquiry (BICI), presieduta da Mahmoud Cherif Bassiouni, professore emerito di Legge all’Università di DePaul ed esperto di crimini di guerra per le Nazioni Unite. In totale indipendenza la BICI ha lavorato alla redazione del report, presentato all’attenzione del Re il 23 novembre 2011.

L’autonomia della Commissione è evidente nel report finale che non si astiene dal tratteggiare un quadro critico delle istituzioni e delle forze di sicurezza. Concludendo la propria analisi, la BICI è giunta a definire il Governo “impreparato ad affrontare la situazione” e ha affermato che “l’utilizzo di una quantità letale di violenza e il pesante dispiego di forze di sicurezza pubblica hanno causato la morte di civili”. Il report si conclude con un’appendice in cui viene elencato il numero di uccisioni effettuate dall’autorità e i casi di tortura ai danni degli oppositori.

A seguito della pubblicazione del report, Re Hamid ha mostrato di voler intraprendere un processo di apertura facendo rilasciare numerosi degli arrestati durante le proteste, chiedendo il reintegro di numerosi lavoratori licenziati per aver manifestato ed esigendo la condanna dei membri delle forze di sicurezza coinvolti nelle violenze. Ben presto si è però rivelata la parzialità delle apertura; diversi leader dell’opposizione detenuti non sono stati rilasciati, sono proseguiti gli arresti ai danni di cittadini colpevoli di aver manifestato pubblicamente il loro dissenso e gli arresti interni alle forze dell’ordine hanno colpito solo agenti semplici e non i veri responsabili degli eccidi.

A due anni di distanza dall’inizio delle rivolte, secondo l’opposizione sono 80 le vittime della repressione poliziesca (il governo parla invece di 35 vittime). Il protrarsi delle violenze e i continui arresti effettuati ai danni di chi critica il governo e la monarchia continuano a spaccare il Paese e a generare ostilità, rafforzando le frange più estremiste. Le notizie dell’avvio di nuovi negoziati non sono più sufficienti a sciogliere la tensione e la disillusione diffusa in varie fasce della popolazione. L’insufficienza delle occasionali concessioni dovrebbe indurre una volta per tutte gli al-Khalifa ad aprire con maggiore convinzione e chiarezza una discussione sui cardini della Costituzione. Una distensione potrebbe generare nuova stabilità e allontanare finalmente il Bahrain dal punto di non ritorno.

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