L’Italia approva la legge sulla Zona Economica Esclusiva nel Mediterraneo
Il 9 giugno, il Parlamento italiano ha votato il disegno di legge n. 2007 relativo all’“Istituzione di una zona economica esclusiva (estesa fino a 200 miglia dalle proprie coste) oltre il limite esterno del mare territoriale” come consentito dal diritto internazionale. Dopo anni di discussioni e polemiche (anche recenti) corse intorno alle pressioni e alle azioni unilaterali intraprese da diversi attori rivieraschi del Mediterraneo (si pensi ai casi più noti quali quelli di Turchia o Algeria, solo per fare qualche esempio), anche l’Italia si è dotata di una moderna legge atta a rafforzare la capacità marittima del Paese, a salvaguardare gli interessi nostrani nelle rispettive aree economiche esclusive e a garantire piena giurisdizione nello sviluppo di politiche ad hoc in materia di pesca, ambiente ed energia (comprese quelle derivanti da fonti rinnovabili). Il dispositivo legislativo, quindi, pone fine ad un vuoto normativo che per anni ha lasciato il Paese in una condizione di incertezza sotto diversi aspetti (politici, economici e di sicurezza), alimentando tensioni confinarie e rivendicazioni (in parte legittime) con gli attori che condividono i limiti della futura ZEE italiana. Di fatto, l’istituzione della Zona Economica Esclusiva italiana andrà sostituire la già esistente Zona di Protezione Ecologica (ZPE), ampliando prerogative e capacità a disposizione delle autorità nazionali, nonché andando a rafforzare quei dispositivi in materia di condivisione degli accordi già esistenti con altri Stati sui confini marittimi.
Anche in quest’ottica, la scelta di istituire una ZEE è divenuta uno strumento politico necessario e prioritario per salvaguardare gli interessi nazionali nel quadrante mediterraneo, dove da oltre un decennio – e in concomitanza con le prime scoperte energetiche nel Mar del Levante nel 2009 – si è dato vita ad una pericolosa escalation di rivendicazioni nella quale i singoli Stati hanno tentato di espandere e/o applicare unilateralmente le proprie ZEE, dando vita ad una vera e propria “territorializzazione del mare”. In altre parole, questa iniziativa, oltre ad inscriversi nella legalità internazionale riconosciuta sulla base della Convenzione del diritto del mare (UNCLOS), vuol essere una risposta politica all’assertività e alle ambizioni di taluni attori rivieraschi coinvolti in più dinamiche geopolitiche e strategiche nella dimensione marittima del Mediterraneo.
Se nell’ottica italiana la ZEE garantirà primariamente la tutela degli interessi nazionali soprattutto con quegli attori sub-regionali con i quali Roma conserva buone relazioni (si pensi a Croazia, Slovenia, Grecia e Albania tra Adriatico e Ionio o con la Francia nelle acque tra Mar Ligure e Mar Tirreno, nella fascia di mare tra Corsica e Sardegna), la stessa non risolverà quei contenziosi esistenti (in materia di pesca per lo più) con Malta e i Paesi dell’Africa mediterranea (in particolare Algeria, Tunisia e Libia) con i quali esistono visioni differenti e limiti (anche politici) notevoli di rispetto delle zone di giurisdizione e di cooperazione bilaterale su alcuni temi specifici (si pensi ad esempio alle difficoltà esistenti tuttora con Libia e Malta in materia di pesca e migrazioni). Un problema di non poco conto considerando che specie gli attori della sponda sud mediterranea sono importanti partner economici, energetici e politici per l’Italia nelle dinamiche di area e nelle dimensioni geopolitiche e securitarie che penetrano verso l’Africa saheliana.
Proprio alla luce delle possibili tensioni con tali attori, sarà necessario configurare un meccanismo atto a presidiare e difendere i confini marittimi della nuova ZEE italiana, al fine anche di non ridimensionare, ma al contrario rafforzare, il messaggio politico e strategico che deriva dalla sua istituzione. In tale ottica, un ruolo fondamentale potrà essere svolto dalla Marina Militare italiana, che già svolge attività di presenza, vigilanza e pattugliamento nell’intero Mediterraneo, e in particolare a ridosso del Canale di Sicilia e al largo delle coste libiche. Potrà in tal senso rendersi necessario un rafforzamento delle attività svolte dalla Marina, così come un incremento dei mezzi a disposizione. Infine, sarà importante il coordinamento con il Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera e con la Guardia di Finanza, che contribuiscono al pattugliamento dei confini marittimi, alle attività di ricerca e soccorso in mare e al contrasto all’immigrazione illegale.