La crisi di sicurezza nel delta del Niger
Africa

La crisi di sicurezza nel delta del Niger

Di Carlo Palleschi
24.06.2018

Il delta del Niger, un’area suddivisa in nove Stati federali (Abia, Akwa Ibom, Bayelsa, Cross River, Delta, Edo, Imo, Ondo e Rivers) che si estende nel sud-est della Nigeria, è una regione strategica per la significativa presenza sia di greggio che di gas naturale. Lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo ha innescato tra le popolazioni locali ed il governo centrale una conflittualità che si appoggia su vari elementi: gli elevati livelli di povertà e disoccupazione, l’allocazione degli introiti petroliferi, l’impatto ambientale, la conflittualità etnica e religiosa.

L’attività petrolifera rappresenta una voce di vitale importanza per l’economia nigeriana: costituisce il 98% delle esportazioni e rappresenta il 40% del PIL del Paese. L’estrazione petrolifera (nel 2016 pari a 1.871.000 di barili al giorno) è gestita attraverso un partenariato tra la compagnia di Stato, la Nigerian National Petroleum Corporation, e numerose multinazionali (Shell, Exon Mobil, Chevron, Texaco, Total Agip, ENI etc.). Nonostante la ricchezza del sottosuolo, osservando gli indici di povertà e di sviluppo umano, si può notare un forte divario tra la ricchezza prodotta e il benessere socio-economico di cui godono le popolazioni locali. Infatti, malgrado il settore estrattivo si presti ad essere un interessante volano per l’economia del delta, la scarsa competenza lavorativa delle popolazioni locali ha spinto le multinazionali petrolifere a prediligere la manodopera straniera, senza che quindi il tasso di disoccupazione della regione potesse diminuire. Inoltre, questo paradosso può essere spiegato anche prendendo in considerazione la presenza di fenomeni di corruzione che di fatto impediscono ai rentier States, come la Nigeria, di promuovere uno sviluppo economico inclusivo. Nel caso del delta del Niger, vi è da aggiungere che la distribuzione dei profitti derivanti dalla vendita del petrolio presenta due ulteriori difficoltà: la prima consiste nel capire come suddividere tali profitti tra le varie strutture federali (governo centrale, Stati federali e governi locali); la seconda consiste invece nell’individuare la percentuale spettante a ciascun Stato federale. In questo contesto, l’allocazione ha favorito il governo centrale di Abuja e, proporzionalmente, gli Stati del nord a discapito degli Stati produttori del delta.

Questo meccanismo esacerba una rivalità tra nord e sud che affonda le sue radici in una complessa conflittualità etnica e religiosa che caratterizza la Nigeria sin dalla sua indipendenza. L’ostilità tra i tre principali gruppi etnici -Yoruba (25% della popolazione, musulmani e cristiani, stanziati ad ovest e sud-ovest), Hausa (29% della popolazione, musulmani, stanziati al nord)  Igbo (18% della popolazione, cristiani e animisti, stanziati al sud) - si è risolta politicamente in una lotta per l’autodeterminazione della comunità Igbo, una lotta iniziata con la guerra del Biafra (1967-1970) e protrattasi in modo più o meno latente fino ai giorni nostri. La crisi del delta del Niger è pertanto il risultato di un malessere economico che si impernia su una componente identitaria e su rivendicazioni indipendentiste che ne aumentano l’intensità. Abuja ha cercato invano di attenuare l’antagonismo etnico incrementando il numero degli Stati, passando da 20 a 30 nel 1991 per arrivare a 36 nel 1996. Tuttavia, l’impianto federalista così disegnato si è rivelato addirittura controproducente, dal momento che ha contribuito a dare una legittimazione costituzionale ai numerosi gruppi etnici minoritari.

Un alto aspetto cruciale del complesso quadro della crisi del delta consiste nell’analisi delle implicazioni ambientali legate all’estrazione petrolifera. L’inquinamento delle acque e del suolo ha avuto delle ricadute drammatiche sulla salute delle popolazioni e ha messo seriamente a rischio l’agricoltura e la pesca, le due principali attività dell’economia locale. La crisi di questi due settori spiega quindi l’aumento della disoccupazione e l’intensificazione del flusso migratorio verso i più grandi agglomerati urbani del Paese, un combinato di fattori che ha rafforzato il sostegno delle popolazioni locali ai vari gruppi di resistenza.

È quindi in questo complesso quadro economico - politico che si inseriscono le rivendicazioni portate avanti dai vari movimenti di resistenza: da una parte, una maggiore autonomia rispetto al governo di Abuja, e dall’altra, la necessità della ri-negoziazione dei meccanismi di distribuzione degli introiti petroliferi. La resistenza ha assunto una struttura organizzata con la nascita, nel 1990, del MOSOP (Movement for the Survival of Ogoni People), un movimento pacifista che si è sempre caratterizzato per l’utilizzo di metodi non violenti. L’arresto e la condanna a morte del fondatore del MOSOP , Ken-Saro-Wisa (1995), ne ha indebolito l’efficacia e ha determinato allo stesso tempo una frammentazione dei movimenti di resistenza. Tale situazione si è protratta fino al 2005, quando un nuovo movimento, il MEND (Movement for Emanicpation of the Niger Delta), si è imposto sulla scena, fungendo da organizzazione-ombrello per i vari movimenti di resistenza. Pur portando avanti le stesse rivendicazioni, il MEND, a differenza del MOSOP, ha adottato sin dalla sua nascita una strategia di lotta armata asimmetrica basata su una duplice modalità operativa: da una parte azioni di oil bunkering e di pirateria per impossessarsi del greggio e rivenderlo di contrabbando; dall’altra, vari rapimenti, soprattutto di cittadini stranieri, per cercare di ricattare il governo centrale e colpire le multinazionali straniere. A quel punto, Abuja ha promosso una risposta armata decisa per reprimere qualsiasi forma di resistenza fino a quando, nel 2009, ha deciso di promuovere un programma di amnistia che prevedeva che in cambio della fine delle azioni di sabotaggio, i capi del MEND beneficiassero di aiuti pecuniari e che i combattenti fossero facilitati nella ricerca occupazionale. Tale decisione si è rivelata particolarmente proficua: i rapimenti e gli attacchi armati sono drasticamente diminuiti e l’esportazione del greggio è aumentata passando da 700.000 barili al giorno nel 2009 a 2.4 milioni nel 2011. La conflittualità si è tuttavia ripresentata in tutta la sua drammaticità da quando nel 2015 il neo-Presidente Buhari, musulmano e originario dello Stato settentrionale di Katsina, si è dichiarato contrario a proseguire il programma di amnistia per ragioni di bilancio dello Stato. L’irrigidimento delle autorità nigeriane ha donato nuova linfa al MEND e ha determinato la nascita di nuovi gruppi armati di matrice para-militare, come ad esempio i Niger Delta Avengers (NDA), che hanno fatto leva sulla nuova spirale di violenza per imporsi come protagonisti nello scacchiere regionale. Gli NDA, in particolare, sapendo attrarre i fuoriusciti dal MEND e gli esclusi dal programma di amnistia, hanno acquisito un’incisività e un’efficacia organizzativa inimmaginabili per un gruppo così giovane, frutto per l’appunto del bagaglio esperienziale che la vecchia generazione di combattenti del MEND ha garantito loro.

La crisi nel delta del Niger rischia di avere importanti conseguenze per la stabilità della regione. L’insorgere di nuovi gruppi armati potrebbe infatti avere dei contraccolpi potenzialmente dannosi sull’impegno di Abuja nel processo di stabilizzazione del Sahel e nella lotta contro Boko Haram, soprattutto nel momento in cui fosse richiesto un maggiore sforzo militare nelle regioni meridionali. Inoltre, la commistione delle istanze prettamente economiche con le rivendicazioni di natura politica rischia di galvanizzare i vari movimenti indipendentisti regionali. Non è infatti da escludere la pericolosa eventualità di un’alleanza tra gli NDA e il movimento indipendentista del Biafra o di un’intesa con i gruppi separatisti della penisola di Bakassi o con quelli del Camerun anglofono. In aggiunta, questo scenario favorisce la nascita di sacche di illegalità che rappresentano un terreno fertile per la proliferazione di vari traffici illegali, come quello delle armi e della droga. Infatti, la maggior difficoltà nell’utilizzo della tradizionale rotta atlantica e la crisi del mercato statunitense hanno restituito un’importanza strategica alla regione dell’Africa occidentale per il traffico della cocaina. I trafficanti nigeriani hanno saputo approfittare di questo nuovo scenario per estendere i loro commerci illegali, potendo contare, grazie alla massiccia migrazione nigeriana verso lo spazio caraibico, su una rete di contatti diretti con i dealers latinoamericani.

La complessità della crisi del delta del Niger riflette quindi delle dinamiche stratificate negli anni le cui origini sono di natura differente - politica, economica, etnica, religiosa- e le cui conseguenze potrebbero compromettere il già difficile processo di stabilizzazione regionale. L’ascesa dei NDA e il rischio di un effetto domino e di una radicalizzazione delle istanze indipendentiste sono le incognite con cui Abuja deve fare i conti per garantire la sicurezza di un’area di vitale importanza economica.

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