Geopolitical Weekly n. 293

Geopolitical Weekly n. 293

Di Giulia Lillo e Giulio Nizzo
24.05.2018

Burkina Faso

Il 22 maggio, le forze di sicurezza hanno ucciso tre terroristi ed arrestato un quarto sospetto durante un’operazione nella periferia della capitale Ouagadougou. Nello specifico, la cellula jihadista neutralizzata aveva pianificato un attacco previsto per giugno e diretto contro obiettivi sensibili. Gli elementi del nucleo terroristico erano parte della rete che aveva colpito Ouagadougou lo scorso 2 marzo, nel gennaio 2016 e nell’agosto 2017. Tale rete è afferente al Gruppo per il Sostegno dell’Islam e dei Musulmani (GSIM), ombrello jihadista attivo in tutta la regione del Sahel e che comprende diverse organizzazioni, tra le quali la brigata sahariana di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), il Fronte di Liberazione del Macina (FLM), al-Mourabitun ed Ansar al-Din. Oltre al GSIM, nel Paese è attivo Ansar al-Islam, gruppo fondato alla fine del 2016 dal predicatore burkinabè Malam Ibrahim Dicko. Le serie di azioni terroristiche è stata rivolta non solo contro basi militari, forze dell’ordine e obbiettivi dal grande impatto politico (ambasciate straniere) ma soprattutto contro obiettivi civili nel nord del Burkina Faso e nella capitale.

Negli ultimi anni l’intero Paese è stato vittima di un’escalation di violenza portata avanti dai movimenti eversivi, uno dei motivi per i quali l’UE ha annunciato che raddoppierà i finanziamenti per la G5 Sahel Task Force, contingente multinazionale di circa 5.000 uomini formato da Mali, Burkina Faso, Ciad, Niger e Mauritania) che combatte i gruppi armati in tutta la regione.

Tuttavia, a rendere complesso il processo di stabilizzazione del Paese, oltre ai gruppi terroristici, vi sono l’estrema povertà e il comportamento non professionale delle Forze Armate nazionali, accusate di abusi contro la popolazione civile e i presunti fiancheggiatori.

Libia

Lo scorso 21 maggio, l’Inviato dell’ONU per la Libia Ghassan Salamé si è pronunciato dinnanzi al Consiglio di Sicurezza ONU per il periodico resoconto sulla Missione. Nel suo intervento, Salamé ha messo in risalto la situazione di stallo circa l’implementazione degli accordi Skhirat, che avrebbero dovuto portare il Paese a ricomporre la frattura istituzionale nata nel 2014 che contrappone i due macro-schieramenti della Tripolitania, retta dal Presidente del Consiglio Presidenziale Fayez al-Sarraj, e della Cirenaica, guidato dal Generale Khalifa Haftar.

In base agli accordi, che prevedevano una serie di tappe fra cui la creazione di un Governo di Unità Nazionale (GUN) e la stesura di una nuova legge elettorale, si sarebbe arrivati, alla fine del processo, a nuove elezioni nazionali. Tuttavia, Skhirat non è mai stato ratificato dalle istituzioni della Cirenaica, ovvero il Parlamento di Tobruk, né i tentativi di emendare l’accordo sono andati a buon fine. Per questo motivo, Salamé ha ribadito al Consiglio di Sicurezza che, proprio date le difficoltà incontrate nel mettere d’accordo le varie fazioni, sarebbe preferibile mettere da parte questi sforzi per concentrarsi con urgenza sulle elezioni nazionali, anche alla luce dei risultati incoraggianti delle recenti elezioni a livello locale e municipale, nonché del segnale positivo rappresentato dagli oltre due milioni di cittadini registratisi per votare. Ciò ha, di fatto, sminuito l’importanza di Skhirat e ricalibrato gli equilibri diplomatici nella partita libica.

Non a caso, nel giro di 48 la Francia ha rilanciato la propria azione in Libia annunciando una conferenza il prossimo 29 maggio, alla quale dovrebbero partecipare tutti i principali attori libici e internazionali e il cui esito, nell’auspicio di Parigi, dovrebbe consistere nell’accelerazione del processo elettorale con l’obiettivo di portare il Paese al voto entro fine 2018. In questo modo, la diplomazia francese tenta di conferire definitivamente legittimità ad Haftar, ampiamente supportato da Parigi sin dal 2014, e superare l’impasse determinata dal binario di Skhirat, che aveva tolto ogni legittimità al Parlamento di Tobruk in favore del GUN di Serraj.

Tuttavia, una simile accelerazione, soprattutto se priva delle necessarie garanzie al variegato e eterogeneo mosaico di attori libici, rischia di aprire una nuova fase di instabilità dettata dai tentativi confliggenti di garantirsi un ruolo nel futuro assetto del Paese da parte di politici e gruppi armati o, addirittura, di replicare quanto avvenuto nel 2014, quando la frattura tra le istituzioni era nata proprio in seguito al non riconoscimento dell’esito delle urne, gettando così un’ombra sulla tenuta dell’assetto unitario del Paese.

Unione Europea

Lo scorso 22 maggio, il CEO e fondatore di Facebook Mark Zuckerberg è stato ricevuto a Bruxelles dalle istituzioni europee. L’udienza si è svolta di fronte ai capigruppo del Parlamento Europeo, ai Presidenti delle Commissioni Libertà Civili e Petizioni e al relatore della nuova regolamentazione europea in materia di privacy (GDPR). L’incontro è stato infine presieduto dal Presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani. Zuckerberg è stato interrogato su una serie di questioni riguardanti i dati raccolti da Facebook e la privacy degli utenti europei. Temi, questi, passati in primo piano a seguito dello scandalo che ha coinvolto Cambrdige Analytica, la società di analisi che avrebbe sfruttato algoritmi e banche di dati per condizionare le intenzioni di voto dell’elettorato inglese, europeo e statunitense.

Durante l’udienza, durata circa tre ore, Zuckerberg è stato chiamato a riferire riguardo: le finalità e i metodi di raccolta dati di oltre 2 milioni di utenti residenti in Europa, la condizione di monopolio di cui gode l’azienda, nonché la possibilità che tale tecnologia possa, in maniera poco trasparente, condizionare attivamente l’elettorato, attraverso bot, account fasulli e pubblicità mirate, come sembrerebbe essere avvenuto per il referendum sulla Brexit.

Nonostante l’incontro abbia rappresentato un discreto successo per l’Unione Europea, dal momento che, ad esempio, Zuckerberg aveva precedentemente declinato più volte l’invito a comparire di fronte alla House of Common britannica, al termine dell’udienza la maggioranza degli europarlamentari presenti hanno espresso un sostanziale disappunto. L’intervento del fondatore di Facebook, durato all’incirca 30 minuti, si è rivelato infatti estremamente vago ed evasivo. Tuttavia, la presenza di Zuckerberg a Bruxelles, va interpretata come un messaggio politico, volto a rassicurare le istituzioni comunitarie circa una futura collaborazione in materia di digital policy. L’incontro, infatti, ha avuto luogo tre giorni prima dell’entrata in vigore della nuova normativa europea in materia di privacy (GDPR), che per la prima volta traccia i confini dell’Unione anche all’interno dello spazio cibernetico, facendo dell’Europa uno dei player internazionali più all’avanguardia in questo settore.

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