Un bilancio della politica estera italiana  nella XVII legislatura
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Un bilancio della politica estera italiana nella XVII legislatura

Di Paolo Crippa, Marco Di Liddo, Francesca Manenti, Lorenzo Marinone e Francesco Tosato
30.12.2017

La XVII Legislatura della Repubblica italiana è corsa parallela con importanti modifiche dell’assetto politico internazionale e degli equilibri nelle relazioni globali. Se il cambio di guardia alla Casa Bianca tra Obama e Trump è forse quello più vicino nell’immaginario collettivo, non dobbiamo dimenticare i risultati delle elezioni in Gran Bretagna, sia per quanto riguarda il referendum sulla Brexit sia per il passaggio di consegne tra Cameron e May, l’avvento di una nuova figura istituzionale come quella di Macron a Parigi, le difficoltà per quella che da molti era giudicata come uno dei pochi punti fermi in Europa nel formare un nuovo Governo, Angela Merkel, nuovi astri nascenti delle politiche regionali, quali Mohamed Bin Salman, conferme in scenari dalle forme barocche, Rohuani, e, non da ultimo, rafforzamenti storici sulle orme del passato, Xi Jinping. Con la mutazione della minaccia del terrorismo jihadista internazionale ad aumentare la sensazione di instabilità e di minaccia. Il Parlamento e il Governo italiani hanno dovuto, dunque, affrontare le scelte e i cambi di rotta imposti da questi andamenti, rispondendo o affermando le proprie posizioni, ovviamente con alterne vicende. Se di bilancio di deve parlare, questo non può che avere delle luci e delle ombre, ma con un focus che è sembrato abbastanza fisso nonostante i marosi della politica internazionale degli ultimi cinque anni: l’interesse nazionale. Un concetto troppe volte sottovalutato e troppe volte invocato come necessario, in questa Legislatura sembra essere tornato ad assumere quel ruolo di bussola che è sembrato mancare spesso nel corso degli anni passati. Pur con le proprie debolezze, ma forte del proprio ruolo e del proprio posizionamento e, se possibile, con la volontà di riscuotere qualcosa da quel dividendo accumulato in anni di impegni internazionali fuori dal proprio contesto strategico di riferimento, le istituzioni italiane hanno dato l’impressione di percorre sottotraccia e, nella stragrande maggioranza dei casi, in silenzio strade non sempre facilissime, ma che hanno avuto il pregio di seguire le priorità della necessità italiana. In questo discorso, l’approccio in Libia, poco sciovinistico, ma più rivolto al risultato, ne può essere un esempio. Non si può certo dire lo stesso rispetto alle politiche europee dell’Italia nel corso di questi ultimi cinque anni, che hanno, ovviamente, risentito, di quella che è diventata la Spada di Damocle di qualsivoglia dialogo a Bruxelles: la pressione migratoria sulle coste italiane. Cinque anni di difficile gestione che lasciano un percorso intrapreso, ma anche numerose domande a cui presto urgerà dare delle risposte.
 
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