La sfida europea di Emmanuel Macron
Europa

La sfida europea di Emmanuel Macron

Di Paolo Crippa
17.12.2017

Lo scorso 26 settembre, Emmanuel Macron ha tenuto un importante discorso sull’Europa di fronte agli studenti dell’Università Sorbonne di Parigi. Il Presidente Francese, ricalcando le orme di Francois Mitterrand, che nel 1992 si era pronunciato a sostegno del Trattato di Maastricht presso la stessa istituzione, ha esposto con chiarezza la propria visione sul futuro dell’Unione e ha ribadito la necessità di riformare gli attuali meccanismi di governance, ormai ritenuti insostenibili. Macron ha voluto dichiararsi pronto a imprimere una netta accelerazione al processo di diversificazione dei livelli di integrazione noto come “Europa a più velocità”, rivolgendosi alla complicità di Germania, Spagna e Italia.

Il discorso ha raccolto un ampio consenso, nonché l’apprezzamento di un’eminenza grigia della politica francese, l’ex-Primo Ministro in quota a Les Républicains (LR) Alain Juppé. Juppé, che all’interno della formazione di centro-destra rappresenta la frangia più moderata e liberale, dopo essere stato sconfitto alle primarie del 2017 da Francois Fillon, attualmente ricopre la carica di Sindaco di Bordeaux. Juppé, che da sempre raccoglie un apprezzamento bipartisan a fronte di una sensibilità politica che riesce a oltrepassare le forzature ideologiche in nome del buon senso, è uno dei politici più stimati all’interno del panorama francese, e può esercitare un consistente peso elettorale. La vicinanza, non solo ideologica, ma anche personale, tra il sindaco bordolese ed Emmanuel Macron è ormai conclamata e sancita dall’elezione dell’ex-portavoce di Juppé Edouard Philippe alla carica di Primo Ministro. Entrambi i politici sono infatti accomunati da uno spiccato europeismo, nonché da una convergenza di intenti in materia di riforme economiche.

L’Europa è stato uno dei temi in assoluto più controversi delle ultime elezioni presidenziali. Il dibattito intorno all’Unione ha di fatto contribuito a polarizzare ulteriormente lo schieramento politico francese, contrapponendo forze moderate europeiste e forze euroscettiche a destra (il Front National) come a sinistra (La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon). Macron, forte di una larga maggioranza parlamentare ottenuta alle ultime legislative, vorrebbe consolidare il campo centrista in vista delle elezioni europee del 2019, allargando la propria formazione anche a membri di altri partiti. Juppé, nonostante abbia categoricamente smentito l’ipotesi di una lista comune che unisca LR e La République en Marche (LREM), si è dichiarato interessato all’idea di un nuovo movimento centrista di respiro europeo a guida Macron. Nel 2015, infatti, era stato proprio l’ex-Primo Ministro ad auspicare una simile strategia politica, (da applicarsi allora al movimento gollista Union pour un Mouvement Populaire-UMP), volta a unificare tutte le forze liberali di centro, al fine di spingere le formazioni più radicali sempre più verso gli estremi dell’arco parlamentare. Questa ipotesi, che diviene ogni giorno sempre più concreta, sembrerebbe aver incontrato l’interesse anche dell’ex-inquilinio di Matignon, Manuel Valls, nonché dell’ex-sindaco di Nizza Christian Estorsi, politicamente vicino a Nicolas Sarkozy. La storia politica della Quinta Repubblica francese non è scevra da esperienze di raggruppamenti politici nati attorno a leader di carisma, basti pensare all’unificazione del campo delle sinistre per mano di Francois Mitterand o all’ all’Union pour la Démocratie Française (UDF) creatasi intorno alla figura di Valery Giscard d’Estaing.

Questa ipotesi potrebbe trovare ulteriore sostegno dopo il congresso del partito di centro-destra Les Républicains, che si terrà a Parigi dal 10 al 17 dicembre. Con tutta probabilità le votazioni per eleggere il nuovo Presidente, dopo il ritiro a vita privata di Francois Fillon, consegneranno un partito sempre più spostato verso destra, appiattito sulle posizioni del Front National in materia di Europa e immigrazione. Dei tre candidati in lizza, infatti, il favorito, il sarkozista Laurent Wauquiez, ha sempre espresso pesanti critiche nei confronti dell’europeismo di Macron, dichiarando convintamente che non solo l’attuale impegno della Francia in Europa deve essere ridimensionato, ma che una delle cause del declino di questa istituzione è stato l’allargamento dell’Unione verso Est nei primi anni 2000.

Le ambizioni di Macron non possono tuttavia essere circoscritte al solo ambito nazionale. Di fatto il movimento La République en Marche conserva un respiro europeo fin dalla sua fondazione. Alcuni deputati centristi, in particolare la Presidente della Commissione per gli Affari Europei dell’Assemblea Nazionale Sabine Thillaye, avrebbero già intessuto legami con formazioni politiche di altri Paesi, per lanciare liste transnazionali alle elezioni del 2019. Il fine sarebbe la creazione un nuovo grande polo riformista nel Parlamento di Bruxelles. Obiettivo ultimo di Macron è scardinare la leadership tedesca all’interno della governance europea, creando un largo consenso attorno alle istanze politiche francesi. Dal momento che il destino politico del Presidente francese è strettamente legato all’implementazione dell’ambizioso piano di riforme strutturali nel breve-medio termine, la Francia vuole spingere verso una maggiore flessibilità economica, che consentirebbe all’Eliseo di avere più ampi margini di manovra. Emmanuel Macron infatti, nonostante sia riuscito a sfruttare abilmente i vuoti di potere e farsi eleggere alla più alta carica dello Stato, non può ancora contare su una solida base elettorale. Qualora gli attuali parametri europei lo costringessero a rallentare considerevolmente il percorso di riforme (fiscalità locale, innovazione tecnologica, mercato del lavoro), la sua leadership sarebbe gravemente compromessa.

Per quanto riguarda la sua plausibile collocazione entro l’arco parlamentare europeo, ovviamente Macron non può esimersi dal guardare all’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa (ALDE) come terreno ideologico. Qualora Macron decidesse di aderire al gruppo guidato da Guy Verhofstadt, grazie al peso demografico della Francia, l’ALDE si troverebbe ad essere il secondo partito del Parlamento Europeo per numero di seggi, sorpassando il Gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECRG) e i Socialisti e Democratici (S&D). Tale scenario potrebbe dare vita al primo governo di maggioranza in Europa, ipotizzando una probabile alleanza tra il Partito Popolare (EPP) e l’ALDE. Tuttavia Macron, che fino ad ora si è rifiutato di legare il destino del suo movimento ai liberali europei, sembrerebbe propenso ad un superamento dell’ALDE, per lanciare un nuovo raggruppamento che inglobi anche membri di diversa estrazione, interessati a procedere verso una maggiore integrazione europea. L’ALDE, che al suo interno ospita formazioni politiche estremamente eterogenee, dallo spagnolo Ciudadanos al partito del nuovo premier ceco Babiš, sembrerebbe troppo frammentato e instabile per reggere l’urto delle prossime elezioni. L’unità del gruppo europeo è infatti sempre più legata al carisma e al potere di Guy Verhofstadt, impegnato a contrastare la fuoriuscita dalle fila di alcuni membri. L’ultimo episodio ha coinvolto un deputato catalano, Ramon Tremosa i Balcells, che durante un’interrogazione sugli avvenimenti catalani, ha disertato il proprio seggio per sedersi tra i banchi dell’ECRG, a fianco degli indipendentisti fiamminghi dell’Alleanza Ne-Fiamminga (N-VA).

Emmanuel Macron, che, a fronte di una Merkel fortemente indebolita dal recente voto è ad oggi il punto di riferimento per il riformismo europeo, sembrerebbe interessato a far eleggere una donna alla carica di prossimo Presidente della Commissione Europea, dal momento che Junker ha annunciato di non voler correre per un secondo mandato. Il Presidente francese avrebbe individuato nella figura di Margrethe Vestager, esponente danese dell’ALDE e attuale commissario per la concorrenza della Commissione Junker, la candidata ideale. Tuttavia si pongono alcuni ostacoli. Secondo la tradizione dello “Spitzenkandiat”, è il partito maggioritario all’interno del Parlamento ad esprimere la candidatura, la quale deve rispettare tre requisiti: essere un ex-componente del Consiglio Europeo, avere la nazionalità di un paese dell’Eurozona e non essere un politico di lungo corso inviso ad alcune capitali europee. Nonostante la Vestager non soddisfi due di tre requisiti e sia malvista da Irlanda e Benelux in luce dei suoi provvedimenti anti-trust ai danni dei giganti americani della tecnologia che proprio in quei Paesi hanno sede legale, Macron vorrebbe che rappresentasse una netta cesura rispetto all’osteggiata aura da burocrate dei Presidenti precedenti. La Vestager dovrà concorrere probabilmente contro due personalità estremamente influenti a Bruxelles, come Pierre Moscovici e Michel Barnier, entrambi papabili candidati per l’EPP.

Qualora Emmanuel Macron riuscisse a innestare un ingombrante movimento liberal-democratico al centro dello schieramento politico francese e riuscisse, parallelamente, a replicare questo disegno in Europa, ciò porterebbe a un ridimensionamento sostanziale delle forze politiche tradizionali in entrambi i contesti. Le due incognite per il successo rimangono tuttavia il peso politico del prossimo leader tedesco, e l’attrattività dell’idea  di Macron per i principali partiti dell’Eurozona. Qualora il  gruppo S&D vedesse venir meno alle prossime elezioni uno o più dei suoi pilastri portanti (il Partito Democratico italiano, la SPD tedesca o il PSOE spagnolo), si potrebbe assistere ad una catena di defezioni, che porterebbe i deputati a confluire nel movimento di Macron. Nonostante la famiglia dei Progressisti e Democratici, con 189 seggi su 751, sia ad oggi il secondo partito in Europa, la recente crisi delle sinistre europee getta pesanti preoccupazioni sull’esito delle elezioni del 2019.

Le ambizioni europee di Emmanuel Macron si innestano in un momento storico estremamente delicato per le sorti dell’Unione, quando il fronte euroscettico è in forte ascesa e Angela Merkel, fino ad oggi perno della politica europea, non sembra in grado di esercitare la stessa influenza di prima. La statura del Presidente francese come astro nascente dell’europeismo e il timore che un’eccessiva frammentazione del fronte pro-Europa possa fare il gioco degli euroscettici alle prossime elezioni, potrebbero dare ulteriore speranza al progetto di Macron. Un’ipotetica “Europe en Marche” si configurerebbe dunque come un fronte di riformisti europei a trazione francese, a favore di un’Europa a più velocità, di una più rapida armonizzazione delle competenze e di maggiore flessibilità in materia economica.

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