L'ombra del Qatar sul conflitto libico
Medio Oriente e Nord Africa

L'ombra del Qatar sul conflitto libico

Di Francesca Merletti
27.09.2011

Nonostante la Libia si trovi geograficamente lontano dal Golfo Persico, l’Emirato del Qatar è stato il paese arabo che maggiormente ha sostenuto i ribelli anti-Gheddafi nella parte orientale del Paese. Negli ultimi mesi questa nazione ricca di gas ha deciso di scommettere sul futuro della Libia, concedendo milioni di dollari in trasferimenti di combustibile, cibo e denaro al movimento d’opposizione libico.

Con una popolazione di appena 1,7 milioni di persone, attualmente è la monarchia più ricca del Golfo e cerca da tempo di influenzare gli affari politici della regione. Ha assunto ruolo di mediatore nei colloqui di pace in Sudan ed in Libano. Possiede la più influente rete informatica pan-araba, Al Jazeera, ha donato milioni di dollari alle vittime dell’uragano Katrina, dell’alluvione in Pakistan e del conflitto civile in Darfur. Infine è stata recentemente selezionata per ospitare la Coppa del Mondo di calcio 2022.

Da un decennio il Qatar persegue una politica estera attiva, e recentemente ha guadagnato un ruolo fondamentale nella crisi libica. Oltre agli aiuti inviati, l’Emirato è stato l’unico Stato arabo ad aver riconosciuto il Consiglio Nazionale di Transizione come rappresentante legittimo del popolo libico ed il secondo a farlo dopo la Francia. Il Paese sta sponsorizzando poi una televisione satellitare che dovrebbe dare voce al movimento d’opposizione libico, trasmettendo da Doha, ma ospitando molti rappresentanti della ribellione. Il Qatar è inoltre uno dei soli tre Stati arabi che hanno contribuito all’applicazione del mandato ONU per la costituzione di una no-fly zone. Diverse fonti diplomatiche sostengono infine che il Qatar abbia rifornito i ribelli anche di armi, inclusi forse i missili anticarro di fornitura francese Milan. Il Primo Ministro e Ministro degli Esteri qatariano, Sheikh Ahmad bin Jassem, ha dichiarato apertamente che a suo giudizio le risoluzioni dell’ONU sulla Libia riconoscono il diritto di rifornire il movimento d’opposizione di ‘armi difensive’ per contrastare l’esercito di Gheddafi.

In ogni caso, il maggiore contributo del Qatar ai ribelli libici è stato il sostegno nel commercio e nella vendita del petrolio proveniente dal giacimento del Sarir nella parte orientale della Libia. A maggio si contavano già un milione di barili venduti per un totale di $100 milioni, e tutti i pagamenti erano stati effettuati tramite banche qatariote. I ricavati di tale commercio hanno permesso al movimento di continuare la propria lotta contro Gheddafi. Inoltre molte fonti sostengono che Doha abbia inviato rifornimenti di prodotti petroliferi via mare quando si temeva che le forniture di benzina, butano e cherosene si stessero esaurendo. L’Emirato ha poi contribuito a facilitare i trasferimenti internazionali di denaro a sostegno del movimento anti-Gheddafi, per ricapitalizzare il sistema bancario paralizzato nell’area orientale della Libia.

Queste misure, insieme al cruciale ruolo svolto da Al Jazeera nel portare all’attenzione del mondo la situazione sul campo in Libia, hanno fatto guadagnare al piccolo Emirato del Qatar un ruolo fondamentale nella crisi. Il generoso aiuto offerto alla Libia è motivato in parte da ragioni strategiche ed in parte da ragioni economiche d’investimento. Dal punto di vista strategico, il Qatar è un paese molto debole che basa la sua sicurezza sui rapporti con gli Stati Uniti e gli stati confinanti più potenti. Da una parte ospita una grande base aerea americana ad al-Udei, dall’altra possiede giacimenti di gas congiuntamente con la Repubblica Iraniana e conserva uno scrupoloso rapporto di amicizia con Riyadh.

L’Emirato sta tentando di acquisire la propria autonomia e di salvaguardare contemporaneamente la propria sicurezza presentandosi come un utile alleato per molti e giocando le proprie carte su più tavoli, dal Libano al Sudan. In realtà, dietro questa piattaforma di grande autonomia e proiezione internazionale si cela il rinnovato rapporto con l’Arabia Saudita e la volontà di questa di contrastare l’influenza iraniana in tutto il mondo arabo e islamico. In quest’ottica il Qatar sarebbe come una sorta di faccia più moderna e presentabile della conservatrice Arabia Saudita presentandosi nei consessi internazionali al posto di questa della quale, alla fine, in ultima analisi garantirebbe gli interessi.

Le ragioni economiche del supporto qatariano a Benghazi sono invece da ricercare prima di tutto in ambito energetico. La Libia produceva 1,6 milioni di barili di petrolio al giorno prima della guerra, quasi il 2 % della produzione mondiale. Inoltre, secondo quanto affermato dalla British Petrolium, il Paese africano ha sufficienti risorse per sostenere il livello di produzione per i prossimi 77 anni. Il Qatar ambisce a controllare una parte di tali risorse petrolifere oltreché le esportazioni di gas libico verso l’Europa. La Libia è un potenziale ponte per avvicinarsi alle nazioni europee ed a nuovi mercati. Controllare una percentuale della produzione energetica libica equivale a controllare una percentuale del commercio nel Mediterraneo.

Con un accesso diretto all’Europa, il Qatar avrebbe la possibilità di spartirsi il mercato del gas con la Russia, con cui intrattiene rapporti di amicizia sempre più stretti. La caduta del Rais dovrebbe pertanto aprire rapidamente il mercato energetico libico alle compagnie petrolifere africane ed arabe, come la Vitol del Qatar, e dare loro la possibilità di competere con le grandi rivali europee ed americane. Un altro possibile vantaggio economico che l’Emirato del Golfo potrebbe trarre dal legame con la Libia riguarda i fondi sovrani della Lybian Investment Authority (LIA). Tali fondi ammontano a $70 miliardi di beni capitali congelati in tutto il mondo. La LIA possedeva azioni della banca italiana Unicredit, della compagnia di difesa Finmeccania, dell’editore inglese Pearson, che pubblica il Financial Times, e del gruppo finanziario belga Fortis, oggi conosciuto come Ageas.

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