Il THAAD in Corea del Sud nella prospettiva cinese
Difesa e Sicurezza

Il THAAD in Corea del Sud nella prospettiva cinese

Di Valeria Tisalvi
02.05.2017

A seguito dell’escalation che ha caratterizzato i rapporti tra Corea del Nord e Corea del Sud negli ultimi cinque anni, dei test missilistici e nucleari effettuati da Pyongyang[1] e delle dichiarazioni in merito al non riconoscimento della linea armistiziale tracciata a seguito della guerra del 1953 fatte da Kim Jong-Un, gli Stati Uniti hanno deciso per un’inversione di rotta nella loro strategia a favore del partner meridionale della Penisola. Ad un periodo di relativa quiete operativa ha fatto seguito la decisione statunitense di supportare la Corea del Sud con una presenza più attiva e una strategia di deterrence by denial[2]. Conseguenza diretta di questa decisione è stato l’accordo intercorso lo scorso luglio tra Seul e Washington per il dispiegamento di un dispositivo anti-missile statunitense in loco, a integrazione dei sistemi difensivi già operativi nell’area. Ai già attivi cacciatorpediniere Aegis (di Stati Uniti, Giappone e la Corea del Sud) e sistemi missilistici Patriot (in Giappone e Corea del Sud) si aggiungerà dunque il sistema antimissile Terminal High-Altitude Area Defence, o più comunemente THAAD, la cui gestione e il controllo saranno operati dal personale statunitense presente sul territorio inquadrato nelle U.S. Forces Korea.
Il THAAD è un sistema missilistico di difesa d’area da missili balistici di corto e medio raggio che si compone di 3 sottosistemi: i lanciatori (6 complessi ottupli per 48 missili intercettori), un’unità per le comunicazioni e il controllo del fuoco e un radar di scoperta e acquisizione bersagli. Con un raggio d’azione di 200 km, un’altitudine operativa di 150 km e una velocità di 8.4 Mach (pari a 2.8 km/s), un intercettore è capace di neutralizzare la minaccia balistica di corto o medio raggio nella sua fase di discesa finale (livello atmosferico) attraverso una tecnologia hit-to-kill[3]. L’unità per le comunicazioni e il controllo del fuoco è, invece, l’organo decisionale dell’apparato. Sulla base del monitoraggio e dei dati acquisiti attraverso il radar, è infatti proprio questa unità che dà avvio alla risposta alla minaccia. Inoltre, essa è responsabile anche della condivisione degli stessi dati con gli altri due sistemi anti-missile già attivi nell’area, ovvero i cacciatorpediniere Aegis e le batterie Patriot, mettendo così a sistema la difesa missilistica sud coreana con quella giapponese e americana. Il radar, nello specifico un sistema AN/TPY-2, si caratterizza invece per una capacità d’intercettazione pari ad un’angolazione di 120° per un raggio di 1000km (potenzialmente estendibile a 2000km). Basato a Seongju, regione del North Gyeongsang a 400 metri sopra il livello del mare, il THAAD consente di difendere 2/3 del territorio sud-coreano dalla minaccia balistica nordcoreana.
Il dispiegamento di questo dispositivo, la cui installazione ha avuto inizio lo scorso 25 aprile presso l’area prestabilita, è stato oggetto di accese proteste da parte di Pechino che, appoggiata da Mosca, ha evidenziato gli svariati effetti negativi che la messa in campo del THAAD arrecherebbe ai suoi interessi regionali e alla stabilità dell’area nordest asiatica in generale. Nello specifico, i motivi dell’opposizione che la Cina ha riportato a Stati Uniti e Corea del Sud sarebbero tre: la propria sicurezza nazionale, una percepita polarizzazione degli attori in gioco in senso sfavorevole alla Cina e il cambiamento di balance of power nell’area.
Andando con ordine, ad allarmare Pechino in merito alla propria sicurezza nazionale è il radar del dispositivo. Infatti, con un raggio d’azione di 1.000km, lo sguardo dell’AN/TPY-2, e dunque dei suoi operatori (statunitensi), non si ferma solamente ai confini della Corea del Nord, ma penetra anche i territori cinesi quasi fino Changchun. L’area di Changchun, a sud della Regione Militare dello Shenyang, è di particolare importanza per la Cina, che proprio in quella zona dispone di siti importanti per l’addestramento e la formazione delle proprie forze militari terrestri e aeree.
Il secondo punto si riferisce invece al dispiegamento del THAAD come strumento diplomatico di consolidamento della cooperazione difensiva tra Giappone, Sud Corea e Stati Uniti. Infatti, i tre Paesi a breve saranno ulteriormente uniti dalla condivisione dei dati che saranno rilevati dal sistema.
Infine, per ciò che concerne invece il balance of power, con il posizionamento del dispositivo Pechino ha percepito un’improvvisa riduzione della sua libertà e capacità d’azione in quella zona. Nell’ottica cinese, infatti, il THAAD altro non sarebbe che un’ulteriore barriera volta a contenere una sua possibile azione o reazione nell’area qualora se ne presentasse la necessità. Insieme, gli ultimi due punti, cambiano secondo Pechino la geopolitica dell’intera area nord-est asiatica in maniera più sfavorevole alla Cina.
In effetti, le percezioni cinesi non sono del tutto errate. Ad esempio, è un fatto reale che il radar possa monitorare parte del territorio cinese con tutti i vantaggi del caso in materia di intelligence, sorveglianza e ricognizione per le Forze americane nell’area.
Parzialmente vera è, invece, la percezione della stretta del rapporto tra Giappone, USA e Corea del Sud dovuto al dispiegamento del THAAD, in chiave anticinese. Parzialmente, perché i futuri risvolti per la Cina sembra dipenderanno proprio dalla reazione della Cina stessa. Infatti, come è stato più volte ribadito da Seul e Washington, scopo del dispositivo, di natura difensiva, è esclusivamente quello di contenere l’aggressività del regime di Pyongyang. L’adozione di tale strategia, di cui il THAAD è manifestazione fisica, è conseguenza dell’incapacità cinese di gestire le intemperanze militari del suo vicino. In questo senso, perciò, il posizionamento del THAAD in Corea del Sud appare piuttosto come un ulteriore segnale di Washington e Seul volto a spronare la Cina a cambiare nel breve termine la sua politica estera nell’area.
Per ciò che concerne invece il balance of power, nell’ottica di Pechino tale misura mirerebbe a creare quelle condizioni favorevoli al contenimento della Cina, da sempre rivale strategico degli USA in quell’area, qualora si presentasse l’occasione di un conflitto. Questa visione, in realtà, non sembrerebbe reggere proprio dal punto di vista militare. Innanzitutto per quelle che sono le caratteristiche operative del THAAD, il quale, di fatto, protegge solo 2/3 del territorio sudcoreano, lasciando scoperta tutta l’area meridionale, il Mar Giallo e il Mar Cinese Orientale, ossia le aree di importanza strategica per la Cina[4]. Considerando, inoltre, la netta superiorità delle capacità offensive cinesi nell’area rispetto a quelle difensive di una sola batteria THAAD, la tesi di Pechino perde del tutto di sostenibilità. Casomai, il vantaggio dato dal THAAD potrebbe essere visto in termini di early warning, ma esso rimane comunque limitato, in quanto il meccanismo principale di allarme antimissile di Stati Uniti e Giappone nella regione è basato da tempo sul pattugliamento dei cacciatorpediniere Aegis delle rispettive Marine negli specchi di mare limitrofi. Inoltre, il dispiegamento di una batteria THAAD presso la base statunitense di Guam, già dal 2013, ha anch’esso lo scopo di intercettare eventuali attacchi missilistici provenienti da quella zona e diretti verso le coste del Nord America, motivo per cui si può affermare che, ad oggi, lo schieramento del THAAD in Corea del Sud non sembra aver cambiato di molto la situazione per la Cina, né tantomeno gli equilibri geopolitici dell’area.
In conclusione, le preoccupazioni di Pechino, e dunque le sue proteste, sembrano essere rivolte più che altro alla svolta, in senso maggiormente operativo, della presenza statunitense nell’area in sé per sé. Tali preoccupazioni sono dovute a due ordini di motivi: da una parte alle capacità del THAAD di penetrare una piccola, ma importante, percentuale del suo territorio, dall’altro al possibile futuro miglioramento delle relazioni militari tra Sud Corea e Giappone, suggellato dagli Stati Uniti. Infatti, questa stretta, già preoccupante di per sé agl’occhi di Pechino, segnala inoltre l’inizio di una politica più spigolosa nei confronti del programma nucleare nord coreano da parte della nuova Amministrazione americana e dei suoi alleati regionali. Una dichiarazione, questa, che pone Pechino nella condizione di dover prendere una scelta più netta in merito alla politica estera da portare avanti nei confronti di Pyongyang al fine di salvaguardare i propri interessi strategici. Se infatti fino ad oggi la Cina si è destreggiata tra sanzioni firmate, ma non implementate, così mantenendo una politica opaca nei confronti del programma nucleare nordcoreano, alla luce dei recenti avvenimenti e delle ultime dichiarazioni del Presidente Trump, le sue intenzioni dovranno essere più chiare e ne dovrà rendere conto alla comunità internazionale.

[1] La Corea del Nord ha accelerato lo sviluppo delle armi nucleari effettuando 3 test nucleari dal 2013 ad oggi. Il programma nucleare nordcoreano è andato di pari passo con lo sviluppo del relativo programma missilistico, il quale ha visto il suo ultimo test, fallito, proprio lo scorso 16 aprile. Ad oggi, Kim Jong-Un dispone, dunque, della tecnologia balistica a medio e corto raggio e ha dischiarato di esser pronto a testare la tecnologia di raggio intermedio.

[2] Una strategia di deterrence by denial consiste nello scoraggiare il proprio nemico ad attaccare, persuadendolo del fatto che ogni suo sforzo verrebbe vanificato dalle contromisure intraprese (debitamente comunicate).

[3] La tecnologia hit-to-kill è caratteristica dei sistemi Kinetic Kill, ossia di quei sistemi che sfruttano l‘energia cinetica dell’impatto con l’obbiettivo per la neutralizzazione dello stesso.

[4] Il dibattito è aperto a Seul in merito l’acquisto di un THAAD da posizionare a copertura del restante terzo di territorio, per proteggerlo appunto da eventuali attacchi lanciati via mare.

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