Geopolitical Weekly n.257

Geopolitical Weekly n.257

Di Monica Esposito e Valeria Tisalvi
27.04.2017

Cina

Lo scorso 26 aprile si è tenuto, presso il cantiere navale di Dalian, Liaoning, il varo della seconda portaerei cinese, la nuova Shandong. Ispirata al design della russa classe Kuznestov e capace di accogliere fino a 24 aerei e 17 elicotteri, la Shandong è la prima portaerei di produzione interamente domestica e costruita in meno di un anno e mezzo (inizio dei lavori nel tardo 2015), a simboleggiare la volontà di Pechino di governare questa capacità produttiva fondamentale a livello nazionale, soprattutto alla luce delle nuove aspirazioni cinesi circa il controllo delle SLOCs fondamentali per la sua sicurezza. Nello specifico, la Shandong, che verrà consegnata alla People’s Liberation Army Navy entro il 2020 (dopo il consueto periodo di test e addestramento dell’equipaggio), è un’unità a propulsione convenzionale che presumibilmente verrà impiegata a salvaguardia degli interessi nazionali cinesi nel Mar Cinese Meridionale, dunque dedicata a rafforzare la postura militare di Pechino nell’area. La Shandong è, però, il secondo tassello di un piano molto più ampio, attraverso il quale la Cina acquisirà quella blue-water Navy che le permetterà di incrementare il suo ruolo in termini di potenza marittima a respiro globale, perfettamente in linea con la sua politica di potenza emergente. Il piano prevede infatti la costruzione di altre 2 (se non 4) portaerei, di cui una è già in fase di realizzazione presso il cantiere navale della Jiangnan Shipyard Co. Ltd., Shangai. Nei progetti di Pechino, dunque, le prossime portaerei, a propulsione nucleare, saranno impegnate nella proiezione degli interessi nazionali cinesi a livello a globale.

Francia

Nel pomeriggio di lunedì 24 aprile, il Ministero degli Interni ha reso noti i risultati definitivi del primo turno dele elezioni presidenziali, tenutesi domenica 23 aprile. Al primo posto è arrivato Emmanuel Macron, ex Ministro dell’Economia, dell’industria e del Digitale nel secondo governo Valls (dal 2014 al 2016) ed espressione del partito politico indipendente En Marche!, che con il 24,01% dei voti può accedere al ballottaggio contro il secondo candidato classificato, Marine Le Pen, in quel momento leader del partito populista di estrema destra Front National (FN), che ha ottenuto il 21,30% dei voti. I due candidati si sfideranno, dunque, al secondo turno che si terrà il prossimo 7 maggio. Al terzo posto si è posizionato François Fillon, esponente del partito di centro-destra, Les Républicains (LR), con il 20.01% dei voti. Jean-Luc Mélenchon, candidato di punta della sinistra francese, ex co-fondatore del Parti de Gauche (PG) e presentatosi alle elezioni presidenziali con un movimento fortemente progressista, La France Insoumise, ha ricevuto, invece, il 19.58 % di voti, sopravanzando così il candidato del Parti Socialiste (PS), Benoit Hamon, che ha raccolto solo il 6,36% dei voti. L’esito del primo turno, che ha visto un’affluenza del 77%, sembra quindi aprire una nuova stagione politica in Francia, caratterizzata dal superamento dei partiti tradizionali. Il partito En Marche! di Macron è, infatti, entrato nello scacchiere politico soltanto un anno fa, mentre il FN, sebbene presente nella politica francese dal 1980, ha registrato un considerevole ampliamento del proprio bacino di consensi. I due partiti presentano programmi politici dicotomici, soprattutto su due temi: l’Europa e le politiche di immigrazione. In campagna elettorale, Macron si è rivelato profondamento filo-europeista, mentre la leader di FN ha dichiarato di voler uscire dall’Unione Europea nel caso della sua ascesa all’Eliseo. Marine Le Pen ha mostrato una linea molto dura anche contro l’immigrazione, proponendo condizioni più proibitive per l’ottenimento dell’asilo e della cittadinanza, il rafforzamento delle procedure di espulsione automatica di criminali e delinquenti. A queste misure si sono contrapposte le posizioni liberali pro-accoglienza di Macron. In uno scenario tanto diviso, i partiti sconfitti devono decidere a quale candidato indirizzare i propri consensi, al fine di giocare il loro, residuale, ruolo nella definizione dei futuri assetti politici nazionali. Les Républicains di Fillon e il Parti Socialiste di Hamon hanno già annunciato il proprio sostegno a Macron, mentre Mélenchon ha preferito non esprimersi a riguardo. Risulta difficile prevedere, tuttavia, quanto i voti saranno compatti e quanti elettori, stretti tra due posizioni così agli antipodi, si asterranno. In questo senso, la recente decisione, lo scorso 25 aprile, di Marine Le Pen di lasciare la guida del Front National sembra, dunque, funzionale a catalizzare i consensi anche degli elettori più moderati, degli indecisi e di parte del bacino elettorale di Mélenchon, le cui posizioni anti-europeiste e in materia di contro-terrorismo sono molto vicine a quelle di FN. All’indomani dell’esito del primo turno, resta, dunque, un clima politico incerto, che si inserisce in un periodo difficile per la Francia, ancora sotto lo stato di emergenza in seguito ai diversi attentati che hanno colpito il Paese dal 2015 a questa parte, e che rischia di esacerbare ulteriormente le tensioni sociali.

Russia

Un gruppo affiliato ad al-Qaeda ha rivendicato l’attentato che lo scorso 3 aprile ha colpito la metropolitana di San Pietroburgo, provocando la morte di 16 persone. Il gruppo si chiama “Katibat al-Imam Shamil”, ovvero “Battaglione dell’Imam Shamil” e ha affermato di aver agito su ordine dell’attuale leader di al-Qaeda, Ayman al Zawahiri. L’attacco, a differenza dei recenti episodi di Stoccolma, Parigi e Londra, non era stato fino a questo momento rivendicato da nessuna organizzazione terroristica, compreso Daesh. Nel comunicato viene citato il nome dell’attentatore, Akbar Jan Jalilov, e viene ribadito come la Federazione Russa non sia al sicuro, potendo essere in qualunque momento colpita da nuovi attacchi, almeno finché il governo russo non interferirà più “nelle nazioni musulmane, in Libia, Siria, Cecenia”. La rivendicazione non è stata ancora confermata da fonti indipendenti. Per quanto riguarda l’organizzazione terroristica, si tratta di un gruppo di recente formazione, semi-sconosciuto, che probabilmente è alla ricerca di visibilità e notorietà attraverso le sue azioni: in tale ottica si può leggere l’affiliazione ad al-Qaeda, che da parte sua potrebbe aver colto l’occasione per rilanciare la propria azione a livello internazionale e saldare i legami con il jihadismo ceceno, già comprovati dalla perdurante relazione tra l’organizzazione e l’Emirato del Caucaso (Imrat Kavkaz). Quest’ultimo ha rappresentato la principale organizzazione eversiva di matrice islamista attiva in Russia tra il 2007 e il 2015. Il nome del gruppo, “Battaglione dell’Imam Shamil”, rimanda al leader politico e religioso avaro che fu anche a capo della resistenza contro i Russi nella guerra caucasica che si è svolta a fasi alterne nella prima metà dell’Ottocento. Il nome potrebbe dunque richiamare la lotta per l’indipendenza delle Repubbliche russe al confine con il Caucaso, e quindi ricollegarsi anche al problema securitario rappresentato dal terrorismo ceceno. Se la rivendicazione fosse confermata si tratterebbe di un segnale importante riguardante il tentativo di al-Qaeda di riaffacciarsi prepotentemente sullo scenario internazionale e di guadagnare consenso nel panorama estremista globale dopo aver conosciuto, negli ultimi anni, un sensibile ridimensionamento del proprio appeal ai danni di Daesh.

Turchia

Il 26 aprile, le forze di polizia turche hanno condotto una vasta operazione contro i presunti affiliati al movimento religioso e sociale islamista Hizmet (“Servizio”), guidato da Fetullah Gulen, imam residente negli Stati Uniti dal 1999 e attualmente ritenuto principale antagonista del Presidente Recep Tayyep Erdogan e del suo partito, l’AKP (Adalet ve Kalkinma Partisi, Partito per la Giustizia e Sviluppo).  L’operazione di polizia ha riguardato tutte le 81 province del Paese e ha condotto all’arresto di circa 1.000 persone, molte delle quali ufficiali di pubblica sicurezza e agenti di Polizia. Si tratta della maggiore operazione di polizia dal 15 luglio 2016 quando, all’indomani del fallito tentativo di colpo di Stato da parte di alcune sezioni delle Forze Armate, il governo aveva disposto una larga indagine che aveva condotto all’arresto di circa 8.000 persone e alla sospensione o al licenziamento di circa 70.000 tra impiegati pubblici, soldati e agenti di polizia. Hizmet, che il governo turco definisce un gruppo terroristico, è stato accusato di aver orchestrato il fallito colpo di Stato e di continuare a minacciare l’integrità dell’apparato statale turco e delle sue istituzioni. La ripresa delle operazioni di polizia nei confronti del network gulenista avviene a poco più di una settimana di distanza dalla contestata vittoria del referendum costituzionale dello scorso 16 aprile, ritenuta dalle opposizioni turche una legittimazione legale dell’autoritarismo personalistico costruito da Erdogan. Dunque, in questo senso, la massiccia operazione di polizia potrebbe rappresentare la prosecuzione del processo di epurazione di possibili oppositori al governo e la bonifica delle burocrazie statali da elementi ritenuti pericolosi per il Presidente e per l’egemonia dell’AKP.

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