L’ombra cinese sull’Asia Centrale
Asia e Pacifico

L’ombra cinese sull’Asia Centrale

Di Giuseppe Marino
04.04.2017

Le ex Repubbliche Sovietiche di Tagikistan, Kazakhstan, Uzbekistan, Kirghizistan e Turkmenistan ricoprono un ruolo fondamentale dal punto di vista geo-strategico nell’Asia centrale, sia per la propria collocazione geografica che per le immense risorse naturali (soprattutto energetiche) di cui sono dotate. Dopo esser stati parte rispettivamente dell’Impero Zarista e dell’Unione Sovietica, gli Stan Country hanno raggiunto l’indipendenza nel 1992, aprendosi così per la prima volta a relazioni bilaterali con Stati esteri. Nonostante il tentativo russo di mantenere legami privilegiati con le sue ex repubbliche mediante la creazione della CSI (malriuscito tentativo di replicare il Commonwealth britannico), i nuovi Stati indipendenti finirono inesorabilmente col stimolare l’interesse delle potenze occidentali ed asiatiche. Il Paese che più di tutti ha tentato di approfittare del mutamento dello status quo sovietico nell’Asia centrale è stata la Cina. Seppur alle prese con una forte inflazione (20%) dall’ inizio degli anni’90, la Cina ha sfruttato a proprio vantaggio il degrado economico di questi Paesi, ricchi di risorse ma prive di un’economia di mercato ed in piena recessione.
Ad oggi, il Kazakhstan è il principale partner economico della Cina nell’Asia centrale, ruolo che ricopre soprattutto grazie alla ricchezza dei suoi giacimenti petroliferi. La crescita degli scambi economici in questi 25 anni è stata lenta ma graduale. Lo dimostra il fatto che, ancora nel 2006, il mercato kazako rappresentava solo lo 0,49 % dell’intero export del mercato cinese, mentre la Cina il 15% di quello kazako, secondo solo alla Russia. Un incremento sostanziale si è verificato negli ultimi anni, specialmente dopo il “Memorandum of cooperations 2008/2010” firmato nel 2007, che ha portato ad un aumento delle esportazioni del petrolio kazako e ad una massiccia diversificazione degli investimenti cinesi nel Paese. Il Kazakhstan agli occhi della Cina rappresenta il corridoio principale tra Asia ed Europa per la realizzazione della New silk road, nuova strategia di sviluppo commerciale di Pechino lanciata nell’ottobre del 2013, con l’obiettivo di ricreare la rotta commerciale tra l’Oriente e l’Occidente. Fulcro principale della strategia è la Belt and Road initiative, il piano di sviluppo delle infrastrutture di trasporto per il collegamento degli stati interessati. Essa è composta dalla Silk Road Economic Belt e dalla Maritime Silk Road, e prevede la realizzazione di collegamenti stradali, ferroviari e marittimi. Non è un caso che il numero dei progetti commerciali tra Cina e Kazakhstan sia aumentato negli ultimi tre anni. Infatti, dal gennaio 2016 ad oggi ne sono stati firmati 52, in particolare riguardanti infrastrutture e rete di trasporti, che porteranno il valore dell’interscambio tra i due Paesi dagli attuali 24 miliardi di dollari annui a 50 miliardi di dollari. L’elenco dei progetti e dei finanziamenti, alcuni dei quali coadiuvati dalla Bank of asian Investment, prevede: la lavorazione dell’acciaio e di metalli non ferrosi, l’aumento dell’esportazione di petrolio (previsto l’aumento a 22 milioni di tonnellate di greggio l’anno entro il 2020), la raffinazione del petrolio, lo sviluppo del settore automobilistico kazako, l’energia idroelettrica e nucleare, agricoltura e trasporti. La fitta partnership sino-kazaka prevede inoltre da tempo la cogestione delle frontiere della regione autonoma cinese dello Xinjiang. La regione, situata nel nord ovest della Cina, è da sempre molto turbolenta per via delle rivalità etnico- religiose tra l’etnia han e quella uigura, ma presenta diverse minoranze etniche, tra cui quella Kazaka (6% della popolazione). Avendo l’obiettivo di controllare le frontiere dell’intera regione per scoraggiare e contrastare l’operato dei movimenti indipendendisti e terroristi ivi presenti, la Cina riserva una percentuale dei suoi investimenti agli armamenti e agli addestramenti militari verso quei Paesi che cooperano con lei.
Il Turkmenistan è, dopo il Kazakhstan, il secondo partner economico della Cina tra gli Stan Country. L’interscambio commerciale tra i due Paesi solo nel periodo tra il 2006 e il 2013 è centuplicato, superando la soglia dei 10 miliardi di dollari annui. Il gas turkmeno ha assunto una crescente rilevanza per il mercato cinese riducendo notevolmente negli anni la dipendenza cinese dal gas russo. Non è un caso che negli anni il fabbisogno cinese di gas turkmeno sia cresciuto a tal punto da rappresentarne oggi il principale mercato con il 70% del gas esportato, che entro la fine dell’anno dovrebbe attestarsi intorno ai 65 miliardi di metri cubi. Uno dei risultati principali della crescente dipendenza cinese dal gas turkmeno è stata la costruzione della Central Asia China Gas Pipeline (CACGP). Il gasdotto è suddiviso in 3 linee: la linea A, lunga circa 1833 km, parte dal Turkmenistan e raggiunge la regione cinese dello Xinjiang passando per Uzbekhstan e Kazakhstan; la linea B, lunga 2228 km collega il Kazakhstan alla Cina; la linea C, lunga 7378 km collega la regione cinese dello Xinjang con la regione dello Fujian. Il nuovo progetto invece prevede la costruzione di una quarta linea, la linea D (iniziata nel 2014), che attraverserà anche Uzbekistan, Tajikistan e Kyrgyzstan. Essa Sarà lunga 1000 km e alla sua conclusione incrementerà l’export del gas turkmeno a 85 miliardi di metri cubi l’anno. A questo investimento è seguito quello di circa otto miliardi di dollari per il completamento e l’inaugurazione del giacimento di Galkynysh, il secondo giacimento di gas più grande del mondo. Da questo giacimento partono alcuni dei gasdotti citati mentre altri in pianificazione saranno inaugurati entro il 2020. Il consorzio petrolifero cinese così facendo si assicura i diritti di sfruttamento del gas turkmeno, trasportandolo tramite i suoi gasdotti non solo in Cina ma in tutta l’Asia centrale. Nonostante l’asse dei rapporti economici sino-turkmeni ruoti intorno all’energia, negli ultimi anni gli investimenti di Pechino hanno coinvolto vari settori: le infrastrutture e i trasporti locali, il settore agricolo e non ultimo lo sviluppo tecnologico in vari settori industriali.
Rispetto ai casi sopra citati, la presenza cinese in Tagikistan, Uzbekistan e Kirghizistan è sicuramente più recente, soprattutto per via del legame privilegiato che questi tre Paesi hanno mantenuto con Mosca. Il Tagikistan per esempio, solo di recente (2015) ha aperto le sue frontiere agli investitori stranieri. In questi anni infatti, l’economia tagika ha continuato ad essere legata agli aiuti internazionali nei settori alimentare, edile e delle infrastrutture, oltre ad essere vincolato a Russia e Uzbekistan per quanto riguarda il comparto energetico. L’interesse cinese in Tagikistan mira allo sviluppo ed allo sfruttamento delle due fonti primarie dell’economia del Paese che restano tutt’oggi un potenziale inespresso: le risorse minerarie e l’energia idroelettrica. In tal senso il 25 febbraio 2015 il parlamento tagiko ha ratificato un accordo tra il governo e la cinese Tajik-Sino Mining Company incentrato sullo sviluppo del deposito minerario di Zarnisori Shimoli, ubicato nella regione amministrativa di Sughd, nel nord-est del Paese. L’accordo, per il quale sono stati stanziati inizialmente 200 milioni di dollari, prevede l’estrazione di due milioni di tonnellate di piombo grezzo e la produzione annuale di 20.000 tonnellate di piombo raffinato, con la creazione di 2000 nuovi posti di lavoro nell’area. La strategia economica cinese si intreccia facilmente agli interessi del governo tagiko. L’obiettivo primario di Dushanbe è porre fine all’isolazionismo non solo politico-economico ma anche geografico del Paese. Essendo costantemente alla ricerca di finanziatori per molti progetti di riqualificazione urbana e nel settore dei trasporti, il Tagikistan ha trovato in Pechino un florido alleato, grazie ai prestiti cinesi a tasso zero forniti alle imprese tagike.
A differenza del Tagikistan, l’Uzbekistan ha già nella Cina il suo principale partner economico, basti pensare che nel 2012 il valore dell’interscambio commerciale era cresciuto a circa 15 miliardi di dollari. Attualmente sono circa 488 le compagnie cinesi che sono in funzione in Uzbekistan. Anche qui l’interesse principale è soprattutto verso le risorse energetiche, come petrolio e gas. L’Uzbekistan infatti è uno dei Paesi partecipanti al progetto della Central Asia China Pipeline. Qui, mediante la creazione di una joint venture sino-uzbeka, è stata disposta la costruzione e la successiva gestione della quarta linea del gasdotto, che trasporterà oltre al gas turkmeno anche quello uzbeko. Il contributo uzbeko al mercato cinese non si esaurisce solo agli idrocarburi. Esso infatti fornisce fibre di cotone, fertilizzanti minerali, gas naturale, metalli non ferrosi e altri beni, facendo sì che circa il 13% dell’export uzbeko sia diretto verso la Cina. Di recente, la compagnia uzbeka Navoi-Azot e la corporazione China Engineering hanno firmato un accordo da 400 milioni di dollari per la costruzione di un complesso chimico nella città di Navoi, dove verrà prodotto il “polivinilchlorid”, elemento chimico composto da soda caustica e metanolo. Importanti sono gli investimenti e gli aiuti forniti dalle imprese cinesi a quelle uzbeke in vari settori: telecomunicazioni, nucleare, agricolo, meccanico e militare. In quest’ultimo settore numerosi sono gli accordi di cooperazione e di vendita di armamenti, visto anche l’appoggio uzbeko alle cause cinesi nel Tibet e nello Xinjiang.
La principale caratteristica del Kirghizistan è la sua posizione geografica, cruciale per la sua rotta commerciale e perno della rete di infrastrutture e trasporti che Pechino sta realizzando per ricostruire la Via della Seta con l’Europa. Progetti di strade e autostrade che rientrano nella Belt and Road iniziative di Pechino si susseguono, come l’autostrada che attraversa la parte meridionale del Paese. Un investimento da 855 milioni di dollari di cui metà a carico cinese, veicolati dalla Export-Import Bank of China. L’accordo prevede che il 30% delle maestranze sia cinese mentre il 70% locale. Di rilevante importanza è la realizzazione dell’Uzbekistan-Kyrgyzstan-China railway project, ferrovia che collegherà i tre Paesi, semplificando il trasporto di merci e persone e risaltando la centralità del Kirghizistan come hub dei trasporti della nuova Via della Seta. Ciò che appare chiaro alla lettura della strategia economica di Pechino è il suo status di potenza globale acquisito negli ultimi anni.
Nell’ultimo quarto di secolo la Cina si è progressivamente sostituita al colosso sovietico, non mediante la logica della deterrenza bensì grazie ad una spregiudicata economia, che ha consolidato la sua influenza nella regione asiatica a discapito della Russia e degli Stati Uniti. E’ in quest’ottica che va vista la costituzione nel 2001 dell’Organizzazione di Shangai per la Cooperazione, che annovera tra i suoi Paesi membri Cina, Russia, Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbeckistan. Nata come organismo intergovernativo in materia di sicurezza, l’organizzazione, nel 2003, su iniziativa cinese, è stata estesa alla cooperazione economica. Seppur ponendo come obiettivo di lungo termine la realizzazione di un’area di libero scambio tra i Paesi membri, venne data comunque la priorità allo sviluppo di progetti legati al settore degli idrocarburi. L’operato del Gruppo di Shangai procede oggi parallelamente all’obiettivo di Pechino di riprodurre la Via della Seta, ricreata soprattutto grazie agli investimenti in infrastrutture e trasporti negli Stan countries. Investimenti che sono frutto di una strategia economica “win win”, dove tutti sono vincitori, a cominciare dai Paesi interessati che beneficiano di lavoro, servizi ed infrastrutture.

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