Russia, Giappone e il pericoloso vicino a sud delle Curili
Asia e Pacifico

Russia, Giappone e il pericoloso vicino a sud delle Curili

Di Laura Borzi
20.07.2011

Il 16 maggio, il Giappone ha ufficialmente protestato contro la visita nelle isole Curili di Iturup e Kunashir da parte di una delegazione governativa russa guidata dal Ministro degli Interni Ivanov. È la terza volta che la questione è sollevata da Tokyo.

Una prima visita del presidente Medvedev si era svolta a novembre 2010 e una seconda lo scorso febbraio suscitando altrettanto clamore. Nessun leader russo (né sovietico) si era recato, infatti, in quella parte meridionale dell’arcipelago compreso tra l’isola giapponese di Hokkaido e la penisola russa della Kamčatka, di cui quattro isole, rivendicate dal Giappone e indicate da questi come territori del Nord, sono ancora oggetto di una disputa territoriale risalente alla fine del secondo conflitto mondiale.

Il contrasto, che ha impedito ai due Stati di firmare un trattato di pace, sembra essersi riacutizzato anche per l’attivismo mostrato da Mosca negli ultimi mesi, verso il rafforzamento delle strutture militari nelle isole contestate. Medvedev ha affermato che le isole di alto valore strategico, sono e resteranno parte del territorio della Federazione russa. In un anno pre-elettorale, la visita ufficiale del Presidente è volta anche a mostrare il suo patriottismo. Dal punto di vista economico è importante, oltre alle risorse ittiche, lo sfruttamento delle potenzialità geotermiche dei territori (capacità di 295 megawatt in 100 anni) che non possono essere trascurate per un Paese che ha fatto delle risorse energetiche uno degli strumenti cardine della politica estera.

Il Giappone ha rifiutato una proposta russa fatta lo scorso dicembre per la creazione di una zona di libero commercio. Tuttavia Tokyo dovrebbe giungere a ben più miti propositi e considerare i vantaggi economici della cooperazione con i russi anche a monte della crisi energetica provocata dall’incidente di Fukushima. La Russia non rivedrà la situazione territoriale uscita dal secondo conflitto mondiale. Vi è un’opposizione populista e nazionalista contraria a qualsiasi concessione in questo senso.

Un Paese che storicamente ha una coscienza territoriale che va ben oltre le frontiere tracciate, non concepirebbe in alcun modo un adeguamento dei confini al ribasso. Al contrario, Mosca sta attuando una politica di ammodernamento delle strutture militari in quei territori, anche se questa deve essere vista nell’ottica di una più ampia ristrutturazione del distretto militare orientale. Il rafforzamento include, infatti, varie componenti come la forza nucleare sottomarina, l’aviazione e le forze terrestri.

Eco maggiore ha avuto la notizia del possibile dispiegamento di uno dei migliori sistemi antiaerei russi, l’S-400 Triumf, proprio alle Curili. In realtà, tale progetto relativo a quest’avanzato sistema terra–aria in grado di ingaggiare ogni tipo di minaccia aerea (aerei stealth, missili cruise e balistici) in un raggio di 400 km, era noto alla stampa russa già dal 2009, dopo i test nucleari della Corea del nord e dopo che gli ambienti militari avevano evidenziato come l’ascesa della Cina potesse rappresentare un pericolo nella parte più orientale del territorio russo. Mosca intende inoltre schierare nelle isole il sistema mobile Bastion, per la difesa costiera, dotato di missili antinave Yakhont, i missili terra- aria Tor 2 ed elicotteri di attacco Mi-28. Questi sistemi d’arma mostrerebbero che la Russia teme attacchi terrestri o anfibi ed il desiderio di contrastarli a largo. Infatti, il missile supersonico Yakhont, che usa una tecnologia stealth, può essere lanciato al di sopra o al di sotto della superficie del mare ed è designato per l’ingaggio di navi nemiche ad una distanza di 300 Km.

Il deterioramento dei rapporti con Tokyo ha certamente risentito di una sfortunata coincidenza temporale. L’annuncio di decisioni risultato di una strategia di lungo periodo verso l’estremo oriente russo ha in gran parte contribuito alla crisi diplomatica tra i due Paesi. Tuttavia, nello stesso mese di febbraio, Mosca ha dichiarato che sarebbe continuata la cooperazione militare con il Giappone e con i Paesi della regione a patto che questi accettassero i diritti inalienabili di sovranità di Mosca su quei territori. L’alterazione delle relazioni russo-nipponiche è comunque per Mosca praticamente a costo zero poiché il Giappone continuerà a fare accordi con il Cremlino. La rivalità sembra in sostanza altrove, verso la Cina e anche se con modalità diverse, nei confronti di Washington.

Lo scorso anno le esercitazioni joint Vostok-2010, in Siberia e nel Pacifico simulavano presumibilmente un attacco da parte dell’esercito cinese. Lo scenario scelto era significativo. Qui si prevedeva ad esempio l’uso di armi nucleari tattiche e una guerra sottomarina. Nota è la tendenza di ammodernamento del settore navale intrapresa da Pechino. Infatti, accanto allo sviluppo di capacità di difesa antiaerea di area e capacità anti-nave e anti -superficie, il settore subacqueo è quello cui la Cina ha prestato particolare attenzione nello sviluppo del proprio potere navale da qui il focus di Mosca in proposito. L’esercitazione Operation Stride condotta dalla Cina nel 2009, inoltre, ha fatto sorgere delle preoccupazioni al Cremlino. La regione è in altre parole considerata il teatro di conflitto più probabile nei prossimi 20-30 anni.

Tornando alla controversia con il Giappone, non sembra, dunque, che lo scontro effettivo sia con Tokyo con il quale la disputa è destinata a rimanere circoscritta e con cui nel lungo periodo la collaborazione politica è destinata a progredire. Si tratta piuttosto di un’opera generale di messa in sicurezza dell’area. Infatti, a Vladivostok, continua la costruzione delle infrastrutture che dovranno ospitare le 2 Mistral che saranno costruite in Francia per la Marina russa, destinate a diventare parte della Flotta del Pacifico nel 2014. Le suddette politiche indicano come le preoccupazioni per la crescita della “minaccia” cinese non sono una prerogativa dell’occidente. Questo tuttavia non equivale a considerare la rivalità Cina-Russia alla stregua del contrasto Cina-Giappone. Invero in questi giorni, l’ambasciatore cinese a Mosca ha rilevato, nel decennale dell’accordo di partenariato strategico tra Russia e Cina, il carattere generalmente positivo delle relazioni bilaterali. La cooperazione riguarda in particolare le forniture energetiche russe alla Cina (gas e petrolio) piani di cooperazione (comunicazioni, salute, trasporti) nelle regioni del nord est della Cina ed estremo oriente russo.

Nel settembre 2010 è stato inaugurato un oleodotto che collega la Siberia orientale (Skovorodino) alla Cina (Daquing). La presidenza Medvedev (2008) ha in effetti costituito una tappa importante nell’approfondimento della cooperazione energetica. Mosca intende diversificare le esportazioni di idrocarburi verso i mercati asiatici, diminuendo la propria dipendenza verso l’Europa. La Cina è notoriamente un enorme consumatore di prodotti energetici. La convergenza su molte questioni è innegabile. Fanno da traino a questa partnership non solo interessi economici, ma ad esempio l’idea comune di una via indigena allo sviluppo e il rigetto delle ingerenze occidentali nell’altrui sovranità territoriale.

Le ingerenze esterne, e non solo di carattere militare, a difesa dei diritti umani, possono incoraggiare minoranze turbolente (Cecenia, Tibet, Taiwan, Xinjiang) all’interno degli Stati e destabilizzarne l’ordine costituito. Tuttavia, non può sfuggire come una parte delle ambizioni internazionali non convergono del tutto. La direzione di sfida all’occidente è la stessa, ma il cammino è diverso. Lo sviluppo cinese disturba la Russia. Mosca, che venti anni fa era una superpotenza, ora rischia di fronte ad una minaccia anche demografica con pericolose pressioni proprio ai suoi confini, di diventare il partner minore di Pechino. In questa prospettiva, la stessa politica militare dà la misura dei timori di Mosca. Negli anni recenti si è registrato un rallentamento della vendita di armi alla Cina.

La concorrenza nel settore dell’export è la prima spiegazione di questa tendenza. Emerge tuttavia anche una preoccupazione di rilievo politico. Il Ministero della Difesa russo ha suggerito alle autorità politiche di evitare trasferimenti suscettibili di rivolgersi contro Mosca in caso di deterioramento delle relazioni bilaterali. Questa preoccupazione non era presente negli anni ’90 quando, a causa dell’embargo per i fatti di Tienanmen, l’equazione offerta–domanda era ineccepibile. La Cina acquistava allora sistemi russi di vecchia generazione mentre adesso richiede materiali sofisticati e vuole produrre armi sotto licenza o nel quadro di progetti industriali congiunti la Cina. Una preoccupazione comune a Mosca e Tokyo seppur in misura differente. Se per il Giappone le Curili rappresentano un problema storico irrisolto, sono comunque di marginale importanza rispetto ai mutamenti ben più significativi e preoccupanti rappresentati dalla crescente influenza non solo politica ed economica, ma anche militare della Cina.

L’incidente delle isole Senkaku nel mare della Cina del sud, zona d’interesse vitale per Tokyo, nel settembre 2010 è invece un contenzioso territoriale dietro cui si profilano divergenze politiche ben più profonde. L’incidente ha causato una tensione tale da distruggere in due settimane l’idea, mai del tutto assimilata, dell’ascesa pacifica della Cina. Questa intende ritagliarsi una libertà di movimento implicante una rimessa in causa dello status quo territoriale. Nel marzo 2009 la Cina ha dichiarato che la zona è parte dei suoi interessi essenziali. In realtà le isole Senkaku oltre al loro potenziale d’idrocarburi, ristringono il suo accesso all’oceano Pacifico. Gli interessi economici cioè sono presi a pretesto per ben altre rivendicazioni politiche, una sorta di guerra navale in nuce che si manifesta tramite il contenzioso aperto sulla delimitazione delle acque territoriali.

Difficile un ravvicinamento tra i due attori asiatici. Solo un’improbabile rottura Tokyo - Washington, che portasse ad un indebolimento delle posizioni americane nella regione, permetterebbe un dialogo migliore tra Cina e Giappone. In realtà, nonostante la questione delle basi americane a Okinawa, non sembra questa la direzione. Non solo il legame con gli Usa è saldo, ma Tokyo è uscita negli ultimi anni da quel trofismo pacifista che ne ha caratterizzato la politica estera dalla fine del secondo conflitto mondiale. Il Giappone infatti, non si discosta dal trend di aumento del dispositivo militare che ormai da tempo caratterizza il continente asiatico. Proprio nel settore navale il numero di sottomarini dovrebbe arrivare 78 per il 2020. L’obbiettivo è la costruzione di una capacità in grado di difendere le isole più remote, a rischio di un’azione da parte della Cina e per assicurare la sovranità nell’area marittima nipponica.

Il difficile dialogo con la Cina è anche alimentato dal fatto che questioni irrisolte all’interno della stessa leadership cinese sulla direzione futura dello sviluppo delle proprie potenzialità economiche e non solo, risultano all’esterno poco comprensibile e generano sospetti sulle reali intenzioni di Pechino. L’espansione economica e il potenziale militare della Cina richiedono al Giappone e agli altri Paesi della regione un nuovo orientamento strategico, vale a dire che una politica volta unicamente a contenere l’influenza cinese non è più possibile, un’interdipendenza è inevitabile. La Russia sembra essersi mossa per tempo in questa direzione.

Nei prossimi decenni l’ascesa cinese ed il declino relativo di Russia e Giappone potranno esacerbare le tensioni non solo perché Pechino cercherà di acquistare tramite le frontiere marittime “aperte” una crescente sfera di influenza nell’area, ma anche perché storicamente le potenze in declino possono risultare maggiormente aggressive.

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