Geopolitical Weekly n.249

Geopolitical Weekly n.249

Di Monica Esposito
02.03.2017

Filippine
Il 26 febbraio, il gruppo terrorista Abu Sayyaf ha decapitato il cittadino tedesco Jurgen Kantner, tenuto in ostaggio dallo scorso novembre, a seguito della scadenza dell’ultimatum sul pagamento del riscatto (600.000 euro) per la sua liberazione. L’uccisione di Kantner potrebbe essere avvenuta nell’Isola di Jolo, nel sud dell’arcipelago filippino. L’uomo era stato rapito assieme alla moglie, la quale però era rimasta uccisa durante il sequestro, avvenuto mentre I due si trovavano a bordo della loro barca al largo della Malesia. La coppia era già stata sequestrata da una banda di pirati somali nel 2008, tenuta in ostaggio per 2 mesi e successivamente liberata dopo il pagamento del riscatto.
L’uccisione di Kantner da parte dei miliziani di Abu Sayyaf non rappresenta un caso isolato. Infatti, durante il 2016, altri due cittadini canadesi, Robert Hall e John Ridsdel, sono stati rapiti e successivamente giustiziati a seguito del mancato pagamento del riscatto.
L’intensificazione delle condanne a morte dei propri ostaggi a seguito del mancato pagamento dei riscatti da parte dei governi è funzionale ad Abu Sayyaf per accreditarsi come principale formazione jihadista all’interno del Sudest asiatico. Lo scorso giugno, il gruppo ha dichiarato fedeltà alla Califfo al-Baghdadi e ha cercato di riunire le diverse anime dell’insorgenza islamista radicale filippina sotto un unico ombrello, per costituire la branca di Daesh nella regione. Il gruppo filippino, che ha la sua roccaforte nella fitta giungla dell’isola meridionale di Sulu, nell’ultimo anno ha intensificato la sua attività con il rapimento di decine di persone nelle acque a sud-ovest delle Filippine e nel nord-est della Malesia. I proventi di tali attività vengono reinvestiti nell’acquisto di armi, munizioni e nuove barche per poter ampliare il proprio raggio d’azione. Il governo filippino ha da tempo avviato una campagna volta a reprimere l’insurrezione di Abu Sayyaf; tuttavia, anche in virtù della particolare morfologia dei territori in cui il gruppo è stanziato, i risultati conseguiti fino ad ora non sono stati soddisfacenti.

Marocco
Lo scorso 26 febbraio, Re Mohammed VI ha annunciato il ritiro dell’Esercito da Guerguerat, villaggio a sud-ovest del Sahara Occidentale al confine con la Mauritania e “zona cuscinetto” delle Nazioni Unite. La Forze Armate di Rabat erano giunte nella zona lo scorso agosto per presidiare i lavori di costruzione di una arteria viaria lunga circa 4 km verso la Mauritania. Tale dispiegamento militare ha da subito incontrato una forte protesta da parte dalle autorità del Fronte Polisario (Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro) che hanno denunciato tale atteggiamento come una violazione degli accordi del cessate il fuoco in vigore dal 1991 e rafforzato la presenza dei propri assetti di sicurezza nella zona.
Sebbene il ritiro del proprio contingente da Guerguerat rappresenti un segnale di distensione da parte di Rabat, tale decisione non sembra essere propedeutica ad un cambiamento della posizione del Marocco nei confronti delle aspirazioni indipendentiste del Fronte Polisario. Al contrario, la scelta fatta da Re Mohammed VI, seguita ad una richiesta formale da parte del Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Gueterres, sembra essere funzionale alla volontà di reimpostare il dialogo con il Palazzo di Vetro sulla questione del Sahara Occidentale, cercando di smussare la posizione UN sulla questione referendaria dell’autodeterminazione del popolo Sahrawi.
Più in generale, l’azione di Rabat sembra essere sempre più incentrata a rafforzare la propria posizione all’interno dei principali consessi regionali e interazionali. Il 24 febbraio scorso, infatti, Re Mohammed VI ha presentato ufficialmente la domanda di adesione alla membership dell’ECOWAS (Economic Community of West Africa States, Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) dove fino ad ora godeva dello status di osservatore. Tale sforzo, seguito di poche settimane al rientro ufficiale nell’Unione Africana, sembra essere funzionale sia al potenziamento della penetrazione marocchina in tutto il continente africano sia ad ampliare le leve diplomatiche a propria disposizione per esercitare delle pressioni indirette sull’autorità del Fronte Polisario.

Siria
Il 2 marzo, l’Esercito siriano, supportato dall’aviazione russa, ha nuovamente riconquistato la città di Palmira, sottraendola alle milizie dello Stato Islamico (IS o Daesh). Il centro abitato è stato a lungo conteso tra le forze lealiste e le katibe di Daesh, passando sotto il controllo di uno dei due schieramenti per ben 4 volte a partire dal maggio 2015. Ripresa dai lealisti nel marzo 2016, Palmira era tornata sotto l’autorità del Califfato nel dicembre successivo, a causa dell’intensificazione dell’offensiva di Damasco su Aleppo e del conseguente alleggerimento del contingente militare a presidio della città.
La riconquista di Palmira rappresenta un importante risultato dal punto di vista strategico per via del passaggio dell’arteria stradale M20 che costituisce la principale via di comunicazione tra l’est e l’ovest del Paese (lungo la direttrice Homs - Deir Ez-Zhor).
Il successo della battaglia di Palmira ha rappresentato una discreta consolazione per il governo centrale, provato da una serie di attentati suicidi che hanno colpito Homs il 25 febbraio. Nello specifico, gli attacchi hanno colpito in maniera simultanea la sede dei servizi di Sicurezza dello Stato e delle Forze di intelligence militare, rispettivamente nei quartieri di Ghuta e Mahatta. Questi attentati hanno causato la morte di circa 32 persone tra civili e militari, tra cui il capo della sezione locale dei servizi di sicurezza militari, il Generale Hasan Daabul, uomo molto vicino al Presidente Bashar al-Assad. Tali attacchi sono stati rivendicati da Hayat Tahrir al-Sham, formazione nata nel gennaio del 2017 dalla fusione di diversi gruppi filo-qaedisti, tra i quali Jabhat Fateh al-Sham, il fronte Ansar al-Din, Jaysh al-Sunna, Liwa al-Haqq e il Movimento Nour al-Din al-Zink.

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