Geopolitical Weekly n.236

Geopolitical Weekly n.236

Di Ruggero Balletta
09.11.2016

Corea del Sud

L’8 novembre il Presidente della Repubblica di Corea, Park Geun-hye, ha ufficializzato la propria disponibilità a consultare il Parlamento per la designazione del nuovo Primo Ministro. La decisione giunge a pochi giorni dal rimpasto di governo deciso dal Presidente il 30 ottobre, in seguito le forti proteste popolari scoppiate a causa dello scandalo che ha coinvolto il Presidente e il partito di governo, Saenuri, nelle ultime due settimane. Il provvedimento, oltre all’ormai ex capo di governo Hwang Kyo-ahn, ha coinvolto anche il Ministro delle Finanze (nonché Vice-Primo Ministro) Choi Kyung-hwan, e il Ministro per la sicurezza pubblica Park Inyong. Sebbene inizialmente avesse optato per una scelta autonoma sul successore di Hwang, le proteste delle opposizioni hanno spinto la Presidente Park ad aprire alla consultazione con le opposizioni in Parlamento per la nomina del nuovo capo dell’esecutivo e ad affidare a quest’ultimo la gestione del Gabinetto dei Ministri. Tale scelta, dunque, sembrerebbe destinata a rafforzare la carica del Primo Ministro figura finora marginale all’interno della vita politica sudcoreana.
In questo contesto, il rimpasto dei vertici dell’esecutivo dovrebbe non solo portare all’interno della compagine governativa figure esterne al partito Saenuri, come estremo tentativo di creare un esecutivo di più ampio consenso ma soprattutto di aumentare la leva politica delle opposizioni nei confronti delle future politiche di Seoul. Al momento, infatti, nell’Assemblea Legislativa, oltre ai conservatori di Saenuri sono presenti altre tre formazioni politiche: il partito social liberale di centro sinistra, Minjoo, il Partito Popolare di area centrista e il Partito della Giustizia, considerato di sinistra. Un’eventuale convergenza di queste formazioni verso uno stesso candidato potrebbe portare alla nomina di un nuovo capo dell’esecutivo espressione non del partito di governo ma delle forze di opposizione. Inoltre, in un momento in cui lo scandalo in corso ha portato il consenso popolare nei confronti della Park ai minimi termini, il rafforzamento dell’esecutivo a discapito della carica presidenziale potrebbe portare ad una progressiva erosione della solidità della compagine conservatrice. La necessità di fare ampie concessioni alle altre formazioni politiche per scongiurare un’imminente crisi di governo, infatti, non solo sta marginalizzando la figura della Park ma di fatto sta sottraendo al partito Saenuri la gestione dei principali dossier di politica interna, di più immediato impatto sull’opinione pubblica.
Un simile spazio di manovra concesso alle formazioni di opposizione potrebbe rivelarsi cruciale in vista delle prossime elezioni presidenziali previste per il 2018, alle quali, per la prima volta in dieci anni, il partito conservatore potrebbe presentarsi in una posizione di netto svantaggio rispetto ai propri avversari, con ovvie ripercussioni sulla possibilità di esprimere il vertice istituzionale nei prossimi cinque anni.

Hong Kong

Il 7 novembre il Comitato Permanente della dodicesima Assemblea Nazionale del Popolo di Pechino si è espressa contro l’insediamento all’interno del Consiglio Legislativo (LegCo) di Hong Kong di Sixtus Leung e Yau Wai-ching, eletti tra le fila di Youngspiration, movimento che ha nel suo programma politico la costituzione di una repubblica di Hong Kong autonoma dalla Cina. Quest’ultimo è la costola politica del così detto “movimento degli ombrelli gialli”, che aveva occupato le piazze della Regione Autonoma nel 2014 e di cui Leung è considerato uno dei fondatori. Entrati nel Legco in seguito alle elezioni dello scorso settembre, Leung e Yau si sono in più occasioni rifiutati di pronunciare integralmente il giuramento che, come previsto dalla costituzione di Hong Kong, vincola ogni parlamentare e ne legittima la carica all’interno del Legco. Questo giuramento comprende la dichiarazione di fedeltà al governo di Pechino e il riconoscimento di Hong Kong come legittimo territorio cinese.
Prendendo spunto da questa previsione legislativa, il governo di Pechino ha agito sulla base dell’art. 104 della Legge Fondamentale di Hong Kong, che consente al governo di cinese di interpretare ogni legge in vigore sul territorio della Regione Autonoma, e ha disposto l’incompatibilità dell’atteggiamento dei due giovani parlamentari con l’assunzione dell’incarico legislativo. L’intervento della Cina è stato richiesto dal Governatore di Hong Kong Leung Chun-ying e del Segretario della Giustizia Rimsky Yuen, in seguito allo stallo politico di oltre due mesi che è seguito ai ripetuti rifiuti dei due neoeletti di pronunciare correttamente il giuramento. Benchè il governo cinese abbia fatto ricorso ad una prerogativa legalmente sancita dal sistema amministrativo di Hong Kong, l’interdizione dei due oppositori politici dal Legco, ha suscitato dure polemiche da parte dei sostenitori dello Youngspiration, che hanno interpretato il gesto come l’ennesimo atto coercitivo da parte del governo centrale per mantenere Hong Kong all’interno della propria sfera di controllo. In seguito alla pronuncia del Comitato Permanente, infatti, circa duemila attivisti e sostenitori delle istanze indipendentiste si sono riversati nelle piazze, come forma di protesta pacifica contro la decisione di pechino. Tuttavia, un eventuale passo indietro del governo di Xi Jinping al momento appare molto improbabile: l’episodio di Hong Kong, infatti, è solo l’ultimo esempio di una forte politica di centralizzazione che il Presidente cinese sta portando avanti ormai da diversi anni e che si è concretizzata in una dura opposizione contro tutti i movimenti indipendentisti, sia nello Xinjiang sia in Tibet e, non da ultimo, ad Hong Kong.

Siria

Domenica 6 novembre è iniziata una nuova operazione militare denominata Euphrates Rage, delle Forze Democratiche Siriane (SDF) sostenute dall’aeronautica americana, per riconquistare la città di Raqqa, considerata la capitale del sedicente Stato Islamico in Siria. L’SDF è una coalizione di forze curde e arabe, supportate dagli Stati Uniti. In particolare, all’interno dell’alleanza si annoverano i curdi dell’Unità di protezione popolare (YPG), nonché varie milizie come il Syriac Military Council e il Jabhat ThÅ«wwār ar-Raqqah, per un totale di circa 30.000 unità‎. Dunque, Washington non sembra aver accolto i reiterati inviti da parte di Ankara ad escludere da questa coalizione le milizie curde del YPG, considerate dal governo turco quali espressione diretta del Partito dei Lavoratori Curdo (PKK) e, quindi, come un’organizzazione terroristica. C’è da rilevare, però, che gli accordi tra le SDF e gli americani prevedono che solamente le forze arabe entreranno in città una volta sconfitto il Daesh, di fatto per evitare che la popolazione di Raqqa, a maggioranza sunnita, reagisca all’ingresso delle truppe curde facendo resistenza, complicando i piani di riconquista della città. In realtà, la decisione di non fare entrare truppe curde in città potrebbe far parte di un accordo più ampio con la Turchia in cambio della partecipazione dello YPG alle operazioni militari.
L’operazione prevede la liberazione di tutti i villaggi che circondano Raqqa, partendo da quelli a nord, in un’area di circa 40km. In questo modo si punta a tagliare in due il territorio ancora controllato dal Daesh e isolare definitivamente le due capitali, Raqqa e Mosul. Durante il primo giorno di combattimenti le forze dell’SDF hanno conquistato i villaggi di Wahid, Umm Safa, Wasita, Haran, al-Adriyah e Jurah a nord di Raqqa. Una volta completato l’accerchiamento la città dovrebbe essere sottoposta a dei bombardamenti aerei affinché l’offensiva di terra incontri meno resistenza possibile.
Bisogna sottolineare come la decisione di dare il via ad una operazione per riconquistare Raqqa porti con sé nuove incognite nello scenario siriano. In primis, ci sono i veti della Turchia a un qualsivoglia ruolo delle forze del YPG nella regione una volta liberata dal Daesh. Inoltre, al contrario di quanto sta succedendo in Iraq con Mosul, la coalizione che sta combattendo per riconquistare la città siriana è formata da forze ribelli, e non da forze dello Stato siriano. In Siria gli USA, in collaborazione con le SDF e l’YPG, si affidano ad un sottobosco di gruppi di opposizione arabi e curdi, alcuni dei quali feroci rivali fra loro. Anche a causa dell’eterogeneità dei partecipanti, la coalizione si trova dunque a gestire una alleanza molto sensibile alle tensioni esterne, in particolare quelle provocate dalla presenza delle forze russe ad Aleppo e di quelle Turche vicino al confine.
Dal punto di vista propagandistico, l’importanza politica della riconquista della città capitale dell’Isis in Siria potrebbe essere fondamentale per le sorti della ribellione siriana. Quest’ultima ne trarrebbe un forte giovamento in termini di immagine e di lotta politica contro il regime di Assad, che al momento è concentrato nella riconquista di Aleppo, ignorando la presenza dell’ISIS nell’est del Paese.

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