Geopolitical Weekly n.231

Geopolitical Weekly n.231

Di Ruggero Balletta
22.09.2016

Sommario: Libia, Repubblica Centrafricana, Siria, Stati Unti

Libia

La mattina del 19 settembre due operai italiani, Bruno Cacace e Danilo Calonego, e uno italo-canadese, Frank Boccia, sono stati rapiti nei pressi della città di Ghat, nella regione meridionale del Fezzan, al confine con l’Algeria. Si tratta di tre dipendenti del ramo libico della ditta italiana CON.I.COS. (Contratti internazionali Costruzioni S.p.A) che da oltre 30 anni opera nella regione occupandosi della manutenzione dell’aeroporto locale.

Al momento, in assenza di una chiara rivendicazione, diversi sono i sospetti sui presunti autori del sequestro. Infatti, Nell’area in questione sono presenti milizie Tuareg, appartenenti sia al locale clan Kel Ajjer sia al clan Kel Ifoghas maliano, milizie Tubou, cellule di al-Qaeda nel Maghreb Islamico e di al-Mourabitun, due dei principali gruppi jihadisti del Sahel e bande di criminali. Tuttavia, la dinamica del rapimento, avvenuto lungo una strada che i tre operai percorrevano quotidianamente su un veicolo guidato da un autista locale, lascia intendere che i sequestratori conoscessero molto bene il percorso, i tempi di percorrenza e la frequenza degli spostamenti dei cittadini occidentali. In base a queste considerazioni, esiste una maggiore possibilità che i responsabili appartengano a gruppi Tuareg, anche se non si può del tutto escludere una azione di marca jihadista. Inoltre, anche se gli operai fossero stati rapiti da milizie etniche, sussiste il rischio di una loro vendita ai network terroristici della regione, secondo una pratica molto diffusa in tutto il Sahel.

Il rapimento dei tecnici della CON.I.COS a Ghat ha posto in evidenza tutti i pericoli e le minacce insiti nella cronica instabilità del Fezzan, regione priva di qualsiasi forma di autorità statale e controllata da milizie etniche e da gruppi jihadisti.

Repubblica Centrafricana

Il 17 settembre 2016, un gruppo di ribelli facenti parte del gruppo ribelle musulmano Seleka ha attaccato il villaggio a maggioranza cristiana di Ndomete, nel nord del Paese, dove erano presenti delle milizie anti-balaka (anti-machete), uccidendo 26 persone. Il massacro, che segue gli scontri del 16 settembre scorso nella città di Kaga-Bandoro, è l’ennesimo episodio della violenza inter-religiosa che è in atto nel Paese dal 2013, anno in cui Seleka aveva guidato una rivolta armata contro l’allora Presidente François Bozizé, costretto ad abbandonare il potere in favore di Michel Djotodia.

Nonostante la presenza nel Paese di circa 10.000 soldati della missione ONU MINUSCA (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in the Central African Republic), le violenze non accennano a fermarsi. Le milizie di Seleka accusano l’attuale Presidente cristiano Faustin-Archange Touadéra di non aver implementato gli accordi di DDRR (Disarmament, Demobilisation, Reinsertion and Repatriation) che hanno portato alla formazione del governo di unità nazionale nei primi mesi del 2016, in particolare di non essere state inquadrate nell’esercito regolare. Di contro, le milizie anti-balaka, formatesi per contrastare il colpo di Stato del 2013, non accennano a dissolversi o ad interrompere le proprie attività di guerriglia, assaltando a loro volta villaggi a maggioranza musulmana.

Touadéra, in carica da marzo 2016, non è ancora riuscito a pacificare totalmente il Paese. A causa dell’assenza di Forze Armate nazionali e per via dell’inefficienza delle Forze di Polizia, l’autorità statale è limitata ai quartieri centrali di della capitale Banguì ed a pochi altri nuclei urbani. Sotto questo profilo, la missione MINUSCA non è riuscita a raggiungere gli obbiettivi prefissati e, anzi, in alcuni casi si è resa protagonista di abusi di potere e violenze ai danni della popolazione civile.

Dunque, a poco più di sei mesi dal suo insediamento, per il governo di Touadéra il nodo più importante da sciogliere resta la reintegrazione delle milizie religione nelle strutture dello Stato e l’adozione di misure politiche, economiche e sociali che possano promuovere la convivenza pacifica tra le diverse comunità.

Siria

Il 19 settembre, un convoglio di aiuti umanitari delle Nazioni Unite è stato oggetto di un raid aereo nella zona rurale di Aleppo. Gli aiuti erano destinati ai circa 78.000 civili rimasti nella città di Uram al-Kubra, rimasta isolata dal giugno scorso. L’attacco ha causato la morte di circa 20 civili, tutti volontari della Mezzaluna Rossa, nonché la distruzione del deposito verso cui si stavano dirigendo i camion. L’attacco non ha avuto rivendicazioni, ma fonti militari americane hanno accusato l’aviazione siriana e russa di aver condotto il raid, incontrando la secca smentita del Cremlino.

L’episodio è avvenuto a soli due giorni dall’attacco aereo condotto dall’aviazione della Coalizione a guida statunitense su di una fortificazione dell’Esercito Siriano presso la base aerea di Deir ez-Zor, erroneamente ritenuta un bastione delle truppe dello Stato Islamico. A causa dell’attacco 62 soldati dell’Esercito Siriano hanno perso la vita e oltre 100 sono rimasti feriti. Il Comando Centrale americano ha espresso il proprio rammarico per la perdita fortuita di vite umane e ha confermato che l’attacco è avvenuto per un errore di coordinamento. In conseguenza della distruzione di questa fortificazione, l’ISIS è riuscita a guadagnare una posizione strategica di vantaggio, occupando la collina omonima che domina la base aerea di Deir ez-Zor, garantendosi così la possibilità di portare avanti azioni militari contro i velivoli che operano presso l’aeroporto.

Il susseguirsi di questi eventi ha determinato di fatto la fine del cessate il fuoco vanificando gli accordi raggiunti la scorsa settimana a Ginevra fra il governo russo e quello americano. Proprio la difficoltà e la riluttanza dimostrata dagli attori, sia regionali che internazionali, di giungere ad un compromesso politico e militare nella gestione del conflitto ha fatto si che la tregua durasse meno di una settimana. Nonostante l’annuncio che nuovi colloqui di pace del Gruppo Internazionale di Contatto sulla Siria riprenderanno il 29 settembre a New York con la partecipazione di Russia, USA e di altre 23 nazioni, permane un elemento di criticità. Ancora una volta gli attori principali del conflitto, ossia Assad ed i ribelli, non sono stati invitati al tavolo delle trattative. Ciò dimostra come in realtà la crisi siriana possa essere considerata un conflitto internazionale e che sono le grandi potenze a dover trovare un accordo per fare ripartire il processo di stabilizzazione in Siria, altrimenti difficilmente si potrà si porre fine al conflitto armato.

Stati Uniti

Nella serata di sabato 17 settembre, si è verificata una potente esplosione nel quartiere Chelsea di New York City. Lo scoppio, causato da un IED (Improvised Explosive Device) nascosto sotto un cestino dei rifiuti, ha causato 29 feriti di cui nessuno grave. Le autorità intervenute sul luogo hanno rinvenuto e disinnescato anche un secondo ordigno, identificato come una pentola a pressione da cui fuoriusciva del cablaggio elettrico collegato ad un cellulare che avrebbe dovuto agire da detonatore. Preparato con chiodi e schegge di metallo e posto all’incrocio fra due vie molto frequentate di uno dei quartieri più turistici della città, l’ordigno inesploso avrebbe potuto provocare numerose vittime. L’esplosione di sabato notte è stata seguita dal ritrovamento di altri ordigni presso la stazione ferroviaria di Elizabeth in New Jersey il giorno seguente. Nella giornata di lunedì la polizia di New York ha diffuso le immagini delle telecamere di sorveglianza del quartiere in cui si notava un uomo, identificato come Ahmad Khan Rahami cittadino statunitense di origini afghane, aggirarsi nella zona dell’esplosione. A seguito delle indagini l’uomo è stato arrestato dopo un conflitto a fuoco con la polizia del New Jersey. La perizia riscontrata nella fabbricazione degli ordigni lascia ipotizzare che Rahami possa aver ricevuto un addestramento specifico nella preparazione di quel tipo di IED. Sebbene non siano ancora emersi legami con alcun gruppo terroristico, dunque, non è da escludere che l’attentatore abbia ricevuto le istruzioni necessarie a preparare gli ordigni durante i suoi recenti viaggi in Afghanistan e in Pakistan e, acquisite tali expertise, abbia poi risposto autonomamente ai numerosi appelli lanciati Stato Islamico nei mesi scorsi per colpire i governi così detti takfir dall’interno. In risposta all’evento, le Forze di sicurezza di New York hanno predisposto  un incremento del livello di sorveglianza soprattutto nelle zone a più alta frequentazione, per scongiurare il ripetersi di simili gesti in un momento in cui la città di New York si apprestava ad accogliere i leader mondiali per l’apertura del dibattito generale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, tenutasi il 20 settembre.

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