Il Venezuela rischia il collasso. Tensioni tra il presidente Maduro e l’opposizione
Americhe

Il Venezuela rischia il collasso. Tensioni tra il presidente Maduro e l’opposizione

Di Luigi Maria Rossiello
20.06.2016

In Venezuela continua l’ondata di proteste popolari, in corso ormai da mesi, per l’intensificarsi dello scontro politico tra il Presidente Nicolas Maduro e l’opposizione determinata a destituirlo attraverso un referendum.

In risposta al crescente malcontento di piazza, lo scorso 10 giugno, il leader venezuelano ha affermato che, almeno per quest’anno, non si svolgerà nessun referendum a riguardo. A questo proposito, il Consejo Nacional Electoral (Consiglio Elettorale Nazionale, CNE), organo la cui imparzialità è stata molte volte oggetto di critica, ha valutato non valide più di 600.000 firme delle quasi due milioni raccolte e depositate lo scorso 2 maggio dall’opposizione. Inoltre, i firmatari sono stati invitati a confermare l’effettività della propria identità tra il 20 e il 24 giugno perché, secondo il governo, tra coloro che hanno sottoscritto il referendum ci sarebbero nomi di persone morte o di bambini. L’iniziativa popolare si era già scontrata con l’annuncio del Vice-presidente Aristobulo Isturiz, che aveva rivelato che, a prescindere dalla firme raccolte, non si sarebbe tenuto alcun referendum per la revoca del Presidente in carica dal 2013. Con l’annullamento delle firme, l’opposizione ha visto andare in fumo i piccoli passi avanti che erano stati compiuti recentemente. Infatti, lo scorso 7 giugno, le autorità elettorali venezuelane avevano convalidato la maggior parte dei 1,8 milioni di firme allora presentate.

L’ultima decisione del CNE ha innescato la reazione dell’opposizione che ha accusato l’autorità elettorale di essere complice del governo nel boicotaggio dell’iniziativa popolare.

Tuttavia, i cavilli burocratici e ammnistrativi a cui sembra affidarsi la presidenza appaiono insufficienti a frenare la mobilitazione sociale in corso nel Paese. Negli ultimi mesi, la popolazione è scesa in strada a più riprese. Lo scorso 7 giugno la polizia, in tenuta antisommossa, ha bloccato un corteo dell’opposizione che intendeva raggiungere la sede del CNE. Gli agenti hanno disperso violentemente i manifestanti che chiedevano a gran voce una prova di responsabilità nazionale al Presidente Nicolas Maduro, accusato di voler evitare il referendum per paura del suo esito.

Gli episodi del 7 giugno non rappresentano un caso isolato, bensì la riproposizione di simili proteste occorse protesta l’11 e il 18 maggio. Anche in queste occasioni la polizia era stata schierata per impedire ai manifestanti di raggiungere il CNE, ma quando un piccolo gruppo di persone ha provato ad aggirare il cordone della polizia, gli agenti hanno fatto ricorso all’uso della forza.

Lo scorso 13 maggio il clima di tensione e la scusa di un presunto golpe organizzato dall’opposizione avevano spinto Maduro a dichiarare lo stato di emergenza, poi ritenuto incostituzionale dal Parlamento. Il Presidente ha anche sospeso alcuni diritti costituzionali, incrementando la rabbia e l’isteria popolari.

Se fino a poco prima di questa presa di posizione del governo la coalizione di opposizione Mesa de la Unidad Democrática (MUD, Ufficio di Unità Democratica), che dal 6 dicembre 2015 gode della maggioranza in parlamento, sembrava poter determinare la sorte del Capo dello Stato, adesso agli oppositori non resta che continuare la protesta con l’unico obiettivo di cercare di destituire il Presidente Maduro attraverso una vera e propria rivoluzione.

Il malcontento nel Paese, oltre che dalla crisi politica, è alimentato da una grave depressione economica e sociale, alimentata dal crollo dei prezzi del petrolio. Infatti, in Venezuela, la vendita di greggio costituisce circa il 40% del PIL. Tuttavia, il Paese non è riuscito a sfruttare gli anni di bonanza del prezzo del greggio (2003-2013) re-investendo i proventi dell’esportazione di idrocarburi in maniera adeguata e lungimirante.

Ad oggi, il Pil è in caduta libera (-5,7% nel 2015). L’inflazione, che a dicembre 2015 era di poco superiore al 180%, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, potrebbe salire al 700% alla fine del 2016. Il potere di acquisto della popolazione si è ridotto drasticamente e il rincaro dei prezzi rende impossibile l’accesso a quei pochi prodotti rimasti in vendita sugli scaffali dei supermercati.

A questa situazione si aggiungono gli effetti della siccità, disastrosa non solo per l’approvvigionamento idrico della popolazione ma anche per il fabbisogno industriale, considerando che il 70% dell’elettricità del Paese è prodotta dalle centrali idroelettriche. Caracas si trova così a dover fronteggiare una crisi energetica senza precedenti. Il Paese è rimasto più volte al buio a causa di numerosi blackout controllati, finalizzati a risparmiare energia. La settimana lavorativa per i dipendenti pubblici è stata ridotta a due giorni per problemi di approvvigionamento elettrico.

Sinora, la risposta governativa ad un simile contesto esplosivo è apparsa tardiva e poco efficace. Ad esempio, Maduro ha ordinato una serie di manovre militari allo scopo di fronteggiare un’eventuale rivolta interna sostenuta da Paesi terzi, i tanto odiati Stati Uniti, da sempre accusati di voler rovesciare il sistema bolivarista e anti-capitalista del Paese.

Inoltre, all’esercito è stato affidato il compito di coadiuvare le Forze di polizia nel mantenimento dell’ordine pubblico e nella distribuzione di cibo e prodotti di prima necessità.

Il potere dell’esercito è un aspetto che può giocare un ruolo fondamentale per il futuro del Paese. Infatti, esiste la possibilità che una presa di posizione netta da parte delle Forze Armate, a favore o contro Maduro, possa determinare il futuro assetto politico del Paese, strozzando le rivolte sociali o, al contrario, rendendole inarrestabili.

Non è difficile intuire come la situazione del Venezuela sia estremamente critica e come adesso gli scenari ipotizzabili che attendono il Paese siano tutti fortemente destabilizzanti.

Con il quotidiano aumento del malcontento salgono le probabilità di una rivolta popolare su larga scala. Il peggioramento delle condizioni di vita è il terreno ideale per una protesta sociale che si realizzi non con mezzi pacifici e democratici, ma in modo violento.

Il fattore temporale può, a proposito, giocare un ruolo chiave e sia Maduro che l’opposizione sono impegnati in una vera e propria corsa contro il tempo. Se il referendum si dovesse tenere entro il 10 gennaio del 2017 e Maduro dovesse perdere, verranno convocate nuove elezioni. Se invece la data del referendum dovesse slittare oltre la data indicata e Maduro fosse comunque sconfitto, sarebbe il suo Vice-presidente a prendere il suo posto e a rimanere in carica fino alla fine del mandato, cioè a gennaio del 2019.

Ad oggi appare davvero complicato avventurarsi in previsioni riguardanti lo scenario venezuelano. In un Paese costantemente in bilico tra aspirazioni autenticamente democratiche e seduzioni di caudillismo, la protesta popolare potrebbe intraprendere le vie più diverse. Molto dipenderà da quanto il sistema di potere riuscirà a proteggersi ed auto-conservarsi. In questo senso, non è da escludere che, pur di mantenere l’attuale architettura istituzionale, l’establishment sacrifichi Maduro ed offra alla popolazione riforme “cosmetiche” in grado di depotenziare, almeno per il momento, il malcontento. Tuttavia, senza stimoli economici ed occupazionali, anche il sacrificio del successore di Chavez assumerebbe i tratti di un pericoloso quanto inutile temporeggiamento.

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