Geopolitical weekly n.211

Geopolitical weekly n.211

Di Carolina Mazzone e Olena Melkonian
17.03.2016

Sommario: Belgio, Costa d’Avorio, Siria, Turchia

Belgio

Il 15 marzo scorso nel quartiere di Forest, a sud-ovest di Bruxelles, si è verificata una sparatoria tra le forze di polizia belga e francesi da una parte e un presunto gruppo di jihadisti nascosti in un appartamento a Rue du Dries dall’altra. L’operazione, che era cominciata come una perquisizione, nel contesto delle indagini a seguito degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015, si è poi evoluta in un vero e proprio blitz delle forze speciali data l’inaspettata presenza dei jihadisti all’interno dei luoghi oggetto dell’azione. Nello scontro è rimasto ucciso il sospetto terrorista Mohamed Belkaid, algerino residente illegalmente in Belgio, poco noto alle autorità di polizia salvo che per una rapina del 2014. Nel momento in cui si scrive, due presunti jihadisti sono stati fermati dalla polizia mentre altri due sono fuggiti. Nell’appartamento in questione sono stati ritrovati una bandiera dello Stato Islamico, un libro sul salafismo, una serie di caricatori per kalashnikov e un grande quantitativo di munizioni.

La vicenda ricalca i precedenti avvenimenti che si sono susseguiti nella capitale belga a seguito degli attacchi di Parigi del novembre scorso, rivendicati dallo Stato Islamico. Infatti, nei giorni immediatamente successivi agli attentati, le tracce delle indagini portarono a individuare il Belgio, specificatamente la banlieue di Molenbeek Saint-Jean nella regione occidentale di Bruxelles, come una delle centrali operative delle attività terroristiche e come il nucleo di provenienza dei jihadisti che avevano operato nella capitale francese. Di fatti, dopo un primo momento in cui Bruxelles è stata strettamente sorvegliata dalle Forze Armate per il timore del ripetersi di attentati sul modello di Parigi, sono cominciate delle operazioni di polizia che nel corso di mesi passati hanno portato all’arresto di 11 persone, provenienti dai quartieri periferici della capitale belga e coinvolti nel network del jihad europeo.

I fatti degli ultimi giorni in Belgio, come quelli dei mesi passati, sono espressione del preoccupante fenomeno di diffusione del jihadismo autoctono europeo che ha le sue radici nelle periferie dei grandi centri urbani come Bruxelles o Parigi. Infatti, le banlieue sono diventate un luogo prospero per la diffusione del proselitismo jihadista e del fondamentalismo islamico, poiché costituiscono una realtà politica e socio-economica vulnerabile, emarginata e impoverita nella quale il messaggio eversivo può attecchire con maggiore facilità.  Nel caso del Belgio, si è visto come il malcontento della popolazione arabo-musulmana residente nelle periferie di Bruxelles (come Molenbeek Saint-Jean e Forest) e in alcuni piccoli centri rurali (come Viviers) si sia combinato con la questione identitaria e le difficoltà di integrazione sociale. La depressione economica e l’emarginazione socio-politica che viene percepita da una parte dei cittadini musulmani residenti nelle banlieue è stata captata dalla veemente campagna propagandistica dello Stato Islamico che ha fornito una risposta alle problematiche identitarie dei giovani arabi islamici europei. Da qui si evince il motivo di una così ampia diffusione del proselitismo jihadista e dell’incremento del numero dei foreign fighters europei che decidono di appoggiare il pensiero fondamentalista di Daesh. Il fenomeno della radicalizzazione dei giovani musulmani europei, se non affrontato con adeguate risposte a livello sociale e di sicurezza, rischia di andare a insediarsi ancora più a fondo nella società europea, andando a costituire una sostanziale minaccia per la stabilità di tutto il continente.

Costa d’Avorio

Domenica 13 marzo, un commando jihadista ha attaccato tre diversi hotel di Grand Bassam, località balneare a 40 km da Abidjan, uccidendo 16 persone, tra cui diversi occidentali di nazionalità francese e tedesca. La responsabilità dell’attentato è stata rivendicata al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) e da al-Mourabitoun (le Sentinelle), gruppo jihadista guidato da Mokhtar Belmokhtar attivo nel Nord Africa e nel Sahel.

Gli attentati di Grand Bassam si conformano ai recenti attacchi che hanno colpito il Sahel (a Bamako il 20 Novembre 2015 e a Ouagadougou il 16 gennaio 2016) rivendicati sempre da al-Mourabitoun ed AQMI. La diffusione del terrorismo islamico nell’Africa Sub-sahariana è infatti una realtà oramai in ascesa.

Belmokhtar, che è una delle personalità più influenti del panorama jihadista dell’Africa Occidentale, sembrerebbe voler continuare a espandere l’influenza qaedista nel resto del continente. In particolare l’escalation delle azioni terroristiche perpetrate dai gruppi jihadisti  africani vicini ad al-Qaeda potrebbe indicare il tentativo di contrapporsi alla crescita continentale dello Stato Islamico. Inoltre, la decisione di colpire i luoghi meno controllati e più vulnerabili come gli hotel e i centri turistici risponderebbe all’esigenza di massimizzare i risultati degli attacchi sotto il profilo delle vittime, del ritorno mediatico e della diffusione dell’insicurezza a livello globale.

Inoltre, nello specifico, la Costa d’Avorio, potrebbe andare a costituire uno dei nuovi focolai della realtà jihadista in Africa Sub-sahariana. Infatti il network del jihad africano, sfruttando il malcontento delle etnie di religione musulmane del nord nei confronti di quelle cristiane del sud, potrebbe trovare terreno fertile per gettare le proprie basi sul territorio ivoriano, ricalcando, per certi versi, quanto accaduto in Nigeria con Boko Haram.

Siria

Il 15 Marzo, La Federazione Russa ha annunciato il ritiro parziale delle sue truppe dalla Siria in virtù del raggiungimento degli obbiettivi militari.

A sei mesi dall’inizio dell’operazione contro le forze anti-governative, le fonti russe riportano diversi dati sui principali obbiettivi completati, tra i quali: la conclusione di circa 9.000 missioni, quasi 10.000 km di territorio liberato e la riconquista di 400 aree urbane. Inoltre grazie all’aiuto di Mosca, le truppe lealiste hanno tolto l’assedio alla base militare di Kuweires e hanno compromesso le reti di rifornimento ribelli nonché i canali di contrabbando di petrolio verso la Turchia.

Negli ultimi giorni, poi, l’Esercito lealista, con il supporto dei raid aerei russi, ha iniziato ad avanzare verso la città di Palmira, snodo fondamentale per ripristinare le vie di comunicazione tra l’ovest e l’est del Paese, e con la città di Deir el-Zor, assediata da Daesh. Nonostante l’annunciato ritiro di parte del contingente militare, i russi continueranno a controllare l’aeroporto di Hmeimim (Provincia di Latakia) e la base navale di Tartus. L’obiettivo del Cremlino è quello di restare in territorio siriano per garantire il rispetto del cessate-il-fuoco, per sostenere militarmente le forze di Damasco anche attraverso il supporto dei propri consiglieri militari e per mantenere una significativa presenza in medio Oriente e nel Mediterraneo.

Nonostante per Mosca l’operazione militare in Siria costituisca un successo, dietro l’annuncio del ritiro indubbiamente ha pesato la situazione economica nel Paese. Infatti, le sanzioni seguite al conflitto in Ucraina e il collasso del prezzo del petrolio hanno pesato molto sui conti pubblici russi già provati da un intervento militare che originariamente doveva durare molto meno di sei mesi. La decisione di Mosca è arrivata in contemporanea alla ripresa dei negoziati di pace a Ginevra, permettendole dunque di influenzare ampiamente il futuro della fragile Siria in seno ai negoziati. La riduzione dell’impegno militare del Cremlino in Siria potrebbe favorire il dialogo tra i delegati del regime e le forze di opposizione, indebolendo un po’ la posizione di Assad e lasciando trasparire la possibilità di un processo di transizione politica.

Turchia

****Domenica 13 Marzo, un’autobomba è esplosa contro alcuni autobus nei pressi del Parco Guven, nel distretto di Kizilay, area vicina a diverse sedi istituzionali (Ministero degli Esteri e degli Interni), nel centro di Ankara. Il bilancio dell’attacco è di 37 morti, compresi i due attentatori, e di circa 125 feriti, tutti civili.

Nonostante i sospetti del governo turco siano inizialmente ricaduti sul PKK (Partito del Lavoratori del Kurdistan), a rivendicare l’attentato è stato il TAK (Falchi per la Libertà del Kurdistan), gruppo armato ultranazionalista curdo nato nel 2005 come costola del PKK. Negli ultimi mesi, il TAK ha lanciato una massiccia campagna di attentati come testimoniato dagli attacchi dello scorso 17 Febbraio, quando ancora un’autobomba aveva colpito alcuni autobus del Ministero della Difesa sempre ad Ankara. Entrambi gli attentati sono stati effettuati come forma di rappresaglia per la sanguinosa campagna di contro-guerriglia dell’esercito turco nelle città a maggioranza curda del sud est del Paese, al confine con la Siria (Cizre, Diyarbakir).

Nonostante la ferma condanna delle autorità politiche e della società civile turca, alcune frange dell’opposizione anti-governativa hanno guardato con sospetto la repentina ed improvvisa crescita capacitiva del TAK, in pochi mesi passato da formazione para-militare secondaria a minaccia apicale per la sicurezza nazionale. Tale crescita ha spinto questi settori dell’opposizione ad accusare Erdogan di aver utilizzato i servizi segreti per infiltrare il TAK e permettergli una simile crescita capacitiva in breve tempo.

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