Taiwan: alla ricerca del cambiamento nello status quo
Asia e Pacifico

Taiwan: alla ricerca del cambiamento nello status quo

Di Olena Melkonian
16.02.2016

Lo scorso 16 gennaio è stata annunciata, a Taiwan, la vittoria alle elezioni presidenziali di Tsai- Ing Wen, leader del partito progressista (DPP) nonché prima donna ad essere eletta Presidente nella storia della Repubblica di Cina. Il partito del DPP ha conquistato la maggioranza in Parlamento (Yuan  Legislativo) occupando 68 seggi su 113 e ha sottratto il potere al partito del Kuomintang (KMT), al governo dal 1949.

La paura di Taiwan di subire una progressiva annessione alla Cina, il mancato benessere sociale promesso dagli accordi economici con Pechino ed il successo della retorica indipendentista dell’opposizione sono i principali motivi che hanno spinto l’elettorato ha preferire il DPP e la sua linea anti-cinese e spiegano le ragioni del fallimento del KMT. Negli ultimi anni, la Repubblica di Cina, con il leader del Kuomintang Ma Ying-Jeou, si è riavvicinata a Pechino con una serie di accordi economici che hanno stabilito una cooperazione volta a ridurre le barriere commerciali e di investimento tra i due Paesi. Con l’accordo dell’ECFA (Economic Cooperation Framework Agreement) dal 2010 sono stati abbassati i costi dei prodotti di esportazione ed importazione come anche i dazi doganali, che hanno portato circa 80.000 compagnie taiwanesi ad operare in Cina. Sono stati investiti oltre 100 miliardi di dollari, mentre 3 milioni di cittadini cinesi si sono trasferiti sull’isola anche grazie all’aumento dei collegamenti aerei e navali diretti che hanno oltretutto favorito il turismo. La ritrovata intesa con la Cina tramite le scelte di politica economica del KMT sono state fortemente contestate poiché tradotte dall’opinione pubblica come una svendita di Taiwan alla Repubblica Popolare Cinese (RPC). Il vecchio leader Ma è stato accusato di mancata trasparenza nei negoziati e di accordi presi sottobanco per avvantaggiare esclusivamente l’economia cinese. In seguito al patto bilaterale del CSSTA (Cross Strait Service Trade Agreement), finalizzato alla liberalizzazione dei servizi tra le due economie, le medie e piccole imprese taiwanesi si sono sentite minacciate dalla concorrenza cinese, mentre l’opinione pubblica ha interpretato l’intesa come un favoreggiamento per le grandi corporazioni anziché un vantaggio per il benessere sociale. L’ondata di proteste del 2014, conosciute come il Movimento dei Girasoli, è stato il risultato del malumore dei taiwanesi che in occasione della ratifica del CSSTA, avevano richiesto maggiore trasparenza durante le trattative, il coinvolgimento dei rappresentanti delle imprese e della società civile ed il rispetto dei valori democratici. La mancata revisione delle clausole del patto bilaterale sono state interpretate come un atto antidemocratico e hanno portato ad un ampia protesta popolare guidata dagli studenti e culminata nell’occupazione della Camera Legislativa (18 Marzo-19 Aprile). La decisioni del KMT di processare i 119 studenti con l’accusa di occupazione illecita ed istigazione ad attività criminali ha allontanato ancora di più la popolazione taiwanese dallo storico partito. Il risultato di queste scelte politiche tanto discusse è stata la sconfitta del Kuomintang alle elezioni provinciali del 2014, che aveva portato ad ipotizzare i risultati negativi del partito nelle ultime presidenziali. La preoccupazione più forte dell’opposizione del DPP e degli attivisti è stato sopratutto il possibile avanzamento di rivendicazioni per l’unificazione da parte della Cina che non ha mai celato il suo obbiettivo di ricongiungersi a Taiwan. La vittoria del partito progressista, democratico e anti-cinese, la cui campagna elettorale si è contraddistinta per le rivendicazioni di sovranità nazionale ed i propositi di riduzione della dipendenza economica dalla Cina, costituisce una svolta importante per Taiwan ed una provocazione non di poco conto per la Cina. La risposta del Segretario Generale del Partito Comunista Xi Jinping  non si è fatta attendere e ha avvertito che eventuali cambiamenti nei rapporti tra Cina e Taiwan comprometterebbero le relazioni pacifiche tra i due paesi asiatici, sottolineando l’inammissibilità di pretese indipendentiste che vadano a mettere in dubbio l’idea di “una sola Cina” tanto cara a Pechino (Consenso del 1992).

La questione dell’indipendenza taiwanese più volte, nel corso degli anni, è stata la ragione di tensioni diplomatiche tra i due Paesi. Lo status dell’isola è considerato dalla Cina, non solo come un affare interno, ma soprattutto come un caso di integrità territoriale cinese. Con la legge anti-secessione del 2005, approvata dal Congresso Nazionale del Popolo, Pechino ha acconsentito il ricorso ad azioni militari nel caso in cui avvenisse una dichiarazione formale di indipendenza da parte di Taiwan. Allo stesso tempo, la RPC ha sottolineato come suo proposito, quello di riunificare le “due Cine” attraverso mezzi pacifici, evitando qualsiasi escalation delle tensioni, nonché qualsiasi interferenza da parte di Paesi terzi. All’indomani delle elezioni presidenziali, si sono succedute dimostrazioni della rispettiva capacità militare, le quali non sono una novità nel complicato rapporto tra la Cina e Taiwan. L’isola di ex Formosa ha condotto esercitazioni vicino la costa cinese, mentre il gigantesco vicino ha guidato forze di prova militare ricordando a Taipei di avere i missili puntati nella sua direzione.

Le sfide del nuovo governo presentano numerose difficoltà e per ora sembra prevalere un atteggiamento moderato e pragmatico. Tsai-Ing Wen che prenderà il suo incarico a maggio, sta evitando di provocare la Cina mentre dall’altra parte dello stretto non sembra esserci il reale desiderio di minacciare militarmente Taiwan. La leader del DPP parla di mantenimento dello status quo, mettendo da parte la questione della sovranità nazionale dell’isola e concentrando il suo lavoro sul sistema welfare del Paese, per rispondere alle richieste di miglioramento del benessere della società taiwanese. Il fattore economico è il problema politico di maggiore urgenza, poiché il Paese ha risentito gravemente della crisi economica globale e soffre da sedici anni per la stagnazione dei salari. L’ostacolo più grande del DPP sarà quello di riuscire a slegare l’economia di Taiwan da quello della Cina e trovare uno spazio in nuovi mercati, venendo così a rispettare le promesse fatte in corso di campagna elettorale. La vittoria di Tsai-Ing Wen, non costituisce solo un cambiamento politico interno ma potrebbe aprire anche nuovi scenari per gli equilibri nel Mar Cinese Meridionale, le cui isole sono contese da Taiwan, Cina, Filippine, Brunei, Malesia e Vietnam. Senza rischiare uno scontro aperto con la RPC, l’isola potrebbe sviluppare nuove forme di collaborazione economica e strategica con i paesi limitrofi, andando a intaccare gli interessi cinesi. Un cambiamento netto nella politica asiatica degli Stati Uniti, dopo l’elezione di Tsai -Ing Wen è poco probabile, ma non sono da escludersi degli sviluppi importanti per le sorti delle isole del Mar Cinese Meridionale come per i rapporti tra Cina, Usa e Taiwan. Negli ultimi anni la costruzione di piste per l’atterraggio aereo, fari marittimi e l’intensificarsi del pattugliamento navale da parte della Cina sulle isole dell’arcipelago Spratly ha causato numerose critiche da parte dei paesi dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico) come di Giappone e Australia, per via delle restrizioni alla libertà di navigazione e le pretese sulla sovranità degli isolotti, considerate da Pechino, come parte integrante della nazione cinese. Anche se le contese riguardano maggiormente la Cina e il Vietnam, anche Taiwan si contende il territorio di Itu Aba e gode di una rilevante importanza strategica dovuta alla sua posizione.

Proprio in merito a tale questione, gli Stati Uniti hanno accolto positivamente la vittoria della nuova leadership, considerandola come un possibile alleato nelle proprie rivendicazioni al libero passaggio sul Mar Cinese Meridionale. Tramite gli storici rapporti tra Washington e Taipei, disciplinati dal Taiwan Relations Act (1979) gli Stati Uniti hanno sostenuto azioni di cooperazione culturale, commerciale, ma soprattutto di sicurezza con l’isola, vendendole armi e sistemi di difesa. Fino ad oggi, la spesa in armi difensive  è stata di circa 14 miliardi di dollari, ma con l’amministrazione di Obama, la vendita si è ridotta visibilmente con un invio di materiale per 1, 83 miliardi dopo 4 anni di totale stallo. I rapporti tra Usa e Cina, in merito alla vendita di armi a Taiwan, sono stati caratterizzati da diversi dissapori poiché più volte, la RPC ha minacciato sanzioni nei confronti delle compagnie americane presenti nel proprio territorio e coinvolte nel commercio di armi, accusando gli statunitensi di minacciare la sicurezza, di violare il territorio cinese e ledere gli interessi della RPC. Nonostante la cooperazione con i taiwanesi, gli Usa sembrano non voler oltrepassare il limite e continuano a portare avanti una politica moderata, senza mai prendere nette posizioni. Infatti con il proposito di non voler minacciare i rapporti con la Cina, gli Stati Uniti continuano a difendere l’integrità di Taiwan ma non la riconoscono formalmente. Nonostante la visita di Ma Ying-Jeou all’isola contesa di Itu Aba e il passaggio sul Mar Cinese Meridionale di un cacciatorpediniere statunitense a 12 miglia di distanza dall’isola di Triton, reclamata dalla Cina, per ora, nessuno sembra avere l’intenzione di cedere a provocazioni o dare spazio ad eccessi che possano innescare un conflitto. Il futuro ruolo di Taiwan nelle strategie navali e militari in Asia sono un’incognita. Le mosse politiche di Tsai saranno visibili tra qualche mese e si presuppone saranno maggiormente incentrate a portare cambiamenti a livello politico interno più che esterno.

Articoli simili