Geopolitical Weekly n.203

Geopolitical Weekly n.203

Di Ce.S.I. Staff
21.01.2016

Sommario: Burkina Faso, Iran, Libia, Pakistan

Burkina Faso

La notte tra il 15 e il 16 Gennaio, un commando jihadista, formato da circa 7 elementi, ha assaltato l’Hotel Splendid e il ristorante Le Cappucino, nel centro della capitale Ouagadougou, luoghi generalmente frequentati da cittadini stranieri e, in particolare, sia da personale diplomatico e militare sia da funzionari delle principali organizzazioni Internazionali. L’attacco, avvenuto tramite l’uso congiunto di granate e fucili d’assalto, ha causato la morte di 29 persone e il ferimento di almeno altre 50, in larga maggioranza di cittadinanza straniera. Tra le vittime dell’attentato occorre segnalare anche un bambino italiano: Misha Santomenna, figlio di Gaetano Santomenna, proprietario del ristorante Le Cappucino. I terroristi, dopo essersi asserragliati all’interno dell’albergo e aver preso in ostaggio diverse centinaia di persone, sono stati neutralizzati dall’intervento delle Forze Speciali francesi, coadiuvate da personale militare statunitense. L’attentato è stato rivendicato da al-Mourabitoun (“Le Sentinelle”), movimento jihadista affiliato ad al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI) e tradizionalmente attivo in tutta la regione del Sahel –Sahara.

L’attacco di Ouagadougou, che ricalca le modalità e le tattiche utilizzate dai commando jihadisti nell’attacco al Radisson Blue Hotel di Bamako (Mali, 20 Novembre 2015), potrebbe essere interpretato come una risposta dei movimenti qaedisti africani all’attivismo e alla crescita dello Stato Islamico che, grazie alla creazione di un’efficiente struttura para-statale, all’offensiva mediatico-propagandistica e alle ampie risorse finanziarie e militari di cui dispone, ha sostituito al-Qaeda come modello di ispirazione e organizzazione leader dello jihadismo globale.

In questo senso, gli attentati contro personale occidentale, in Burkina Faso come in Mali, costituiscono un tentativo di rilancio del movimento qaedista che, nella difficoltà di attaccare con successo obiettivi maggiormente protetti (basi militari, istallazioni petrolifere, sedi e simboli istituzionali), ha deciso di colpire i governi occidentali attraverso l’uccisone dei loro cittadini in luoghi di aggregazione più vulnerabili, come hotel e ristoranti.

Le modalità molto simili degli attentati di Bamako e Ouagadougou lasciano intendere la possibilità di nuove operazioni terroristiche di questo tipo in tutta l’area saheliana.

La diffusione dei movimenti jihadisti in Africa occidentale e settentrionale mette ulteriormente in risalto tutte le falle nel sistema di sicurezza e nella capacità di controllo delle cellule terroristiche da parte dei governi della regione. Inoltre, nel caso del Burkina Faso, la crescita delle attività jihadiste rischia di compromettere il complicato percorso di transizione alla democrazia iniziato con la destituzione dell’autocrate Blaise Compaorè e con l’indizione delle prime elezioni libere del Paese, avvenuta lo scorso novembre.

Iran

A seguito della conferma dell’Agenzia Nazionale per l’Energia Atomica (AIEA) sul rispetto iraniano degli accordi del Joint Comprehensive Plan Of Action (JCPOA) del luglio 2015, lo scorso 17 gennaio è stato avviato il processo di alleggerimento delle sanzioni imposte all’Iran a causa del suo programma nucleare.

Il giorno, che è stato definito come implementation day, potrebbe essere considerato un punto di svolta per Teheran su due principali fronti: quello della politica internazionale e quello economico. L’attuazione del JCPOA favorisce, a livello politico, l’uscita dell’Iran dall’isolamento cui era costretto a causa della sospetta natura della sua ricerca nucleare. In questo senso, l’alleggerimento delle sanzioni può essere interpretato come un grande successo della leadership pragmatista guidata dal Presidente Rouhani. Quest’ultima ha dimostrato un’eccellente capacità diplomatica e negoziale non solo nella gestione del dossier nucleare, ma anche nell’abilità di far accedere l’Iran ai forum internazionali riguardanti le crisi in Siria ed Iraq.

Per quanto riguarda l’aspetto economico, il progressivo alleggerimento delle sanzioni permetterà all’Iran di sfruttare il suo pieno reintegro nel sistema commerciale e finanziario mondiale, a cominciare dallo scongelamento dei fondi depositati nelle banche estere (oltre 100 miliardi di dollari) fino all’accesso al credito internazionale. Inoltre, particolarmente rilevante potrebbe essere la revoca dell’embargo sul petrolio e sui prodotti derivati, rispetto ai quali Teheran appare come un leader di mercato. Tuttavia, l’attuale congiuntura economica e il basso livello raggiunto dal prezzo del greggio obbligheranno la leadership iraniana a diversificare la struttura del proprio impianto produttivo.

Nonostante i presupposti positivi e il clima di generale positività internazionale che ha accolto l’alleggerimento delle sanzioni, la crescita dell’influenza iraniana in Medioriente e la politica di dialogo voluta da Rouhani continuano ad avere aspri critici e oppositori sia in patria che all’estero. Sul fronte interno, ad esempio, la politica pragmatista dell’attuale governo è osteggiata dagli ambienti conservatori, con in testa i Pasdaran (Corpo delle Guardie Rivoluzionarie) e le sezioni più assertive delle forze tradizionaliste. Allo stesso modo, sul fronte internazionale, oltre alle reticenze e ai sospetti di Israele e dello storico antagonista saudita, anche i conservatori statunitensi osservano con scetticismo la politica di apertura tuttora in atto, temendo un’eccessiva crescita del ruolo iraniano in Medioriente e dubitando sulla effettiva buona fede delle promesse e delle intenzioni iraniane.

Libia

La mattina del 19 Gennaio, il Consiglio Presidenziale libico ha annunciato la formazione del nuovo Governo di Unità Nazionale dopo aver raggiunto l’accordo sui nomi dei ministri del futuro esecutivo, risultato di una lunga negoziazione tra i membri del Consiglio mediata dalle Nazioni Unite. Il Consiglio Presidenziale, nato dall’accordo di pace di Skhirat (Marocco, 17 dicembre 2015) tra i due governi libici rivali, quello laico di Tobruk e quello islamista di Tripoli, ha agito nel tentativo di rappresentare al meglio i diversi movimenti e le differenti realtà tribali del Paese, investendo della carica ministeriale 32 personalità politiche provenienti dai territori della Libia occidentale (9 membri), della Cirenaica (8 membri) e di Fezzan (7 membri). Il documento preliminare sul nuovo governo è stato inviato al Parlamento di Tobruk, l’unico internazionalmente riconosciuto, per ricevere il voto di fiducia entro dieci giorni.                                                                                                                                           Nonostante si sia fatto un piccolo passo in avanti verso la stabilizzazione politica del Paese, le acredini sia interne che reciproche ai due parlamenti non sono ancora risolte. Infatti, il Parlamento di Tobruk si mostra diviso in merito al neo governo e potrebbe non accordare il voto di fiducia. Inoltre, l’eventuale insediamento del nuovo esecutivo nella capitale rimane ancora un’incognita, poiché la decisione presa dal Consiglio Presidenziale è osteggiata dal parlamento di Tripoli che ha minacciato l’arresto dei ministri in caso di loro ingresso in città.

In ogni caso, il contrasto tra le diverse fazioni libiche si era già palesato in seno al Consiglio Presidenziale in occasione dell’assegnazione delle cariche ministeriali più importanti, quali il Ministero degli Interni, affidato ad Saleh al-Khoja, il Ministero degli Esteri, assegnato a Marwan Ali e infine il Ministero della Difesa, appannaggio di Ibraim al-Barghathi, personalità vicina al Generale Khalifa Haftar, comandante del conglomerato di milizie alleate del governo di Tobruk.

Le difficoltà nel processo di formazione del Governo di Unità Nazionale e nel trovare un compromesso efficace e duraturo tra i due parlamenti libici è resa ancor più grave dalla precarietà del quadro di sicurezza del Paese. Infatti, oltre alla tradizionale instabilità generata dallo scontro tra le milizie, le fragili istituzioni libiche devono confrontarsi con l’avanzata dello Stato Islamico, sempre più consolidato a Sirte e deciso ad espandere le proprie attività e la propria influenza nelle aree limitrofe, con l’obiettivo di impadronirsi dei giacimenti e delle infrastrutture petrolifere per accrescere i propri introiti finanziari.

In questo senso, la formazione di un Governo di Unità Nazionale quanto più rappresentativo delle diverse anime politico-tribali libiche, nonché riconosciuto come interlocutore legittimo e legale da parte della Comunità Internazionale, appare imprescindibile per proseguire nella strategia di stabilizzazione e pacificazione del Paese. Infatti, solo il Governo di Unità Nazionale potrebbe avere l’autorità e la legittimità nel concertare assieme alla Comunità Internazionale tutte le misure necessarie, incluse eventuali azioni comprendenti l’uso della forza, per creare le condizioni ottimali per la pacificazione del Paese.

Pakistan

Il 20 gennaio un commando armato ha fatto irruzione all’interno degli edifici dell’Università di Bacha Khan a Charsadda a nord-ovest di Peshawar, nella provincia occidentale di Khyber Pakhtunkhwa, uccidendo 30 persone e ferendone altre 50. Nonostante la responsabilità dell’attacco sia stata inizialmente rivendicata da un comandante talebano, il portavoce del gruppo talebano Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP), Muhammad Khurasani, ha ufficialmente smentito qualsiasi coinvolgimento nell’accaduto. Dunque, appare più probabile che la paternità dell’attentato sia da imputare ad un gruppo satellite.

L’ambiguità delle dichiarazioni sulla rivendicazione dell’attacco sarebbe da attribuire alla forte diversificazione e ai profondi conflitti interni tra i molteplici gruppi di talebani in Pakistan, che, stanno portando ad un progressivo smembramento dell’originale nucleo centrale. Tale frammentazione non è soltanto ascrivibile alla presenza di numerosi gruppi tribali, ma anche ai contrasti sorti all’interno degli stessi per il mancato e condiviso riconoscimento dell’attuale leader, Fazlullah. Inoltre, in un momento di delicata trasformazione dell’insorgenza, la smentita del portavoce del TTP sulla responsabilità dell’attacco potrebbe essere attribuita al timore di una nuova reazione da parte delle Forze Armate. L’attacco a Charsadda, infatti, giunge a poco più di un anno dall’attacco alla scuola militare di Peshawar, nel dicembre 2014. In quell’occasione, le Forze Armate pakistane avevano reagito intensificando l’operazione anti-terrorismo Zarb-e-Azb (giugno 2014), nelle Aree Tribali di Amministrazione Federale (FATA), nel nord-ovest del Paese. Avvenuta principalmente nell’Agenzia del Nord Waziristan, l’operazione ha permesso all’Esercito di smembrare il network talebano in questo territorio.

Nonostante gli sforzi delle autorità pakistane, tuttavia, per la radicata presenza dell’insorgenza nelle Aree Tribali, da un lato, e la permeabilità del confine con il vicino, e problematico,  Afghanistan, la presenza terroristica nel nord-ovest del Paese continua a essere esplicitamente rilevabile. Ne consegue che per far fronte alla minaccia terroristica che coinvolge il Pakistan, potrebbe essere necessaria una più forte collaborazione con l’Afghanistan, al fine di limitare la presenza dei terroristi lungo il confine. In ogni caso, è da considerare come lo stesso Stato afghano vessi in condizioni di profonda crisi politica e di sicurezza e, dunque, non sia in grado di gestire la minaccia terroristica di stampo talebano.

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