L’ISIS bussa alle porte della Cecenia
Terrorismo e Radicalizzazione

L’ISIS bussa alle porte della Cecenia

Di Sofia Cecinini
17.02.2015

L’ISIS minaccia anche la Russia.

Lo scorso 2 settembre i jihadisti dello Stato Islamico hanno pubblicato un video in cui minacciavano il Presidente Vladimir Putin di scatenare una nuova offensiva in Cecenia, così da far precipitare la situazione nella regione del Caucaso.

Nel filmato, girato all’aeroporto di Tabqa, si vedono alcuni terroristi dello Stato Islamico accanto a un caccia che la Russia aveva donato all’esercito siriano di Assad. Poco tempo dopo la diffusione del videomessaggio, una nuova minaccia a Putin giungeva da Tarkhan Batirashivili, uno dei comandanti dell’ISIS, conosciuto col nome di battaglia di Omar il Ceceno, il quale annunciava di essere pronto ad attaccare la Russia per espandere la presenza dello Stato Islamico.

RT.com – sito del canale satellitare “Russia Today” – ha riportato le parole ruvide con cui il presidente della Cecenia, stretto alleato di Putin, avrebbe risposto alle minacce dell’ISIS: “Questi bastardi non hanno alcuna relazione con l’Islam” e per questo “verranno distrutti”. Chiunque stia progettando di attaccare il territorio ceceno – ha detto – dovrà fare i conti anche con la potente Russia che sostiene il governo ceceno.

L’odio dello Stato Islamico contro i russi ha le sue radici nelle guerre russo-cecene degli anni novanta, durante le quali la ribellione si è progressivamente islamizzata, trapassando i confini del territorio ceceno e creando un movimento radicale islamico in tutto il Caucaso del Nord.

Omar il Ceceno (Omar al Shishani), di padre georgiano e di madre cecena, è originario della Gola del Pankisi. La sua ascesa ai vertici dello Stato Islamico deriva dalla sua militanza precedente tra i ribelli che volevano creare un Emirato del Caucaso e che, nel 2014, hanno appoggiato la rivolta siriana contro il governo di Assad.

Una volta che Omar il Ceceno ha iniziato a scalare i vertici dell’ISIS, è stato abbandonato dai militanti di al Qaeda, ma è ugualmente riuscito ad assumere un ruolo tale da costituire oggi una delle maggiori minacce per la Russia di Putin e per il governo del presidente ceceno Kadyrov. Una minaccia tra l’altro confermata dall’attentato di matrice islamista avvenuto lo scorso 5 ottobre a Groznij, quando un terrorista suicida si è fatto esplodere nei pressi di un concerto in onore dei festeggiamenti per i 196 anni della capitale, uccidendo 5 poliziotti e ferendone altri 121. L’attentatore è un ragazzo di 19 anni, Apti Mudarov, ceceno residente a Groznij.

Al momento, l’organizzazione alle spalle dell’attentatore rimane sconosciuta, ma non è escluso che possa trattarsi dello Stato Islamico. Alcuni esperti ritengono infatti che l’episodio possa essere stato una reazione alla risposta di Kadyrov al videomessaggio diffuso a settembre. Tra i sostenitori di questa ipotesi ci sono Sergei Goncharov, presidente dell’Associazione dei veterani del dipartimento antiterroristico “Alfa”, e Vadim Kozjulin, esperto del Centro per le ricerche politiche della Russia (PIR-Centre). Il politologo Sergej Markedonov, docente all’Università Statale Umanitaria Russa, sostiene invece che sia ancora prematuro trarre conclusioni sull’attentato, data la scarsità di dati sulla presenza dell’ISIS in Russia. Al di là del fatto che queste minacce si stiano concretizzando o meno, lo Stato Islamico rimane un nemico pericoloso da fronteggiare. Un altro fattore che deve preoccupare la Russia è la presenza dei militanti jihadisti provenienti dalla Gola del Pankisi, in Georgia, che hanno già avuto un ruolo preponderante durante il primo conflitto russo-ceceno e che potrebbero lavorare alla creazione di un fronte jihadista che, dal Caucaso, si estenda fino all’Asia centromeridionale. In un suo articolo, il sociologo Alessandro Orsini ricordava il piano strategico di al-Zawahiri, il quale aveva dichiarato di voler creare una “catena jihadista” che, dal Caucaso, arrivasse fino al subcontinente indiano2.

Mosca, fin dall’inizio dell’espansione dell’ISIS, ha portato avanti una politica di sostegno al governo di Assad per prevenire la nascita di un caos che avrebbe potuto alimentare il potere dei militanti jihadisti nel Nord del Caucaso. Ciò ha portato la Russia a fornire armi e condividere le strategie di intelligence con il governo siriano, di cui è da tempo alleato. Quando poi l’ISIS ha cominciato a impossessarsi anche dei territori in Iraq, Putin ha provveduto a fornire aiuti e armi anche alla capitale irachena_._ È ormai chiaro quindi che il Presidente russo abbia la necessità di combattere l’ISIS in Medioriente per impedire che esso possa svilupparsi anche nel Nord dell’area caucasica.

In teoria la Russia e gli USA avrebbero un interesse comune nel cooperare per contrastare l’avanzata dell’ISIS. Tuttavia tra i due paesi esistono delle divergenze geopolitiche che, almeno in questo momento, impediscono loro di abbracciare una strategia comune.

Le divergenze USA-Russia

Il punto chiave per comprendere la divisione tra la Russia e gli USA è presto detto: Mosca è disposta a combattere lo Stato Islamico, ma non vuole che venga colpito Assad. È, infatti, noto che l’Arabia Saudita – tra i principali alleati americani nei raid aerei anti ISIS – chiede agli Stati Uniti di bombardare non soltanto gli uomini di al Baghdadi, ma anche l’acerrimo nemico Assad. Ecco il problema di Mosca: combattere contro l’ISIS senza indebolire Assad.

Il portavoce del Ministero degli Esteri russo, Aleksandr Lukasehvich, ha affermato che gli attacchi aerei Usa in Siria contro gli estremisti dell’ISIS sono un’aggressione “una grossolana violazione del diritto internazionale”3 dal momento che non hanno il consenso di Damasco e del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. A smorzare questa polemica è però intervenuto il presidente siriano Assad, assicurando che la Siria accetta ogni aiuto internazionale per combattere l’ISIS, fornendo così di fatto un implicito consenso all’intervento americano. Inoltre gli USA avevano comunicato l’inizio dei raid all’ambasciatore siriano all’Onu, che a sua volta ha trasmesso la notizia a Damasco. Washington avrebbe quindi informato la Siria delle sue mosse senza però chiedere alcun permesso formale, anche se, nei fatti, le diplomazie dei due Paesi dialogano.

Insomma, Mosca non potrebbe mai accettare il rovesciamento dell’alleato Assad e l’instaurazione di un governo filoamericano. Sul punto, il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov non poteva essere più chiaro quando ha minacciato di inviare armi antiaeree alla Siria nel caso in cui la coalizione guidata dagli Stati Uniti avesse bombardato anche le postazioni di Assad. Mosca teme di perdere terreno nell’area mediorientale. Gli Stati Uniti, d’altro canto, non hanno alcuna intenzione di entrare in guerra con Putin. Una guerra che, per quanto indiretta, sarebbe fortemente destabilizzante per gli equilibri già instabili del Medio Oriente.

A fronte di questa delicata situazione di alleanze, durante un incontro tra il Ministro degli esteri americano John Kerry, e il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, avvenuto a Parigi lo scorso 14 Ottobre, la Russia ha dichiarato che è necessario tenere aperto il dialogo tra le due potenze per poter fronteggiare l’avanzata dello Stato Islamico in modo più efficace.

Il mondo resta ancora una volta col fiato sospeso, in attesa che le due superpotenze trovino un punto d’incontro per fronteggiare un nemico pericoloso che, in assenza di un accordo politico tra USA e Russia, rischia di crescere, anziché arretrare.

1  David M. Herszenhorn, “Bomber Kills 5 in Chechnya on a Day of Celebrations”, The New York Times, 5 Ottobre, 2014

2 Alessandro Orsini, “Al-Qaeda ci ha messo nel mirino – Dokka Umarov dice che gli infedeli rappresentano una sola nazione”, Italia Oggi, 14 Gennaio, 2014

3 “Raid anti Isis, Mosca critica Obama L’Onu: «Minaccia va affrontata»”, Redazione Online, Corriere della Sera, 14 settembre, 2014

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