La Repubblica Democratica del Congo e il prezzo della stabilità
Africa

La Repubblica Democratica del Congo e il prezzo della stabilità

Di Leonardo Colucci
12.03.2012

Nella Repubblica Democratica del Congo si sono concluse a febbraio le operazioni di scrutinio delle elezioni presidenziali e legislative del novembre scorso. I quasi tre mesi di tempo impiegati dalla Commissione Elettorale Nazionale Indipendente – CENI per completare lo spoglio dei voti ed ufficializzare i nomi dei 500 parlamentari eletti all’Assemblea Nazionale non sono bastati a dissipare i pesanti dubbi sulla regolarità del voto.

La tornata elettorale del 28 novembre scorso ha sancito la rielezione alla presidenza della repubblica di Joseph Kabila, succeduto nel 2001 al padre Laurent Desirè Kabila, leader della ribellione anti Mobutu, e già confermato alla presidenza nel 2006 con le prime elezioni libere nel paese in più di quaranta anni. Il risultato delle sole presidenziali è stato ufficializzato a dicembre e ha visto, secondo i dati resi noti dalla CENI, una decisa affermazione di Kabila con il 48.95% sul candidato principale dell’opposizione Etienne Tshisekedi che ha raccolto il 32.33% di consensi, soprattutto nella capitale Kinshasa e nella sua regione d’origine del Kasai. Anche le elezioni legislative sono state vinte dal fronte di Kabila, che si è assicurato circa 350 dei 500 seggi dell’Assemblea Nazionale.

Le elezioni, tenutesi in un clima di forte tensione e precedute da duri scontri tra le opposte fazioni con decine di morti in tutto il paese, sono state sin da subito contestate dal fronte delle opposizioni ed in particolare dai due candidati più autorevoli, Tshisekendi appunto e Vital Kamerhe, ex presidente dell’Assemblea Nazionale, arrivato terzo con il 7.74% dei voti. I dubbi, riguardano soprattutto le irregolarità ai seggi e nella registrazione degli aventi diritto, nonché nel computo stesso delle preferenze. Forti perplessità sono state espresse anche dai numerosi osservatori internazionali, e nello specifico dalla delegazione dell’Unione Europea e dal Carter Centre. Un ricorso ufficiale presentato da Kamerhe a nome del fronte delle opposizioni è stato rigettato dalla Corte Suprema in un processo dalla dubbia attendibilità, data la composizione dell’organismo giudicante, infarcito di suoi fedelissimi da Kabila proprio alla viglia delle elezioni.

L’approccio della comunità internazionale rispetto all’esito elettorale e alle prospettive dell’immediato dopo-elezioni è stato improntato alla cautela più assoluta. Lasciando da parte il caso dell’Unione Africana, che ha addirittura parlato di elezioni regolari, la gran parte degli attori internazionali hanno si denunciato le diffuse irregolarità e il passo indietro rispetto al cammino democratico intrapreso cinque anni fa, ma si sono guardati bene dal mettere in seria discussione la legittimità della rielezione di Kabila, consci delle conseguenze devastanti che una destabilizione del paese potrebbe generare. La comunità internazionale considera in questo momento ben più importante dare continuità al lavoro di normalizzazione interna e nei rapporti con le altre potenze regionali intrapreso dall’attuale presidente, piuttosto che perseguire una difficile ortodossia democratica.

Non c’era d’altra parte, come affermato anche dal Segretario di Stato Americano Hillary Clinton, la convinzione che un riconteggio delle schede o un’approfondita indagine interna (pur auspicata da tutti) avrebbe portato ad un risultato diverso. L’innalzamento dei toni avrebbe invece avuto la più probabile conseguenza di legittimare un passaggio dal confronto politico al ricorso alla violenza su larga scala, uno scenario più volte minacciato in maniera irresponsabile dallo stesso Tshisekedi. Diversi focolai di protesa, già segnalati prima delle elezioni, si sono ampliati all’indomani della tornata elettorale, valicando i confini del Congo e arrivando addirittura in Europa con manifestazioni sia a Londra che a Parigi e Bruxelles. Nella capitale belga in particolare le manifestazioni sono sfociate in scontri con la polizia, ed in virtù delle dimensioni rilevanti della comunità congolese, hanno interessato un intero quartiere, devastato per diversi giorni prima di essere messo in sicurezza dalle forze dell’ordine.

La situazione però sembra oggi sotto controllo: Kabila non ha visto la sua legittimità messa seriamente in discussione, sebbene la sua cerimonia d’insediamento sia stata largamente disertata dai capi di stato stranieri. Il fatto che il Presidente sia riuscito a mantenere il controllo della città all’indomani delle elezioni, confinando di fatto il proprio avversario in una sorta di regime di libertà vigilata nel suo quartier generale, sebbene non favorisca un ritorno al normale confronto democratico, fa pensare ad una situazione di relativa stabilità ed allontana gli spettri di una nuova guerra civile prospettati da più parti fino a pochi giorni prima. Le opposizioni d’altra parte, all’indomani dell’insediamento dell’Assemblea Nazionale, lo scorso 15 Febbraio, stanno ancora valutando se boicottarne i lavori ritirandosi sull’Aventino. Questo potrebbe facilmente portare ad instaurare un circolo vizioso nel quale le fila governative si arroccherebbero sempre di più al potere, limitando oltre il livello di guardia lo spazio per un normale confronto democratico, e fornendo così nel medio periodo le basi per una nuova radicalizzazione del confronto politico, con eventuali degenerazioni nel ricorso alla violenza.

Nell’immediato, i maggiori problemi per il Presidente Kabila vengono invece dal fronte della sicurezza interna. Proprio durante le elezioni di novembre e nei mesi successivi, si è registrato un importante aumento degli scontri nell’est del paese, da sempre la zona più sensibile del Congo, al confine con Uganda, Ruanda e Burundi. Secondo le stime dell’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati, sono state 100000 le persone messe in fuga dalla nuova ondata di violenze che si è concentrata soprattutto nelle province del Nord e Sud Kivu. Sotto accusa sono finiti nuovamente alcuni gruppi appartenenti alle forze regolari congolesi - FARDC e soprattutto le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda - FDLR, il principale gruppo di ribelli Hutu ruandesi, attivo nella regione sin dalla fine del genocidio ruandese e in particolare dagli anni 2000 in concomitanza con la seconda guerra del Congo. Gli attacchi dei ribelli FDLR sono spesso organizzati per ottenere il controllo di zone minerarie o per colpire le comunità locali ai fini del sostentamento.
Proprio per intervenire su questo importante fattore d’instabilità per il Paese, la forza di pace dell’ONU, MONUSCO ha lanciato il 15 febbraio, nella provincia del South Kivu, una nuova operazione militare chiamata “Amani Kamilifu” della durata prevista di circa due mesi. Sul fronte del contrasto alle attività dei ribelli ugandesi del Lord Resistance Army – LRA invece si registra un trend positivo che ha visto diminuire sensibilmente gli attacchi portati ai civili da questo gruppo armato, notevolmente indebolito nel numero e nella catena di comando dalle azioni mirate di MONUSCO e FARDC.

La chiave per continuare nel difficile e lungo processo di stabilizzazione del Paese, che passa forzatamente dallo spegnimento dei focolai d’insicurezza nelle province dell’est, sta nella gradualità del passaggio di consegne tra la forza ONU e le truppe regolari congolesi. Il ridimensionamento della MONUSCO, ad oggi la forza di pace ONU più grande del mondo con circa 20000 uomini, viene richiesto da tempo dalle autorità congolesi, ma è fondamentale che quando si arriverà ad un effettivo passaggio di consegne completo, le FARDC rappresentino un’alternativa credibile alle forze ONU nella protezione dei civili. Un obiettivo che al momento sembra lontano.

Proprio le forze armate congolesi sono infatti accusate non solo di essersi macchiate di numerosi casi di violazione dei diritti umani, ma di essere al centro di uno dei sistemi più corrotti del paese, quello legato allo sfruttamento delle miniere, vera causa della costante instabilità nell’est e nel sud del Paese. Molto spesso i militari controllano le zone minerarie esigendo percentuali sui profitti, o addirittura gestendo in proprio i siti ed esportando illegalmente i minerali, alla stregua di molte altre milizie e gruppi ribelli più o meno organizzati. Ciò che preoccupa maggiormente però è che anche laddove è il governo stesso a gestire l’enorme patrimonio in risorse naturali, lo fa con scarsissima trasparenza. Proprio in occasione delle elezioni dello scorso novembre, diverse organizzazioni hanno denunciato il passaggio di proventi derivanti dalla svendita dei diritti minerari a società off-shore (danno valutato in più di cinque miliardi di dollari per il paese), verso il fondo per la campagna elettorale del Presidente Kabila. Non sarebbe estraneo all’operazione lo stesso Ministro delle Miniere Martin Kabwelulu. La trasparenza delle attività minerarie dunque viene sempre più indicata dalle organizzazioni internazionali come una condizione necessaria per interrompere il circolo vizioso instauratosi in Congo. Il Carter Centre ha lanciato pochi mesi fa un sito web dedicato esclusivamente al monitoraggio di contratti ed attività del settore minerario nelle zone più esposte del Paese, ed anche l’Unione Europea si sta muovendo in questa direzione con una direttiva che stabilisce l’obbligo ad una maggiore trasparenza nella diffusione dei dati per le compagnie che operano nei settori minerario e delle risorse naturali in Africa.

La situazione generale in Congo risulta quindi relativamente stabile se confrontata con il passato recente ed alcuni scenari catastrofici prospettati negli ultimi mesi. Permangono però fattori di rischio notevoli in praticamente tutti i settori dello stato, dall’economia al panorama politico. Il Presidente Kabila dovrà affrontare sfide immediate, cercando ad esempio di rivitalizzare un’economia stagnante, pur in un contesto regionale di crescita diffusa (si pensi al Ruanda, all’Angola o al vicino Congo - Brazzaville). Una normalizzazione del dibattito politico sembra un obiettivo ancora più prioritario e al contempo difficile da raggiungere nel breve periodo: Kabila dovrà mostrare di essere in grado di prendere in mano la guida del paese in un momento particolarmente delicato anche all’interno della sua cerchia ristretta, colpita lo scorso 12 febbraio dalla morte improvvisa in un incidente aereo di Augustin Katumba, vera eminenza grigia del sistema di potere politico-economico congolese ed artefice dell’ascesa al potere del giovanissimo Joseph Kabila alla morte del padre. Le elezioni provinciali in programma tra marzo e luglio rappresenteranno dal punto di vista della sicurezza interna un primo banco di prova per la nuova presidenza di Kabila.

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