Al Shabaab diventa globale?
Africa

Al Shabaab diventa globale?

Di Staff Ce.S.I.
31.10.2013

Il 21 settembre Nairobi è stata oggetto di uno dei peggiori attentati terroristici della storia del Kenya. Un commando di circa 15 miliziani di Al Shabaab, organizzazione somala di affiliazione qaedista, ha assaltato il Westgate Mall, centro commerciale di Westlands, ricco distretto nord-occidentale abitato prevalentemente da cittadini stranieri. Dopo 4 giorni di scontri nel centro commerciale, all’interno del quale i terroristi si erano asserragliati con 20 ostaggi stranieri, le Forze Speciali keniote, coadiuvate dal SAS e dal Sayeret Matkal israeliano, sono riuscite a neutralizzare, con difficoltà, il commando. Il bilancio finale è stato di 67 morti, di cui 20 stranieri, 170 feriti e la distruzione del Westgate Mall, collassato in seguito ad un incendio divampato nel corso dello scontro armato.

Nel rivendicare l’attacco di Nairobi, Abu Zubeyr “Godane”, emiro di Al Shabaab, ha sottolineato la sua natura di rappresaglia contro il Governo keniota per l’Operazione LINDA NCHI del 2011-2012 in Somalia e per la partecipazione della KDF (Kenya Defence Force) ad AMISOM (African Union Mission in Somalia). Dall’inizio dell’operazione, Al Shabaab ha colpito  ripetutamente il Kenya, sia con continue incursioni nei territori settentrionali al confine con la Somalia, sia con attacchi e attentati suicidi nelle maggiori città nel resto del Paese (oltre 100 attacchi e 200 morti nell’ultimo anno). L’attentato, la cui dinamica ricorda quella dell’attentato compiuto da Lashkar-e-Toiba a Mumbai nel 2008, ha evidenziato alcuni elementi che potrebbero indicare un’evoluzione di Al Shabaab in senso maggiormente qaedista e internazionalista. Innanzitutto la composizione del commando, formato da miliziani di etnia somala reclutati sia in patria sia nella diaspora europea (Finlandia, Svezia) e in quella statunitense (Minnesota, Texas). Inoltre, tra i miliziani coinvolti, potrebbero esserci stati anche un combattente russo (Daghestan) e 2 siriani. I maggiori sospetti sull’ideazione e l’organizzazione dell’attentato sono ricaduti su Abu Sendheere, keniota di origine Masai e braccio destro di Fazul Abdullah, principale referente di Al Qaeda in Somalia fino al 2011, anno della sua uccisione. Altresì, un ruolo di rilievo potrebbe essere stato ricoperto da Samantha Lewthwaite, la “Vedova Bianca” del jihad qaedista.

La Lewthwaite, moglie di Jermaine Lindsay, uno degli attentatori del 7 luglio 2005 a Londra, è una delle figure emergenti del salafismo in Africa orientale. Il reclutamento dei miliziani in Kenya e nel resto del mondo e la logistica delle operazioni a Nairobi sono stati affidati, da alcuni anni, al MYC (Muslim Youth Center) e al suo successore Hijrah (la Migrazione), 2 costole keniote di Al Shabaab, basate presso 2 aree della capitale keniota: la moschea del quartiere Majengo e il distretto a maggioranza somala di Eastleigh (chiamato “Piccola Mogadiscio”). Il MYCHijrah, nato nel 2006, è guidato da Sheikh Ahmad Iman Ali, responsabile delle attività di Al Shabaab in Kenya. Tuttavia, il network di Hijrah è ben radicato anche a Mombasa. Infatti, gli ideologi del gruppo, gli imam radicali Sheikh Aboud Rogo Mohammed, ucciso nell’agosto 2012 in un sospetto raid della polizia, e Abubaker Shariff Ahmed “Makaburi” erano/sono attivi nella grande città costiera, dalla quale gestivano/gestiscono diversi canali di reclutamento e approvvigionamento regionale e internazionale. Per inciso, occorre ricordare che il solo Kenya ospita al proprio interno oltre un milione di Somali, concentrati a Nairobi, a Mombasa e nel campo profughi di Daadab (500.000 persone), nel nord del Paese. Ma a questi bisogna aggiungere la diaspora somala in Europa (110.000 nel Regno Unito, 34.000 in Olanda, 25.000 in Scandinavia) e in Nord America (130.000 in Canada, 30.000 negli USA).

Dal febbraio 2012, il MYC-Hijrah e Al Shabaab si sono federati e hanno ufficializzato la propria affiliazione al network qaedista, formando AQEA (Al Qaeda in East Africa). Ad occuparsi dei rapporti tra Al Qaeda Central e AQEA è lo statunitense Abu Abdullah al-Mujair, al secolo Jehad Mostafa, responsabile del trasferimento di armi, beni di prima necessità e combattenti tra Somalia, Kenya, Eritrea, Sudan, Yemen, Congo e Nigeria. Pare che sia stato proprio al-Mujair a suggerire ad AQEA sia l’intensificazione dei rapporti con Ansaru, costola qaedista della setta salafita nigeriana Boko Haram, sia l’invio, tramite la collaborazione di ufficiali sudanesi ed eritrei, di consiglieri e miliziani nel Congo orientale e in Uganda. In quest’ultimo contesto, l’intenzione di AQEA potrebbe essere quella di intensificare i rapporti e radicalizzare l’ADC (Allied Democratic Forces) ed il NALU (National Army for the Liberation of Uganda), entrambe formazioni anti-governative composte da miliziani ugandesi di religione islamica affiliati alla setta Jamaat Tabligh. Occorre ricordare come l’Uganda sia uno dei pilastri di AMISOM e, quindi, uno degli attori più importanti nella lotta ad Al Shabaab. Il reclutamento di combattenti stranieri, la metodologia dell’attacco e la retorica jihadista internazionale mostrate da Al Shabaab a Nairobi non sono l’unico indizio della progressiva qaedizzazione del movimento.

Infatti, l’Amniyat, il servizio segreto di Shabaab, struttura semi-indipendente rispetto alla leadership politica e militare del gruppo e strutturata in modo da sopravvivere ad una sua eventuale fine, è gestito da un ex ufficiale sudanese, il cui nome in codice è “Hassan”, in diretto contatto con Ayman al-Zawahiri. Dunque, l’Amniyat rappresenterebbe il nucleo della presenza e della direzione qaedista in Somalia e in tutto il Corno d’Africa. L’avvicinamento di Al Shabaab ad Al Qaeda è stato causato alla progressiva perdita di sostegno popolare da parte del movimento e dalla scissione del gruppo “pan-somalista” di Hassan Dahir Aweys, personalità più “moderata” e maggiormente sensibile al richiamo dell’affiliazione clanica. Il reclutamento di combattenti non somali o di somali residenti all’estero, dunque estranei alle tradizionali vicende claniche, nonché più vulnerabili alla propaganda e alla narrativa jihadista, è funzionale a sopperire a tale perdita di appeal locale e a superare gli ostacoli imposti dai legami clanici, più influenti in Somalia che all’estero. La progressiva trasformazione di Al Shabaab in un “franchising” di Al Qaeda potrebbe avere un impatto sensibile sugli scenari somalo, africano orientale e globale, in particolare su quei Paesi con una forte presenza di immigrati somali. Dunque, nel prossimo futuro è lecito aspettarsi un aumento delle azioni ostili non solo verso Somalia e Kenya, ma anche contro Uganda, Etiopia e Tanzania, tutti Paesi che collaborano attivamente nella lotta al terrorismo e dove sono forti le partnership e gli interessi occidentali. Inoltre, la radicalizzazione della diaspora somala non rappresenta soltanto un rischio per l’aumento del flusso di miliziani e di denaro verso il fronte del jihad africano orientale, ma anche per la sicurezza dei Paesi che accolgono la diaspora. Infatti, non sarebbe da escludere la possibilità di atti terroristici futuri da parte di “homegrown” di origine somala.

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