Geopolitical Weekly n.137

Geopolitical Weekly n.137

Di Stefano Sarsale
06.02.2014

Sommario: Palestina, Siria, Ucraina, Yemen

Palestina

Dopo sei mesi di trattative, il Presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud ha fatto una propria proposta per il futuro assetto di pace con Israele, mettendo al centro il tema del controllo dei confini della Cisgiordania, che rappresenta una priorità per Israele. Il progetto prospetta la possibilità della costituzione di una missione NATO, a guida americana, che possa affiancare le forze di sicurezza palestinesi nel controllo della regione. Abbas ha altresì proposto una proroga dei tempi riguardanti il ritiro dei militari israeliani dalla Cisgiordania entro cinque anni dalla firma dell’accordo. Il nuovo Stato palestinese avrebbe così a disposizione solo una forza di polizia con funzioni di ordine pubblico, che verrebbe progressivamente addestrata dai membri della missione internazionale, che nel frattempo si occuperebbero anche del controllo dei confini, garantendo la sicurezza di Israele anche dopo il ritiro del suo Esercito Il Presidente Abbas ha però messo in evidenza le distanze che ancora permangono tra le due parti: Israele ha insistito per una presenza militare a lungo termine nella Valle del Giordano e non accetta compromessi riguardo i tempi concernenti il ritiro delle proprie truppe. La proposta arriva in una fase delicata dei negoziati, mediati dal Segretario di Stato americano John Kerry, il quale si appresta a presentare un quadro di principi fondamentali per un accordo di pace, che dovrebbero portare ad un piano di sicurezza, una linea di confine riconosciuta tracciata lungo le linee del 1967, il riconoscimento palestinese di Israele come stato ebraico e Gerusalemme come capitale condivisa. La durata dei negoziati prevista era di 9 mesi la cui scadenza è fissata per il 29 aprile. È tuttavia probabile che i negoziati proseguiranno oltre, nonostante i dubbi del Primo Ministro israeliano Netanyahu riguardo una possibile presenza nell’area di truppe straniere.

Siria

La leadership centrale di al-Qaeda ha tagliato ufficialmente i legami con l’ISIS (Stato Islamico d’Iraq e del Levante), potente gruppo jihadista iracheno comandato da Abu Bakr al-Baghdadi che ha ampliato la propria azione verso la Siria con l’obiettivo di creare uno Stato islamico. La divergenza di obiettivi di ISIS con l’opposizione siriana al regime di Assad non ha mancato di portare a scontri tra le due parti. La scissione è avvenuta a seguito del tentativo di ISIS di portare il fronte qaedista locale, Jabhat al-Nusra, sotto il proprio controllo. La leadership centrale di al-Qaead, con le parole dello stesso Zawahiri, aveva già da tempo intimato aBaghdadi di fermare l’azione del gruppo in Siria, ma questi si è sempre rifiutato. Se in un primo momento però, nonostante la fedeltà assoluta richiesta dall’organizzazione terroristica, al-Zawahiri aveva lasciato la situazione invariata a causa della crescente forza dell’ISIS, che aveva portato alla conquista della città di Raqqa, il problema di fondo inerente alla leadership è alla fine emerso: durante il mese di gennaio si sono verificati scontri tra membri di ISIS e una nuova alleanza islamista, il Fronte Islamico, comprendente comprendente anche al-Nusra. La dichiarazione di al-Qaeda rischia di dare avvio ad una uova ondata di violenze dal momento che ISIS potrebbe voler dimostrare la sua forza nonostante la perdita dell’appoggio di al-Qaeda. Nel frattempo la lotta contro i jihadisti si intensifica, con il blitz turco contro al-Qaeda dentro i confini siriani. Un convoglio dell’ISIS è stato infatti distrutto nei pressi del posto di frontiera di Cobanbey: questa è stata la prima ammissione da parte di Ankara di scontri diretti con i jihadisti sul territorio siriano.

Ucraina

È continuato per tutta la settimana il confronto tra il Presidente ucraino Yanukovich e l’opposizione. A seguito dello sgombero del Ministero della Giustizia abbandonato dai manifestanti, due sono stati i passi in avanti fatti: le dimissioni del Primo Ministro, Mikola Azarov, e l’abolizione da parte del Parlamento delle leggi anti-manifestazioni. L’ex Premier ha dichiarato di aver preso personalmente la decisione di dimettersi, in modo da facilitare il raggiungimento di un compromesso politico e di una soluzione pacifica alla crisi. Il Presidente Yanukovich ha successivamente tentato di offrire l’incarico ad un leader dell’opposizione, Arseni Iatseniuk, che ha però rifiutato. La scelta non stupisce dal momento che l’opposizione punta alle elezioni presidenziali e parlamentari anticipate.
Si guarda con molta attenzione alla formazione di un nuovo esecutivo, specialmente da Mosca che non ha gradito l’uscita di scena del Primo Ministro filo-russo. La Russia ha subordinato la continuazione dell’erogazione degli aiuti economici promessi a Kiev alla composizione del nuovo governo. 15 sono stati infatti i miliardi promessi in un primo momento da Mosca: il prestito si è interrotto a 3 non appena si è prospettata l’ipotesi di una salita al governo dell’opposizione. Stati Uniti ed Europa stanno in questi giorni tentando di assemblare un pacchetto di aiuti economici che possa aiutare l’Ucraina ad affrontare la grave crisi che sta attraversando. Con questi sarebbe infatti possibile avviare la ripresa economica del Paese, favorendo al tempo stesso i negoziati tra governo e opposizione, bloccati ormai da mesi di proteste rivolte contro il Presidente Yanukovich.

Yemen

Nelle ultime settimane sono proseguiti gli scontri nella Provincia settentrionale di Saada tra Houthi e miliziani tribali sunniti.
Gli scontri scoppiati a Damaj tra studenti salafiti e militanti Houthi sembrano nascondere un conflitto di proporzioni maggiori, che coinvolgerebbe anche Iran e Arabia Saudita. Le violenze hanno avuto origine nella scuola coranica Dar al-Hadith, oggi uno dei maggiori centri della corrente salafita del sunnismo nella regione. Secondo gli Houthi, essa verrebbe sfruttata al fine di indottrinare e addestrare aspiranti jihadisti, col sostegno dall’Arabia Saudita: è infatti molto forte il legame tra Riyad e i salafiti di Damaj. L’Arabia Saudita non ha inoltre gradito la decisione presa dal governo centrale yemenita di integrare gli Houthi nel processo nazionale di dialogo in corso dallo scorso 18 marzo, vedendo in esso il pericolo di una definitiva legittimazione politica del gruppo e il conseguente rischio di garantire all’Iran la possibilità di esercitare una forte influenza nel nord dello Yemen , proprio a ridosso della frontiera con l’Arabia Saudita. Spinti da aspirazioni autonomiste, a partire dal 2004, gli Houthi hanno combattuto 6 conflitti contro il governo centrale. Nonostante anche l’intervento diretto delle Forze armate saudite nel 2010, il movimento non solo è riuscito a resistere alle varie offensive, ma ha acquisito sempre più forza legittimandosi agli occhi della popolazione locale.

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