L’entità della minaccia jihadista in Egitto
Medio Oriente e Nord Africa

L’entità della minaccia jihadista in Egitto

Di Giorgia Pilar Giorgi
14.09.2015

Giovedì 16 luglio una nave della Marina militare egiziana è stata bombardata nelle acque antistanti la città di Rafah. Dopo essere stata colpita presumibilmente da un missile anti-carro lanciato dalla costa, la nave è esplosa senza compromettere l’equipaggio che è riuscito a trarsi in salvo. L’episodio si è verificato a seguito di uno scontro a fuoco avvenuto a ridosso della Striscia di Gaza tra le Forze di sicurezza egiziane e alcuni miliziani di Ansar Bait al-Maqdis (ABM), il gruppo terroristico attivo nella Penisola del Sinai che, nel novembre 2014, ha giurato fedeltà allo Stato Islamico (IS). Dunque, la distruzione dell’unità navale egiziana da parte dei combattenti jihadisti rappresenta una vera e propria rappresaglia.

Noto anche con il nome di Ansar Gerusalemme (Sostenitori di Gerusalemme), ABM è un’organizzazione jihadista attiva nella Penisola del Sinai nata nel periodo immediatamente successivo alla destituzione, nel gennaio 2011, del Capo di Stato Hosni Mubarak, alla guida del Paese da trent’anni.

Fondata da Khairat al-Shater, un ex membro di spicco dei Fratelli Musulmani, ABM è la realtà terroristica più influente nella Penisola del Sinai e risulta operativa soprattutto nei territori centro-settentrionali del Sinai vicino al confine israeliano, tra Rafah, al-Arish e Sheikh Zuweid. Il gruppo si compone di miliziani egiziani e stranieri e può contare sul sostegno della popolazione beduina locale che, da sempre, lamenta una discriminazione sistematica da parte dello Stato Egiziano.

L’azione terroristica di ABM si rivolge principalmente alle istituzioni statali e militari e alle Forze di sicurezza e di polizia; numerosi sono anche gli episodi ai danni di figure di spicco del panorama politico nazionale. Prima che nella Penisola del Sinai l’attività di ABM si è concentrata nel territorio di Israele. Lo Stato ebraico è stato più volte attaccato, come nel luglio 2012, quando è stato danneggiato il gasdotto di el-Arish, costruito per rifornire di gas egiziano i territori di Giordania e Israele. Dopo aver rivendicato la responsabilità di questo episodio, il gruppo ha perpetrato due nuovi attacchi ai danni dello Stato di Israele. In agosto, l’organizzazione ha dichiarato di aver lanciato razzi diretti alla cittadina meridionale israeliana di Eliat prontamente intercettati dal sistema “Iron Dome” (Cupola di Ferro), un sistema di difesa antimissile capace di intercettare e distruggere razzi a medio raggio.

Il mese seguente, in rappresaglia alla diffusione su internet del film americano a carattere antislamico “L’Innocenza dei Musulmani”, l’organizzazione ha effettuato un’imboscata ai danni di una pattuglia di confine israeliana. Dopo essere stato tradotto in arabo, il film è stato censurato in molti Paesi del mondo islamico perché ritenuto offensivo nei confronti della Comunità e del Profeta Maometto.

Il gruppo ha iniziato a concentrare la propria attività sul territorio egiziano in seguito al colpo di Stato che, nel 2013, ha deposto il Presidente, nonché leader dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsi, alla guida del Paese dal giugno 2012. Il piano è stato ideato e guidato dal generale al-Sisi che, in tale circostanza, ha indicato i Fratelli Musulmani come un’organizzazione “terroristica” colpevole, durante la propria permanenza al potere, di aver dato priorità ai propri interessi piuttosto che a quelli della nazione egiziana.

Dal golpe del 2013, gli attacchi del gruppo hanno conosciuto un innalzamento qualitativo: la capacità di colpire gli obiettivi è aumentata e la pianificazione degli attentati è divenuta sempre più sofisticata. Nel realizzare i propri attacchi, il gruppo è ricorso all’uso di autobombe, RPG, MANPADS e ha adottato le complesse tattiche di guerriglia caratterizzate da manovre multiple e combinate. La maggior parte delle armi usate dal gruppo provengono dall’arsenale libico di Gheddafi che, messo in sicurezza solo in parte, rappresenta un’importante fonte di approvvigionamento cui attingono illegalmente molti attori della regione e di cui il mercato egiziano è uno dei principali destinatari.

Nel modo di combattere, il gruppo s’ispira allo Stato islamico (IS). Infatti, in più di un’occasione, ha replicato le modalità di combattimento già utilizzate dal gruppo di al-Baghdadi, nella campagna di Mosul e in Iraq, nella penisola sinaitica e in Egitto.

Oltre che con lo Stato Islamico, al quale ABM è legato da un giuramento di fedeltà dal novembre 2014 e in seguito al quale ha cambiato nome in “Wilayat Sinai” (Provincia del Sinai), il gruppo intrattiene numerose relazioni con altre realtà jihadiste. A livello nazionale è  strettamente legato con Ajnad Misr jnad Misr, un gruppo terroristico egiziano attivo nella Valle del Nilo e responsabile di numerosi attacchi a sedi militari e istituzionali nella Capitale. Appare invece ambiguo il rapporto che ABM intrattiene con i Fratelli Musulmani. A sostenere l’esistenza di un legame tra i due è soprattutto Refaat Said, leader del partito socialista al-Tagammu, il quale ha rivelato come molti degli attuali jihadisti di Ansar Bait al-Maqdis precedentemente in carcere sono stati rilasciati dallo stesso governo Mursi allora leader dei Fratelli Musulmani. Allo stesso modo c’è chi sostiene come tra i due gruppi non sussista alcun legame e che anzi ABM si configuri a livello regionale come un avversario dei Fratelli Musulmani.

Fuori i confini nazionali, ABM rivela delle affinità ideologiche con al-Qaeda ma non ne risulta direttamente affiliato, sebbene intrattenga rapporti con gruppi legati ad AQ, come Jabhat al-Nusra in Siria, Ahrar al-Sham e Ansar al-Sharia in Libia e il Mohammed Jamal Network.

La situazione d’instabilità che affligge l’Egitto è aggravata dall’incapacità dell’Esercito di contrastare efficacemente la minaccia jihadista. Nonostante gli arresti e le uccisioni di miliziani e leader jihadisti, fra cui il leader di ABM Abu Osama al-Masry e le campagne di controterrorismo promosse già a partire dal 2011, la situazione non accenna a migliorare. L’Esercito si è dimostrato, in più di un’occasione, impreparato a combattere la guerriglia ed ha rivelato uno scarso coordinamento con le agenzie interne di sicurezza (intelligence, polizia). Inoltre, sulla strategia contro-terrorismo egiziana pesa l’incapacità di indebolire il tradizionale vincolo di fedeltà tribale esistente tra, i jihadisti egiziani e le popolazioni beduine locali.

Tale rapporto fiduciario ha però conosciuto negli ultimi mesi un’inversione di tendenza. Lo scorso maggio a seguito dell’uccisione di alcuni anziani leader tribali nella Penisola del Sinai, trenta tribù sinaitiche guidate dal clan dei Tarabin hanno deciso di fondare la Federazione tribale del Sinai, un’alleanza costituita da due gruppi di volontari, uno con compiti d’intelligence e di recupero delle informazioni, l’altro più operativo e impegnato nei combattimenti sul campo al fianco delle Forze di sicurezza egiziane. Fra le tribù che hanno annunciato di voler affiancare il governo nella lotta contro i miliziani di ABM, accanto alla già menzionata tribù dei Tarabin la più grande delle tribù beduine del Sinai, emergono per importanza la tribù Sawarka e quella Masaeed, unite dalla convinzione che non si possa restare impassibili di fronte al pericolo rappresentato da ABM. In futuro, potrebbe essere determinante l’atteggiamento che le tribù decideranno di assumere, schierandosi al fianco del Cairo o di ABM.

Sino ad oggi, il Presidente al-Sisi ha deciso di adottare una strategia prudente nella lotta contro il jihadismo, nel timore che una sua iniziativa militare più muscolare possa incentivare maggiori ritorsioni da parte di gruppi radicali. La scelta di al-Sisi si basa sulla consapevolezza dei rischi d’instabilità crescente che abbracciano tutto il Nord Africa e il Medio Oriente. Il timore principale riguarda soprattutto la possibilità che un flusso di forze radicali e di scontenti della Fratellanza Musulmana egiziana possa incentivare i propri contatti trans-nazionali con le realtà terroristiche libiche e saheliane, aumentando così la volatilità della regione del Sinai e di tutto l’Egitto.

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