Geopolitical Weekly n.122

Geopolitical Weekly n.122

Di Luca Barbagallo e Francesca Manenti
26.09.2013

Iran

Il Presidente iraniano, Hassan Rouhani, durante il discorso alle Nazioni Unite del 24 settembre, ha dichiarato la disponibilità dell’Iran ad intavolare con la Comunità Internazionale un dialogo costruttivo e scadenzato per cercare un punto di incontro sul dossier nucleare di Teheran. Ribadita la finalità prettamente civile del programma, Rouhani ha indicato una maggior trasparenza da parte del proprio governo e il riconoscimento multilaterale del diritto di Teheran di sviluppare propri progetti di ricerca per l’arricchimento dell’uranio come i presupposti necessari per l’inizio dei negoziati. In questa direzione dovrebbero portare la ripresa del processo di adesione dell’Iran al protocollo addizionale della Agenzia Internazionale per l’Enegia Atomica (AIEA) e il progressivo alleggerimento delle sanzioni economiche che Stati Uniti, Unione Europea e ONU hanno imposto contro Teheran, a partire dal 2006. In attesa di passi concreti da parte del governo iraniano, la Comunità Internazionale ha accolto con cauto entusiasmo il discorso di Rouhani. Critica, invece, è stata la reazione di Israele, che ha interpretato l’atteggiamento dell’Iran come un tentativo del governo per distogliere l’attenzione dallo sviluppo di un programma nucleare prettamente militare.

Nonostante l’apertura verso una rapida istituzione del tavolo negoziale, resta ancora da valutare quali saranno le effettive concessioni che il Presidente iraniano potrà portare avanti nei prossimi mesi. Rouhani, che nelle scorse settimane era riuscito ad ottenere dal Grande Ayatollah Khamenei la gestione dei negoziati sul nucleare, in genere di competenza del Supremo Consiglio di Sicurezza Nazionale, infatti, si trova a dover trovare un equilibrio tra le necessità legate al progresso dell’agenda in sede AIEA e la salvaguardia del delicato equilibrio istituzionale interno. La decisione di affidare le trattative al Ministero degli Esteri potrebbe essere un segno della cautela con cui Rouhani deve gestire non solo i colloqui sul nucleare a New York, ma in generale i rapporti bilaterali con Washington, per scongiurare uno scontro con le fazioni ultraconservatrici in Iran. In proposito, il 26 settembre si è svolto lo storico incontro tra il Ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, e il Segretario di Stato statunitense, John Kerry, alla presenza dei propri corrispettivi nel gruppo dei 5+1 (i membri permanenti del Consigli di Sicurezza e la Germania) e dell’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Sicurezza Comune, Catherine Ashton.

Iraq

Sabato scorso un attentato a Sadr City, distretto di Baghdad, ha causato la morte di 75 persone nel corso di una cerimonia funebre sciita. L’attacco è avvenuto all’indomani di un’altra esplosione che, stavolta, aveva colpito una moschea sunnita nei pressi di Samarra. Nelle ultime 72 ore, inoltre, altri tre attentati ai danni della comunità sunnita hanno avuto luogo nei distretti di Dura e Kazimiyya e a Saba’a al-Bour, periferia nord della capitale. Episodi che mostrano come il conflitto settario in corso in Iraq si stia progressivamente aggravando. La questione, oltre che religiosa, è anche di natura politica. Il Premier Nouri al-Maliki ha portato avanti in questi anni politiche di sostanziale accentramento dei poteri e di graduale emarginazione dei principali esponenti politici della comunità sunnita. Ad aggravare la situazione e ad accentuare lo scontro è inoltre la mancanza di un fronte politico coeso che dia spazio ed espressione alle rivendicazioni della comunità sunnita. Lo scoppio della guerra civile in Siria, poi, ha contribuito al rafforzamento di al-Qaeda in Iraq (AQI), il principale tra i gruppi estremisti sunniti, il quale ha potuto trarre grossi vantaggi dall’aumento dei traffici di armi e combattenti jihadisti nella zona di frontiera tra i due Paesi.

Kenya

Il 21 settembre un commando di circa 15 miliziani appartenenti ad al-Shabaab, gruppo terrorista somalo affiliato ad al-Qaeda, ha attaccato il Westgate Mall di Nairobi, imponente centro commerciale nel nord della capitale keniota frequentato in larga misura da cittadini stranieri. Dopo essere penetrato nella struttura dai parcheggi adiacenti, il commando ha risparmiato i musulmani, invitandoli a lasciare l’edifico, ed ha cominciato ad aprire il fuoco contro il resto della folla. Successivamente, i terroristi hanno preso in ostaggio circa 20 cittadini stranieri, di provenienza nord americana ed europea, costringendoli ad indossare cinture esplosive. Il commando di al-Shabaab, infine, si è asserragliato nei luoghi maggiormente protetti del centro commerciale, quali gioiellerie, banche casinò, attendendo l’arrivo delle Forze Armate keniote. L’apparato di sicurezza keniota si è dimostrato generalmente impreparato all’evento ed inadeguato a livello operativo, tanto da necessitare l’intervento di gruppi di Forze Speciali inglesi, del SAS (Special Air Service), e israeliane, del Sayeret Matkal. L’operazione anti-terrorismo e di liberazione degli ostaggi è durata oltre 3 giorni prima che il Westgate Mall potesse essere messo in sicurezza. Il bilancio attuale, secondo i dati sinora forniti dalla presidenza keniota, è di 62 morti e 175 feriti tra i civili, 6 morti tra le forze di sicurezza keniote e 5 tra i terroristi. Inoltre, 11 miliziani sono stati arrestati. Tuttavia, i dati forniti dal governo di Nairobi sono da considerarsi provvisori e passibili di modifiche, visto che permangono alcune incertezze sul numero degli assalitori e delle vittime.

L’attentato è stato rivendicato da al-Shabaab quale atto di rappresaglia contro il coinvolgimento keniota in AMISOM (African Union Mission in Somalia), la missione di stabilizzazione che, al fianco del governo somalo, cerca di contrastare il gruppo jihadista e di riportare pace e sicurezza nel tribolato Paese del Corno d’Africa. Gli attacchi di Nairobi hanno dimostrato come, nonostante il progresso di AMISOM e la perdita di sostegno popolare da parte di al-Shabaab, il gruppo terrorista sia in grado di colpire efficacemente anche fuori dai confini somali. Inoltre, la tipologia dell’attacco e la presunta presenza di miliziani sia stranieri (siriani, ceceni e yemeniti) sia appartenenti alla diaspora somala in Europa e Stati Uniti evidenziano come al-Shabaab, da quando la leadership è stata assunta da Abu Zubeyr, stia abbracciando un’agenda politica e un’ideologia più marcatamente qaedista ed internazionale a dispetto di quella interna e pan-somala che l’aveva tradizionalmente caratterizzato in passato.

Pakistan

Il duplice attentato, eseguito da shahid lunedì scorso nella chiesa di Ognissanti a Peshawar, nel Pakistan nord-occidentale, ha causato 81 vittime e il ferimento di oltre 145 persone. L’attacco è stato rivendicato da Jundallah, parte dei talebani pakistani del TTP. Il gruppo ha dichiarato di aver compiuto l’eccidio come forma di ritorsione per i raid aerei dei droni statunitensi nelle zone tribali del Paese. L’evento avviene sulla scia dell’iniziativa di dialogo con i militanti inaugurata dal governo Sharif, la stessa che è stata immediatamente sospesa da Islamabad dopo l’attacco, il più grave condotto contro la minoranza cristiana a memoria d’uomo. Peraltro, l’opposizione del potente establishment militare e le precondizioni estreme imposte dai militanti, avevano già seriamente pregiudicato la sostenibilità della politica del dialogo di Sharif. 
Il TTP infatti, aveva richiesto il rilascio dei suoi militanti e il ritiro dei militari dalle aree tribali al confine con l’Afghanistan e nel frattempo aveva intensificato i suoi attacchi contro le posizioni dell’Esercito pakistano.

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