Geopolitical Weekly n.118

Geopolitical Weekly n.118

Di Francesca Manenti e Alessandra Virgili
27.06.2013

Cina

Lo scorso 26 giugno, violente rivolte sono scoppiate a Turpan, cittadina situata a circa 200 Km da Urumqi, capitale della regione nordoccidentale dello Xinjiang.
I rivoltosi hanno assalito i poliziotti con coltelli e dato alle fiamme vetture della Polizia. Sedici persone, tra gli uiguri, ed otto civili sono morti, dopo l’uccisione di almeno undici protestanti da parte della polizia. Si conta, quindi, un totale di 35 vittime.
Alla base delle violenze c’è la contrapposizione tra Pechino e la causa indipendentista uigura. Lo Xinjiang è già stato recentemente teatro di forti tensioni tra gli uiguri, musulmani sunniti che rappresentano il 45% della popolazione, e han, gruppo etnico maggioritario che costituisce il 92% dell’intera popolazione della Cina. Questi ultimi vengono incoraggiati dal governo centrale ad emigrare nella regione per sinizzare il territorio e diluire la specificità etnica uigura. Pechino ha facilitato, nel corso dei decenni, la migrazione di gruppi han in queste zone, offrendo loro, a scapito degli uiguri, benefici ed i posti di lavoro più prestigiosi. Generalmente gli han sono la maggioranza nell’est e nel nord dello Xinjiang (Dzungaria) mentre gli uiguri sono il principale gruppo a sud e ad ovest. Turpan è un enclave uigura nell’est della regione e pertanto è particolarmente esposta a questo tipo di scontri.
L’agenzia di stampa cinese Xinhua, ha fornito un bilancio degli scontri nel 2012, che ammontano a circa 200 vittime, di cui la maggior parte di etnia han. L’atteggiamento duro cinese è spiegato dall’interesse della Cina a mantenere il controllo su di un territorio ricco di risorse che fa parte della travagliata ed instabile periferia occidentale, di cui fa parte anche il Tibet.
Gli uiguri accusano le autorità cinesi di repressione della propria cultura e di discriminazione. Il governo locale impone agli uomini uiguri di radersi la barba, ai minori di non frequentare le moschee e alle donne di non indossare il velo. Le autorità spesso incolpano delle violenze i militanti radicali del gruppo islamico filo-qaedista East Turkestan Islamic Movement (ETIM), mentre gli attivisti uiguri all’estero accusano la Cina di ingigantire ad arte tale minaccia per giustificare i metodi pesanti adottati dalle sue Forze di Sicurezza.

Libano

Un checkpoint delle Forze Armate Libanesi (LAF) a Sidone, nel quartiere meridionale di Abra, è stato attaccato nella sera del 23 giugno, da un gruppo armato di sostenitori dello sceicco sunnita Ahmed al-Assir, in seguito all’arresto del cognato di quest’ultimo, Fadi Beirouti. La reazione delle Forze libanesi ha portato a due giorni di scontri, durante i quali sono rimasti uccisi diciassette soldati, culminati nell’assedio alla moschea di Bilal bin Rabah, quartier generale di Assir. Le violenze sono state l’ultimo episodio causato dalle forti tensioni che attraversano il Paese a causa della guerra siriana. Sempre più coinvolte in questa situazione sono le LAF che, nonostante abbiano più volte rivendicato il proprio ruolo nel cercare di sedare l’escalation delle tensioni tra sciiti e sunniti, questi ultimi accusano le Forze Armate di fornire copertura e protezione ai militari di Hezbollah.
Assir, noto sin dal 2012 per i suoi appelli contro Hezbollah e il Presidente siriano Assad, aveva annunciato nei mesi scorsi, in seguito all’ufficializzazione dei legami del Partito di Dio con le Forze lealiste in Siria nella battaglia di Qusayr, l’istituzione di un gruppo armato sunnita – la Free Resistance Brigade – invitando i sunniti libanesi a partecipare alla guerra oltreconfine in sostegno dei gruppi ribelli. Figura controversa anche all’interno della comunità sunnita, lo sceicco è stato accusato di alimentare le tensioni inter-religiose che, negli ultimi mesi, hanno portato ad un rapido deterioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese dei cedri. Lo stesso gran Muftì libanese, Mohammad Rashid Qabbani, ha dichiarato non giustificabile un attacco ai danni delle Forze Armate nazionali, prendendo, di fatto, le distanze dall’episodio. Forme di sostegno ad Assir sono invece giunte da Tripoli, dove, il 24 giungo, un gruppo di uomini armati ha bloccato l’accesso ad alcune delle principali strade della città; inoltre, nella notte, è stato lanciato un razzo contro la postazione dell’Esercito nel distretto di Bab al- Tabbaneh, senza causare vittime.

Siria

Il Generale dell’Esercito statunitense, Martin E. Dampsey, responsabile del Joint Chief of Staff, ha dichiarato, durante la conferenza stampa congiunta con il Segretario alla Difesa, Chuck Hagel, tenutasi al Pentagono il 26 giugno, che gli Stati Uniti stanno cercando di rafforzare la capacità militare dei propri partner, Giordania e Turchia, per scongiurare un possibile spill over delle violenze siriane. La presenza delle Forze statunitensi nella regione era stata confermata nei giorni scorsi dal Primo Ministro giordano, Abdullah Ensour, e dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, Gen. Mashal al-Zabin, e consterebbe di circa 700 uomini rimasti sul territorio giordano al termine dell’esercitazione congiunta Eager Lion di inizio giugno. A questi, si deve aggiungere una componente aerea di F-16, sul cui numero non vi è certezza, anch’essi ricollocati in Giordania al termine dell’esercitazione. Sempre ad Amman, inoltre, dovrebbero cominciare ad arrivare nelle prossime settimane i primi rifornimenti di armi leggere e missili anticarro come parte del programma di addestramento a gruppi di combattenti che, dal territorio giordano, dovrebbero poi unirsi alle Forze dell’opposizione siriana nei combattimenti contro le Forze lealiste di Assad. Al training dovrebbe partecipare anche l’Arabia Saudita. Inoltre, durante il summit del G8 tenutosi a metà giugno, Washington aveva intavolato trattative con Londra e Parigi sulla possibilità di imporre una no fly-zone sulla Siria. Nelle ultime settimane, infatti, la diplomazia occidentale è stata sempre più attraversata dalle pressioni provenienti da Washington e, sembra, anche da Tel Aviv, per coinvolgere quanti più alleati possibili nella creazione di una no fly-zone sulla regione meridionale della Siria. Su questa iniziativa rimane l’atteggiamento assolutamente contrario della Russia, nonostante Mosca abbia ritirato il proprio personale militare dalla base di Tartus, sulle coste siriane.
Il rinnovato impegno degli Stati Uniti nella regione, era stato annunciato nelle scorse settimane dal Presidente Obama, che, dopo mesi di incertezze, aveva dichiarato la disponibilità degli Stai Uniti ad iniziare un piano di forniture militari per i ribelli siriani. Nonostante l’intenzione di Washington sia rafforzare la capacità militare degli uomini leali al Gen. Salim Idris, l’Amministrazione Obama si trova a dover affrontare il rischio che il flusso di armi tra le fila dell’opposizione siano intercettate dai gruppi salafiti vicini ad al-Qaeda, Jhabat al- Nusra su tutti.

Somalia

Martedì 25 giugno, Hassan Dahir Aweys, uno dei prominenti leader di Al Shabaab, gruppo terroristico somalo ufficialmente affiliato ad Al-Qaeda dal 2012, è stato catturato dalle forze di sicurezza somale ed imprigionato nella città di Adaado. Aweys è una delle personalità più influenti nel panorama jihadista africano, tanto che gli Stati Uniti avevano inserito, nel 2001, il suo nome nello Specially Designated Global Terrorist, la lista dei terroristi più pericolosi del mondo.
Aweys sembra sia stato catturato da un gruppo di pirati nella regione di Galguduud, situata in Somalia centro-settentrionale. Il Presidente della Somalia, Hassan Sheikh Mohamud, ha dichiarato che Aweys sarà trasferito a Mogadiscio, dove sarà processato per i suoi crimini. Occorrerà valutare quale sarà la prossima strategia del governo somalo, diviso tra i sostenitori della condanna esemplare e quelli favorevoli a colloqui con Aweys, personalità di grande rilievo del clan Hawiye.
L’arresto di Aweys è avvenuto in un momento di difficoltà per Al Shabaab. Infatti, Il leader si era dimostrato critico verso il movimento a causa delle lotte interne tra le diverse fazioni. In particolare, da tempo Aweys temeva per la propria vita a causa dei dissapori con Moktar Ali Zubeyr “Godane”, altro leader di al-Shabaab, noto per la tendenza ad eliminare coloro i quali considera avversari all’interno del movimento ribelle.
Il giorno dopo l’attacco di Al Shabaab al principale sito dell’UNDP (Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite) a Mogadiscio, avvenuto lo scorso 19 giugno, si sono verificati scontri tra fazioni nella fortezza di Baraawe, antica città portuale sudorientale. All’origine delle sparatorie vi è la tensione tra le fazioni legate ai principali leader di al-Shabaab: Aweys, Godane e Sheikh Mukhtar Robow. Nella fattispecie, Godane, qualche giorno prima dell’attacco all’ONU, aveva accusato Robow e Aweys di minare l’unità di al-Shababb, spiare a favore delle forze governative e danneggiare l’immagine del jihad.

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