Le diverse cause della protesta politica in Libano
Medio Oriente e Nord Africa

Le diverse cause della protesta politica in Libano

Di Stefania Azzolina
02.09.2015

A partire dalla seconda metà di agosto, la città di Beirut è stata scossa da un’ondata di forti proteste contro la mancata raccolta dei rifiuti nel centro urbano e nelle zone limitrofe.

La crisi ha avuto origine a metà luglio, quando il Ministro dell’Ambiente Mohammed Machnouk ha disposto la chiusura della discarica di Naameh, situata nella periferia meridionale della capitale. Tale decisione è arrivata dopo anni di proteste dei cittadini residenti e di numerosi movimenti ambientalisti in quanto, sebbene concepita come una soluzione temporanea, la discarica abbia protratto la sua attività per oltre 18 anni, con un impatto fortemente negativo sull’ambiente e sulla qualità di vita della popolazione.

Nonostante la chiusura di Naameh abbia risposto a una richiesta della popolazione, a tale misura non ha fatto seguito l’individuazione di un sito alternativo in cui dirottare i rifiuti. Ciò ha determinato l’accumularsi di enormi quantità di spazzatura in tutte le strade di Beirut, avviando una vera e propria emergenza sanitaria e ambientale.

L’incapacità da parte del Governo di coordinare il sistema di raccolta e smaltimento rifiuti ha generato un’ondata di forte indignazione da parte della popolazione che, a partire dal 22 agosto, sotto lo slogan “You Stink”, ha ripetutamente manifestato nelle piazze principali di Beirut. Nata come una forma di protesta pacifica, a cui hanno aderito migliaia di persone, “You Stink" è successivamente degenerata a causa di un graduale aumento della violenza dovuto agli scontri tra manifestanti e Forze di Polizia. Uno dei momenti più tesi si è verificato lo scorso 1° settembre, quando una trentina di contestatori hanno occupato alcuni corridoi della sede del Ministero dell’Ambiente e richiesto le dimissioni di Machnouk.

Al di là della “questione rifiuti”, il leitmotiv delle proteste si è concentrato su una critica più generale nei confronti del Governo di Tammam Salam, accusato di negligenza e incapacità nel garantire alla popolazione la fruibilità di servizi essenziali quali corrente elettrica o acqua potabile. Infatti, da diversi anni in Libano si applicano delle interruzioni programmate di corrente su base giornaliera per far fronte alle difficoltà di approvvigionamento di energia elettrica, frutto di una politica energetica discontinua e poco lungimirante. Allo stesso modo, nonostante la vastità delle risorse idriche del Paese, soprattutto in estate la popolazione deve fare i conti con la carenza d’acqua a causa sia del massiccio sfruttamento delle falde acquifere da parte di compagnie private (grazie a concessioni statali) sia della totale carenza di opere di sviluppo e manutenzione delle condutture pubbliche. Basti pensare che tale incuria ha determinato la perdita di circa un terzo delle risorse idriche a disposizione soltanto nell’ultimo anno.

Quindi, la questione della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti ha solamente contribuito a esasperare un clima già teso e a rendere ancora più acceso il dibattito nazionale sul tema della inattività e inefficienza della attuale classe politica libanese. Infatti, la popolazione appare sempre più critica verso l’organizzazione su base settaria del sistema politico, facilmente incline allo sviluppo di logiche clientelari, nepotiste e di grave corruzione, e la ritiene tra le cause principali dell’incapacità del Governo di provvedere ai bisogni dei cittadini.

Frutto del “Patto Nazionale” del 1943, il fragile equilibrio istituzionale del Paese prevede che il Libano abbia perennemente un Presidente delle Repubblica cristiano maronita, un Primo Ministro sunnita e un Presidente del Parlamento sciita. All’epoca dell’accordo esso rappresentava il tentativo di garantire un’equa rappresentanza di tutte le realtà etnico – religiose nella gestione della vita politica del Paese. Tuttavia, con il passare dei decenni si è gradualmente modificato il peso demografico delle diverse componenti senza che a questo corrispondesse un adeguamento sul piano della rappresentanza politica.

Così, ad oggi i manifestanti sembrano individuare in questa rigida ed inadeguata divisione la causa del sostanziale immobilismo dell’attività politica libanese, congelata dai veti incrociati delle rispettive fazioni politiche impegnate a salvaguardare i singoli interessi di parte a discapito di una corretta gestione della cosa pubblica.

Anche se la continua necessità di un compromesso tra le numerose anime che compongono il panorama politico abbia da sempre contribuito a rendere farraginoso qualsiasi processo decisionale, per comprendere a pieno l’attuale fase di stasi istituzionale bisogna tener conto dei riflessi che la crisi siriana sta avendo sul Paese dei Cedri. Le due anime che compongono l’attuale governo di coalizione, il gruppo 8 Marzo, a maggioranza sciita e cristiana maronita e di cui fa parte Hezbollah, e il gruppo 14 Marzo, a maggioranza sunnita e guidata dall’ex Premier Saad Hariri, si trovano in questo momento su posizioni contrapposte rispetto al dossier Siria, divise rispettivamente tra il sostegno al regime di Assad e l’appoggio alle forze ribelli. Tale aspetto si è tradotto sul piano politico interno nella difficoltà di trovare un compromesso anche su due questioni di vitale importanza per il corretto funzionamento della vita istituzionale del Paese quali lo svolgimento delle elezioni e il raggiungimento di un accordo per la designazione del nuovo Presidente della Repubblica.

Riguardo le elezioni, è ormai dal 2009 che i cittadini libanesi non si recano alle urne. Sebbene le consultazioni fossero previste per il maggio del 2013, l’Assemblea libanese, pur di scongiurare una nuova crisi governativa, ha preferito assumere un atteggiamento pragmatico e attendista, estendendo di volta in volta il proprio mandato. Dopo uno stallo durato 11 mesi, il 14 febbraio del 2014 si è giunti alla formazione di un nuovo governo, in seguito al raggiungimento di un compromesso tra i leader dei due schieramenti politici.

L’accordo, seguendo le tradizionali logiche, si è basato su un’equa ripartizione dei vari ministeri: entrambi gli schieramenti hanno ottenuto 8 ministeri ciascuno, mentre i rimanenti sono stati assegnati a un polo eterogeneo composto da politici non allineati ai due blocchi, scelti dal Premier Salam, dal Presidente Michel Suleiman e dall’influente leader druso Walid Jumblatt. Se da un lato il sistema di pesi e contrappesi utilizzato nella costruzione del nuovo governo ha garantito fino a questo momento un’equa rappresentanza delle varie anime politiche e confessionali del Paese, dall’altro, come si è visto, ha praticamente annullato l’effettiva capacità di azione dell’esecutivo generando il forte malcontento popolare alla base delle proteste delle ultime settimane. Tra le richieste della piazza, infatti, non mancano quelle relative alle dimissioni del Governo Salam e all’indizione di nuove elezioni anche se quest’ultima rivendicazione pare al momento di difficile attuazione. Nel novembre del 2014, infatti, con una schiacciante maggioranza di 95 voti sul 128, i parlamentari si sono espressi a favore di un ulteriore rinvio delle elezioni al 2017.

Anche nel caso del mancato accordo sulla designazione del successore di Suleiman alla carica della presidenza della Repubblica pesa ormai da più di un anno e mezzo la difesa degli interessi dei diversi schieramenti sia sul piano politico interno sia rispetto alle dinamiche regionali che li vedono protagonisti su fronti contrapposti. Diversi i possibili candidati tra i quali i due ex Presidenti di fede maronita Amin Gemayel e Michel Aoun, il giovane ex-Ministro degli Interni Ziyed Baroud, il Capo delle Forze Armate Jean Kahwaji, il Governatore della Banca Centrale Riad Salameh e il leader dello schieramento “Forze Libanesi” Samir Geagea, politico cristiano maronita condannato nel 2004 per diverse stragi compiute negli anni della Guerra civile (tra le quali Sabra e Shatila) e scagionato l’anno seguente tramite amnistia. Nonostante le trattative si protraggano ormai da tempo, considerata l’alta quantità di compromessi necessari per raggiungere il quorum richiesto non sembra possibile intravedere un accordo nei prossimi mesi.

Articoli simili