La strategia dell’IS nella provincia irachena di al-Anbar
Medio Oriente e Nord Africa

La strategia dell’IS nella provincia irachena di al-Anbar

Di Giorgia Pilar Giorgi
19.07.2015

Negli ultimi mesi lo Stato Islamico, l’organizzazione jihadista guidata da Abu Bakr al-Baghdadi, ha portato a termine uno dei suoi progetti più ambiziosi, ossia la conquista della provincia occidentale irachena di al-Anbar. Storico bastione della confederazione tribale Dulaimi che, in passato, ha sostenuto il regime di Saddam Hussein in cambio di una relativa autonomia nella gestione delle rotte commerciali verso l’occidente, la provincia costituisce poco meno di un terzo dell’intero territorio iracheno, estendendosi dai sobborghi di Baghdad fino al confine con la Siria, la Giordania e l’Arabia Saudita. L’ultimo baluardo della provincia a cadere nelle mani dei miliziani dell’IS è stato il suo capoluogo, Ramadi, una città di oltre 480 mila abitanti, per la maggior parte sunniti, che si è arresa lo scorso 20 maggio dopo 48 ore d’intensi combattimenti, aprendo così la strada a una possibile offensiva jihadista verso la capitale Baghdad, distante appena un centinaio di chilometri.

La conquista del capoluogo di al-Anbar rappresenta la più grande vittoria dell’IS negli ultimi mesi. Infatti, da quando la coalizione internazionale capeggiata dagli Stati Uniti ha iniziato i bombardamenti, i miliziani non hanno mai riportato vittorie così importanti e anzi, hanno perso il controllo di Tikrit, liberata dall’Esercito regolare iracheno con l’aiuto delle milizie iraniane e dell’aviazione americana. La presa di Ramadi, inoltre, dimostra tutta la vitalità della minaccia del Califfato, e tradisce le indiscrezioni sulle presunte difficoltà di Baghdadi di restare alla guida del gruppo a causa di supposti problemi di salute.

La provincia di Anbar è storicamente una delle zone del territorio iracheno più difficili da controllare, sia per via della sua imponente estensione che per la presenza, in vari momenti della storia, di numerose fazioni armate che hanno spesso messo a rischio la sua stabilità. Una di queste è l’Esercito Islamico in Iraq (Islamic Army in Iraq-IAI), un’organizzazione militare di matrice islamico-nazionalista a maggioranza sunnita, nata in seguito al crollo del regime di Saddam Hussein e avente l’obiettivo di liberare l’Iraq dall’occupazione americana. Oggi la stabilità della regione è nuovamente compromessa dalla capacità dell’IS di allearsi con le realtà tribali locali ostili al governo a maggioranza sciita di Baghdad e di cooperare con le realtà paramilitari locali, come l’Esercito degli Uomini dell’Ordine di Naqshbandi, (in arabo “Jaysh Rijal al-Tariqah al-Naqshabandia” -JRTN), una formazione baathista che, fin dalla caduta del regime di Saddam Hussein, ha animato l’insorgenza sunnita, il cui leader, Izzat Ibrahim al-Douri, ex vice del Rais, è stato ucciso in un raid della coalizione internazionale lo scorso aprile. L’avvicinamento tra il fronte jihadista e l’insorgenza sunnita rappresenta un cambio di tendenza rispetto agli anni 2005-2007, quando formazioni di ex miliziani sunniti hanno collaborato con il governo centrale e con gli Stati Uniti, per combattere al-Qaeda in Iraq, gruppo da cui poi ha preso vita lo Stato islamico. In quegli anni, l’allora capo delle forze armate Usa in Iraq, David Petraeus, promosse i cosiddetti “Consigli del risveglio”(Cdr), gruppi di ex insorti sunniti nati nella zona di Ramadi per contrastare la presenza jihaditsa nella regione. La collaborazione americana con i Consigli del Risveglio e le comunità tribali, ha permesso, se pur per un breve periodo, di migliorare la situazione interna al Paese finché, l’ex Premier Mailki, dopo aver vinto le elezioni nel 2009, ha deciso di emarginare i Cdr e ostacolare l’assorbimento nell’amministrazione pubblica degli ex ribelli.

Da quando l’esperimento dei Consigli del Risveglio è stato abbandonato, la stabilità del Paese è stata fortemente compromessa da un quadro settario sempre più frammentato che non ha permesso di organizzare un fronte comune contro le minacce alla stabilità. Questa situazione è stata aggravata dalla scarsa preparazione e dall’inaffidabilità dell’Esercito iracheno che si è spesso sottratto ai propri doveri, ritirandosi di fronte all’avanzare della minaccia jihadista. Quando i miliziani del Califfato sono giunti alle porte di Ramadi, i soldati di Baghdad si sono ritirato dalla città, aprendo così la strada ai jihadisti, i quali hanno assalito il carcere militare della città e liberato decine di terroristi. L’inefficienza dell’Esercito è imputabile anche alla mancanza di attaccamento e lealtà al governo centrale, che ha spesso mancato di pagare gli stipendi delle truppe schierate a Ramadi, costringendo il dipartimento locale a chiedere finanziamenti a famiglie del posto e a ricchi uomini d’affari.

Nella tattica di Baghdad per cercare di riprendere Ramadi, fin dalle prime ore è apparso prioritario l’utilizzo delle milizie sciite, gruppi armati iracheni formatisi per combattere lo Stato islamico e supportate dalle Forze Qods iraniane. Tale scelta, spalleggiata dal Premier iracheno sciita al-Abadi, è stata fortemente criticata dal Presidente americano Barack Obama, dal momento che questa decisione potrebbe acuire le tensioni interconfessionali nel Paese. Infatti, mentre in Iraq si cerca di favorire la collaborazione tra i diversi gruppi sciiti, la convinzione dominante nel Dipartimento di Stato americano è che, prima di poter pensare a qualunque controffensiva, sia necessario riorganizzare l’Esercito e aumentare gli sforzi per riqualificarlo. A tal proposito, negli ambienti militari americani si sta riflettendo sul come migliorare l’addestramento e l’equipaggiamento delle tribù locali sunnite. Ai fini dell’addestramento, le forze statunitensi hanno deciso di utilizzare una nuova base nella provincia di Anbar, quella di al-Taqqadum, vicino alla città di Habbaniyah. E’ previsto, inoltre, l’invio di 450 nuovi addestratori sul territorio, a supporto delle truppe irachene e delle forze tribali in lotta contro i jihadisti, ai quali dovranno unirsi con tutta probabilità, altri 125 addestratori inviati dal governo del Regno Unito. L’obiettivo è di creare una forza capace di riprendere Ramadi, il cui numero di unità dovrebbe raggiungere i 10.000 uomini. Inoltre, il governo statunitense ed alcuni suoi partner europei, tra cui l’Italia, hanno annunciato l’intenzione di contribuire alla ricostruzione della polizia irachena.

In definitiva, l’episodio di Ramadi dimostra la capacità dell’IS di insinuarsi nelle fratture dello Stato, e il tentativo di sostituirsi ad esso là dove questo dimostra di essere assente e di disattendere le promesse fatte ai suoi cittadini. Lo Stato islamico è una realtà parastatale che è riuscita a sfruttare il frammentario panorama tribale iracheno a proprio vantaggio seducendo le tribù sunnite che da anni si sentono emarginate dalle scelte politiche del governo sciita di Baghdad. Di conseguenza, la sconfitta dell’IS non può prescindere dall’individuazione di quelle cause che hanno permesso al gruppo di cooptare le esigenze e le rivendicazioni delle tribù locali asservendole al proprio progetto jihadista.

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