La relazione russo-ungherese e i suoi effetti sull'Unione Europea
Europa

La relazione russo-ungherese e i suoi effetti sull'Unione Europea

Di Giorgia Pilar Giorgi
03.06.2015

Il 17 febbraio 2015, il Presidente russo Vladimir Putin si è recato in visita a Budapest. La notizia del suo arrivo ha suscitato reazioni contrastanti. Infatti, se il Primo Ministro nonché Leader del Partito conservatore ungherese Fidesz, Viktor Orbán  lo ha accolto con tutti gli onori, alcune centinaia di manifestanti hanno affollato le strade della capitale e manifestando contro il rafforzamento dei rapporti tra Mosca e Ungheria, tanto voluti dal Premier ungherese. A criticare l’iniziativa è stata anche Bruxelles, da sempre preoccupata di un eccessivo rafforzamento dell’intesa tra Mosca e Budapest, convinta che un avvicinamento dell’Ungheria alla Russia provocherebbe un allontanamento del Paese dall’Occidente democratico e dai valori europei e aumenterebbe la dipendenza, soprattutto energetica, dello stesso da Mosca. A preoccupare è poi la possibilità che l’Ungheria possa fare “lobbying” per la Russia all’interno dell’UE, votando contro le sanzioni internazionali.

L’incontro è avvenuto all’indomani degli accordi di Minsk II e ha rappresentato il primo vertice bilaterale russo in un Paese dell’Unione Europea dall’estate del 2014, da quando la crisi in Ucraina e le sanzioni internazionali contro la Russia avevano raffreddato le relazioni di Mosca con i Paesi membri nell’Unione Europea e nell’Alleanza Atlantica. In tale occasione i due leader hanno discusso nuove ipotesi di collaborazione sia nel settore energetico, in particolare quello nucleare, che nel settore agricolo; Orbán , che aveva già aderito al precedente progetto del gasdotto russo “South Stream” abbandonato a dicembre 2014, ha mostrato interesse per la realizzazione del progetto alternativo di trasporto del gas russo in Europa attraverso il Mar Nero, “Turkish Stream”. A conclusione dell’incontro, sono stati siglati cinque accordi, fra cui il rinnovato contratto fino a dicembre 2018 per la fornitura di gas con il gigante russo Gazprom, la cui scadenza era prevista per il prossimo dicembre, nonché l’accordo relativo al progetto di ristrutturazione della centrale nucleare di Paks, l’unica ad oggi a ospitare impianti nucleari nel Paese.

I termini dell’accordo “Paks 2” erano stati decisi lo scorso gennaio 2014 e consistevano nella realizzazione di due reattori aggiuntivi da 1.200 megawatt ciascuno. Il Cremlino, in tale occasione, si era offerto di coprire l’80% dei costi di realizzazione, concedendo un prestito di 10 miliardi di euro per una durata di 20-30 anni. Al momento della definizione dell’accordo la dipendenza energetica ungherese da Mosca era del 40%, mentre le importazioni di petrolio e gas toccavano rispettivamente quota 60% e 80%. Stando alle clausole del contratto firmato tra Mosca e Budapest, non solo i lavori di costruzione e di manutenzione verranno assegnati al gruppo russo Rosatom, ma il combustile nucleare per i nuovi reattori dovrà essere necessariamente acquistato dalla Russia. Si verrebbe a realizzare così una più stretta dipendenza energetica dell’Ungheria dalla Russia. La Commissione Europea ha redatto e notificato in seguito alla Comunità Europea dell’Energia Atomica un report, nel quale si evince la mancata conformità del progetto alla Legge Europea e in particolare al Terzo Pacchetto Energetico. Per evitare possibili sanzioni o veti da parte della Commissione Europea, contraria ai nuovi accordi energetici fra i due Paesi, il Primo Ministro ungherese ha deciso di coprire con segreto di Stato trentennale la cooperazione nucleare russo-ungherese. Il 3 marzo 2015, infatti, il Premier ha messo ai voti il progetto di legge, ottenendo sia la maggioranza in Parlamento che il benestare del Presidente magiaro Jànos Ader, convinto dell’assoluta necessità di tenere segreti i dati relativi alla costruzione e al funzionamento della centrale di Paks.

Il gesto ha suscitato numerose critiche, prime fra tutte quelle del Commissario Ue per l’Unione energetica Maros Sefcovic, che ha denunciato la violazione delle regole della concorrenza e del mercato comune europeo; l’opposizione di centro-sinistra ha accusato il Governo di aver messo il Paese di fronte al fatto compiuto senza aver dato luogo a un dibattito pubblico preventivo. Viktor Orbán , in occasione del vertice di febbraio, ha esposto le ragioni per cui a parer suo la cooperazione con Mosca è così importante. Orbán  vuole legami più forti con Putin sia per garantire l’apertura del mercato russo alle merci ungheresi sia per assicurarsi in modo affidabile l’approvvigionamento energetico russo, che al momento rivela una dipendenza dalla Russia del 70%. A tal proposito il nuovo contratto a lungo termine per le forniture di gas russo all’Ungheria, presenta condizioni più vantaggiose di quelle finora offerte, che permetterebbero al Paese di pagare solo per il gas effettivamente consumato, favorendo in tal modo una riduzione dei costi. Egli ha poi aggiunto come la cooperazione con Mosca servirebbe anche gli interessi dell’Europa, che a suo dire ha bisogno della cooperazione russa sia per rendere più competitiva la propria economia che per garantirsi la sicurezza energetica, impensabile senza le forniture dalla Russia. Viktor Orbán , si oppone alle sanzioni internazionali nei confronti della Russia ritenendo il tentativo di isolarla, economicamente controproducente. Putin e Orbán , dimostrano di condividere molte convinzioni come ad esempio la diffidenza verso certe regole delle democrazie liberali, l’importanza del concetto d’identità nazionale e di sovranità e una certa tendenza all’autoritarismo. Il Primo Ministro ha dichiarato il tramonto del modello democratico occidentale, sottolineando che i regimi forti come quelli di Russia, Cina e Turchia sono il futuro. Il Premier ha in diverse occasioni, indicato la Russia e la Cina come esempi di “democrazia illiberale” che mira a costruire in Ungheria. A parer suo i concetti di democrazia e liberalismo non si accompagnano necessariamente.

La critica più forte alle idee del leader di Fidesz è arrivata dalla Germania, il primo investitore estero in Ungheria. In occasione di un incontro di lavoro a Budapest, la Cancelliera Angela Merkel ha criticato aspramente la visione di Orbán , rivendicando al contrario come imprescindibile il connubio democrazia-liberalismo e criticando il suo entusiasmo per la Russia e la Cina come modelli di società da imitare.

L’incontro del 17 febbraio 2015 ha rappresentato un’ottima occasione per inviare un chiaro messaggio a Bruxelles: Mosca ha voluto dimostrare di avere ancora alleati su cui poter contare in Europa, mentre Budapest ha mostrato di poter trovare partner strategici ed economici fuori dai canali europei. L’Ungheria si aggiunge ad altri Paesi come Grecia, Serbia, Slovacchia e Repubblica Ceca che vantano un rapporto privilegiato con la Russia e a cui non hanno la minima intenzione di rinunciare. Il Primo Ministro ungherese prosegue nella sua politica di apertura verso la Russia e le principali potenze emergenti dell’Asia, Cina e Turchia e torna spesso a ribadire la necessità che le istituzioni comunitarie ripensino la propria politica anti-russa. Egli sembra anche resistere alle accuse della stampa occidentale di aver instaurato un regime autocratico e personalistico, dalle tendenze illiberali e si difende giustificando le sue scelte, giuste o sbagliate, in nome del raggiungimento di una più forte governabilità. La sicurezza del Premier, deriva certamente dal supporto elettorale di cui gode il partito Fidesz e di un sistema mediatico tendenzialmente filo- governativo. Al momento, infatti, Fidesz vince grazie alle manovre sui distretti elettorali e grazie all’assenza di avversari credibili. L’opposizione è debole e divisa, fatta eccezione per il movimento neofascista Jobbik, che ha il 14% dei voti. In questo momento Orbán sembra non avere grandi preoccupazioni, anche perché le prossime elezioni parlamentari si svolgeranno nel 2018. Tuttavia il 22 febbraio Fidesz ha perso un’elezione suppletiva che l’ha privato della maggioranza di due terzi in parlamento. Nonostante i sogni di un’autonomia nazionale Budapest, continua a dipendere dal legame economico con Bruxelles, che a dispetto dei frutti piuttosto modesti derivanti dagli investimenti nei mercati cinesi e russi offre i numeri necessari, in termini di miliardi di euro, per rilanciare la crescita economica dell’Ungheria.

Articoli simili