Geopolitical Weekly n.107

Geopolitical Weekly n.107

Di Andrea Ranelletti e Giulia Tarozzi
11.04.2013

Corea del Nord

Il 10 aprile la Corea del Sud ha innalzato il livello di allerta definito come “minaccia vitale” a seguito della possibilità che il Nord si stia preparando ad un nuovo test missilistico. Tale eventualità sarebbe confermata dalle azioni di Pyongyang che, nei giorni scorsi, ha spostato e rifornito sulla costa est due missili Musudan (IRBM, con gittata superiore ai 3.000 km) asserendo che il loro test di lancio potrebbe avvenire in qualunque momento. Il Musudan è la copia nordcoreana dei missili sovietici SS-N-6 SERB(SLBM) che venivano lanciati dai sottomarini e dunque, a differenza degli altri missili nordcoreani, deriva direttamente da un trasferimento di tecnologia avanzata e testata dai russi e, quindi, potenzialmente più performante.
L’aumento delle misure di sicurezza a Seoul segue il dispiegamento dei Patriot (SAM, versione PAC 3) in alcuni punti strategici del Giappone, tra cui la sede del Ministero della Difesa a Tokyo e l’isola di Okinawa. Inoltre, il 5 aprile il governo Abe aveva inviato alcune navi equipaggiate con il sistema di difesa missilistica Aegis (Aegis Ballistic Missile Defense System) per controllare il Mar del Giappone ed intercettare qualunque missile lanciato dalla Corea del Nord in direzione di Tokyo o delle sue isole. Il Giappone ha dichiarato di non essere preoccupato di un attacco diretto verso il proprio territorio. L’incremento delle sue capacità difensive corrisponderebbe piuttosto al voler chiarire di essere pronto ad abbattere qualunque missile che attraversi i propri cieli, come già avvenne durante il test del Taepodong-1 (IRBM, con gittata di circa 2.200 km) nel 1998.
Le tensioni con la Corea del Nord avvalorano ulteriormente le misure di riarmo avviate nei mesi scorsi dal Primo Ministro Shinizo Abe, che da tempo sostiene la necessità di rinforzare la difesa del Giappone vista l’area turbolenta nella quale si trova il Paese.
In un quadro di costante aumento della tensione, Pyongyang ha ribadito che dopo il 10 aprile non potrà più garantire la sicurezza del personale delle ambasciate presenti in Corea del Nord, e che i relativi Paesi dovrebbero procedere all’evacuazione del loro personale diplomatico. In oltre il governo di Kim Jong-Un ha invitato i cittadini stranieri a lasciare la Corea del Sud. Per non alimentare l’escalation nessuno Stato ha ancora richiamato il proprio ambasciatore, ma la crisi in Corea è stata posta come prioritaria nell’agenda degli incontri del G8 che si sta tenendo a Londra.

Egitto

E’ tornata ad esplodere la violenza settaria in Egitto. La scorsa settimana ci sono stati scontri tra copti e musulmani al Cairo, dopo che ignoti hanno vandalizzato i muri di un istituto islamico nel sobborgo di el-Khosous. Durante i disordini, sono state incendiate case appartenenti a copti e sono stati sparati colpi di arma da fuoco: il bilancio delle vittime è stato di 5 persone (4 copti e un musulmano). Domenica 7 aprile, durante i funerali dei 4 copti assassinati, nuovi disordini hanno avuto luogo nel centro del Cairo. Fuori dalla Cattedrale di San Marco, nel quartiere di Abbassiya, i copti presenti al rito funebre si sono scontrati con le forze di polizia schierate in assetto anti-sommossa. Al lancio di pietre dei manifestanti la polizia ha risposto con lacrimogeni e cariche, durante le quali 2 persone hanno perso la vita e 89 sono rimaste ferite. Gli episodi hanno fatto esplodere il malcontento della minoranza copta – all’incirca il 10% dell’intera popolazione egiziana – che lamenta la scarsa tutela da parte delle forze di sicurezza e del nuovo Governo.
Intanto negli scorsi giorni è giunta l’offerta del Qatar per contribuire al risollevamento della stagnante economia egiziana: l’Emiro Hamad Bin Khalifa al-Thani è giunto in visita in Egitto e il 9 aprile, durante un incontro con il Premier Hisham Qandil, ha promesso l’investimento in Egitto di 18 miliardi di dollari entro il 2018; al-Thani ha ribadito che 3 miliardi di dollari sul totale saranno immediatamente spesi nell’acquisto di bond egiziani. L’aiuto qatariota garantirà sollievo alle casse egiziane, mentre proseguono le trattative per lo sblocco del prestito da 4,8 miliardi di dollari da parte del Fondo Monetario Internazionale, arenatosi per via del mancato accordo su un pacchetto di riforme richieste dal FMI.

Pakistan

Il 9 aprile la Corte di Giustizia del Pakistan ha rinviato il caso circa l’accusa di tradimento nei confronti dell’ex Presidente Pervez Musharraf al 15 aprile, data in cui deciderà se rinviarlo a giudizio. Nell’attesa gli è stato imposto di non lasciare il Paese.
Musharraf, che ha governato il Pakistan dal 1999 al 2008, dopo un colpo di Stato militare, nel novembre 2007 aveva sospeso la Costituzione ed imposto la legge marziale ed oggi è chiamato a rispondere di tali atti con l’accusa di tradimento. Inoltre, egli è accusato di non aver provveduto sufficientemente alla sicurezza dell’ex Primo Ministro Benazir Bhutto, assassinata nel 2007.
L’ex Presidente ha respinto ogni accusa e richiesto, tramite i propri avvocati, di ritardare ogni procedimento fino a dopo le elezioni, che si terranno l’11 maggio, in modo da permettergli di condurre la campagna elettorale. Difatti, egli è rientrato in Pakistan il 24 marzo, dopo un esilio auto imposto tra Londra e Dubai durato cinque anni, per candidarsi alle elezioni parlamentari, le prime a tenersi dopo che un governo democraticamente eletto ha completato un’intera legislatura.
A prescindere dalle accuse giudiziarie, il Generale non ha ritrovato in patria il sostegno sperato. Oltre alle minacce di morte ricevute dai talebani, com’era sospettabile non è stato accolto dal suo vecchio partito, il Pakistan Muslim League, e ne ha invece fondato uno nuovo: l’All Pakistan Muslim League. Inoltre, la sua candidatura è stata rigettata da tre distretti prima di essere accolta dal Chitral, remota località nel nord del Paese. Ciò dimostra come Musharraf non abbia più la forza politica di cui disponeva negli anni del suo governo e neppure una paragonabile base di consenso. Tutto questo mette in dubbio la possibilità che il suo partito riesca ad ottenere i voti necessari alla vittoria.

Siria

In un comunicato diramato martedì 9 aprile, il leader di al-Qaeda in Iraq Abu Bakr al-Baghdadi ha affermato che il Fronte al-Nusra è un ramo di AQI operativo in Siria. Secondo al-Baghdadi, gli uomini di al-Nusra continueranno ora a combattere assieme nel fronte denominato “Stato Islamico in Iraq e nel Levante”. Il giorno successivo il leader di al-Nusra Abu Mohammed al-Jawalani ha reso pubblico un proprio comunicato: dopo aver dichiarato la propria fedeltà ad al-Qaeda e all’Emiro al-Zawahiri, al-Jawalani ha affermato che al-Nusra manterrà la propria autonomia.
Le dichiarazioni di al-Baghdadi sono destinate a rendere ancora più complessa la situazione in Siria, dove da mesi la Comunità internazionale si trova costretta a misurare il proprio sostegno alle forze ribelli anche per via delle contiguità con l’estremismo islamico. Qualora dovesse cadere il regime di Assad e gli islamisti si trovassero a prendere il controllo della nuova Siria, l’impronta qaedista di al-Nusra e potrebbe ampliare l’emergenza jihadista in Siria, causando una ragione d’instabilità per l’intera area.
Proseguono intanto i combattimenti nel Paese. Il controllo delle forze del regime sulle città della Siria orientale si sta progressivamente indebolendo: l’Esercito siriano sta concentrando il proprio sforzo nella difesa delle maggiori città nell’Ovest della Siria (Hama, Homs, Dera’a, Damasco e Aleppo), dei depositi di armi e delle basi aeree. Forme di autogoverno da parte dei ribelli sono iniziate ad al-Raqqa, uno dei principali centri nel Nord-est del Paese, non lontano dalle semi-autonomie locali curde nel governatorato di Hasabah.

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