Geopolitical Weekly n.104

Geopolitical Weekly n.104

Di Andrea Ranelletti e Giulia Tarozzi
21.03.2013

Cina

La Cina ha reso pubblici i nomi dei nuovi Ministri della Difesa e degli Esteri e del nuovo Consigliere di Stato con responsabilità di Politica Estera. Nonostante l’effettivo potere decisionale resti appannaggio del Politburo, un’analisi delle nomine può chiarire quali saranno le priorità del nuovo Governo di Xi Jinping e Li Keqiang.

Il nuovo Consigliere di Stato con responsabilità di Politica Estera (un ruolo d’importanza superiore a quella del Ministro degli Esteri) sarà Yang Jiechi. Ambasciatore cinese a Washington dal 2001 al 2005 e Ministro degli Esteri dal 2007, Yang è uno dei maggiori americanisti cinesi e parla un ottimo inglese: la sua nomina potrebbe indicare l’interesse di Xi Jinping a rafforzare i legami con Washington, in un periodo in cui la politica statunitense nei confronti della Cina ed il “pivot asiatico” di Obama hanno significativamente raffreddato i rapporti.
Il nuovo Ministro degli Esteri sarà invece Wang Yi, già ambasciatore in Giappone dal 2004 al 2007 e rappresentante della Cina ai Six Party Talks del 2007 e 2008 tra le due Coree, Stati Uniti, Giappone, Cina e Russia. Ottimo conoscitore della lingua giapponese, Wang dovrà farsi esponente pubblico del riavvicinamento tra Cina e Giappone dopo la crisi legata al possesso delle Isole Senkaku/Diaoyu. La sua competenza nella questione nordcoreana può inoltre rivelare la preoccupazione cinese di fronte alle intemperanze di Pyongyang.
Il nuovo Ministro della Difesa sarà invece Chang Wanquan, generale che si è occupato della supervisione del programma spaziale cinese e grande fautore della modernizzazione delle Forze Armate. Il continuo aumento del budget per la Difesa rivela come rimanga costante anche per la quinta generazione di leader cinesi l’interesse per lo sviluppo delle Forze Armate, di cui Chang sarà il volto pubblico.

Pakistan

Il 16 marzo il Primo Ministro pakistano, Raja Pervez Ashraf ha annunciato che per la prima volta nella storia democratica del Paese, il governo in carica ha finito un’intera legislatura. Questo segna una svolta per il Pakistan dove, sin dalla sua nascita nel 1947, tutti i governi sono stati rovesciati da colpi di Stato militari, lotte politiche interne o assassinii.
Il Parlamento è stato dissolto alla mezzanotte dello stesso giorno e, a breve, verrà istituito un governo ad interim che guiderà Islamabad verso le prossime elezioni a maggio. La speranza di Ashraf è che la nuova tornata elettorale si tenga all’insegna della correttezza, in modo da suggellare il completo affermarsi della democrazia nel Pakistan.
Il governo ha il merito di aver rafforzato il quadro normativo e procedurale per consolidare le basi democratiche su cui poggerà la vita futura dello Stato. Va però rilevato che poco è stato fatto per migliorare la situazione economica e la sicurezza del Paese, per trovare una soluzione alla spaventosa crisi energetica e per ridurre la dilagante corruzione. Ashraf stesso sta infatti affrontando un’indagine per corruzione, con l’accusa di aver preso tangenti quando ancora era Ministro delle Risorse Idriche ed Energetiche. L’elezione regolare di un nuovo governo sarebbe una vittoria politica significativa per le forze democratiche. Pertanto, la prossima chiamata al voto sarà il vero banco di prova per il futuro d’Islamabad e dei suoi cittadini, soprattutto alla luce del malcontento che serpeggia tra la popolazione, che lamenta la mancanza di benefici tangibili della democrazia.

Siria

Un consiglio di 50 membri dell’opposizione siriana ha eletto con 35 voti Ghassan Hitto come Primo Ministro della Coalizione Nazionale Siriana. Il suo compito sarà quello di formare un Governo che guidi i territori controllati dai ribelli, ponendo fine al vuoto di potere. Non sono mancate però le polemiche: diversi leader dell’opposizione, tra cui Walid al-Bunni e Kamal al-Labwani, hanno disertato la votazione, ritenendo la scelta di Hitto guidata da forze occidentali. Moaz al-Khatib, leader della Coalizione Nazionale, ha lodato la trasparenza del voto, ponendo fine alle polemiche riguardanti la sua contrarietà all’istituzione di un governo provvisorio delle Forze d’opposizione.

Ghassan Hitto è un manager nel settore delle tecnologie dell’informazione che ha vissuto negli Stati Uniti negli ultimi trent’anni, attivo dallo scorso novembre in Turchia per aiutare il coordinamento dell’opposizione nelle aree controllate dai ribelli. Nonostante il comandante del Free Syrian Army, il generale Selim Idriss, abbia già assicurato di esser pronto a combattere per il nuovo governo, è forte la diffidenza nella variegata opposizione nei confronti di quello che viene visto come un estraneo.
Il 18 marzo il Segretario di Stato americano John Kerry ha commentato le dichiarazioni di Francia e Gran Bretagna riguardo l’intenzione di fornire armi ai gruppi ribelli, dichiarando che gli Stati Uniti non parteciperanno alla fornitura, ma neppure si opporranno alla decisione dei due Paesi. La cautela statunitense non basta a dissimulare il crescente impegno delle forze occidentali nel portare a conclusione un conflitto che ha causato finora oltre 70mila vittime.

Yemen

Il 18 marzo a Sanaa sono iniziati i lavori della prima seduta della Conferenza di Dialogo Nazionale yemenita. La conferenza è stata promossa dal Presidente Abde Rabbo Mansur Hadi per trovare un accordo tra le diverse fazioni del Paese e concludere il processo di transizione, che porterà ad una nuova Costituzione e poi alle elezioni nel febbraio 2014.

Alla seduta di apertura erano presenti 565 delegati in rappresentanza della maggior parte delle anime del Paese: dal movimento sciita degli Houthi del nord, ad alcuni membri di Hirak, i secessionisti del sud. Alla conferenza prendono parte anche i delegati delle Nazioni Unite e dei Paesi arabi, essendo l’iniziativa nata in seno al Consiglio di Cooperazione dei Paesi del Golfo.
Hirak è altamente frammentato al proprio interno e le sue varie fazioni di non hanno un’agenda condivisa. Questo è stato sottolineato dal fatto che la corrente guidata dall’ex Presidente dello Yemen del Sud, Ali Salem al-Baid, che condusse la ribellione dei secessionisti nel 1994, non prenderà parte all’iniziativa. Al-Baid rifiuta qualunque negoziato che non abbia sul piatto l’indipendenza della parte meridionale del Paese. Anche l’ex Presidente Saleh, nonostante sia ancora il leader del General People’s Congress Party, non sarà presente ai lavori della conferenza.
Le critiche al Dialogo Nazionale, cominciate ben prima dell’inizio della conferenza stessa, sono sfociate lunedì in manifestazioni a Sanaa e nel sud. Molti appartenenti ai movimenti secessionisti hanno dimostrato ad Aden, ex capitale del sud, ribadendo che il loro interesse primario è la secessione. Anche i comitati giovanili di diverse organizzazioni yemenite, che partecipano al dialogo, hanno criticato l’iniziativa biasimando la scelta di Hadi d’includere nella conferenza anche ex membri del governo Saleh e personalità a lui tutt’ora vicine. Per questo, durante la cerimonia d’apertura, hanno organizzato una manifestazione nella capitale per chiedere giustizia contro i crimini commessi dal precedente governo.
Nonostante tutto, la Conferenza di Dialogo Nazionale rimane un momento di riflessione importante per la stabilizzazione del Paese e la sua buona riuscita si potrà raggiungere solo attraverso una maggiore attenzione alle rivendicazioni delle varie minoranze.

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