Geopolitical Weekly n.100

Geopolitical Weekly n.100

Di Andrea Ranelletti e Giulia Tarozzi
20.02.2013

Armenia

Il 18 febbraio si sono svolte in Armenia le elezioni presidenziali e, come prevedibile, con quasi il 60% dei voti, sono state vinte dal Presidente uscente Serzh Sarkisian. Il clima apatico nel quale la campagna elettorale si è svolta è dovuto al risultato elettorale scontato, derivato dal ritiro dei principali candidati dell’opposizione dalla corsa per la presidenza come segno di protesta contro un sistema a loro avviso non democratico e falsato dai brogli. Il sospetto d’irregolarità ha caratterizzato le elezioni armene sin dall’indipendenza dall’Unione Sovietica e ha portato a diversi scontri tra governo e oppositori, come nel 2008 quando dopo la prima vittoria di Sarkisian la repressione delle proteste portò alla morte di 10 persone. Nel 2013, nonostante il tentato omicidio del 31 gennaio del candidato Paruyr Hayrikyan, non si sono registrati episodi violenti e, benché sia mancata un’autentica concorrenza, esse hanno rappresentato un passo in avanti rispetto alle passate consultazioni. Come riportato dagli osservatori dell’Osce non sono stati riportati significativi brogli elettorali ed è quindi confermato il progresso democratico del Paese. Per Yerevan questo passo in avanti è fondamentale per un consolidamento delle relazioni con l’Unione Europea, principale partner commerciale armeno, che aveva chiaramente fatto capire negli anni passati che l’assenza di progresso democratico ed elettorale avrebbe significato anche un regresso nelle relazioni bilaterali. Tuttavia, anche se lo scoglio delle elezioni sembra essere stato superato, rimane da vedere se Sarkisian manterrà la promessa di un’evoluzione verso una maggiore liberalizzazione politica.

Ecuador

Con il 58% dei voti, il socialdemocratico Rafael Correa ha vinto per la terza volta le elezioni presidenziali ecuadoregne. Schiacciata la concorrenza di Guillermo Lasso Mendoza, banchiere ed ex ministro dell’Economia, arrivato solo al 24%. Economista formatosi in Belgio e negli Stati Uniti, Correa sta portando avanti una politica economica pragmatica, incentrata sulla necessità di aumentare il controllo statale sulle risorse naturali di cui il Paese dispone (in primis il petrolio).
Nei suoi precedenti mandati Rafael Correa è riuscito a garantire un buon livello di stabilità politica ed economica a uno dei Paesi storicamente più turbolenti del continente. I proventi dovuti allo sfruttamento degli ampi giacimenti petroliferi sono stati utilizzati per potenziare il sistema di welfare e garantire un miglior tenore di vita alle fasce più povere della popolazione, utile a garantire l’aumento dei consensi.
L’alta spesa pubblica e l’imprevedibilità del Presidente hanno generato la forte diffidenza degli investitori internazionali verso l’Ecuador: nel 2008 Correa ha dichiarato il default dello Stato rifiutando di saldare il debito con i detentori internazionali di bond, definiti “veri mostri”. D’altra parte l’alto consenso popolare e la presenza nell’area degli alleati del fronte socialista – Bolivia e Venezuela – fanno sì che Correa possa vantare un certo peso nella regione e forte spazio di manovra in politica interna.

Nigeria

Nella notte tra sabato e domenica 17 febbraio a Jama’are, nello Stato di Bauchi, nel nord della Nigeria, sono stati rapiti sette dipendenti della compagnia libanese Setraco, tra cui l’italiano Silvano Trevisan. Il rapimento è stato rivendicato dal gruppo fondamentalista islamico Ansaru Jama’atu Ansarul Muslimina fi Biladis Sudan (Avanguardia per la Protezione dei Musulmani nell’Africa Nera). Questa organizzazione, nata nel giugno 2012, potrebbe essere una fazione dissidente alla setta salafita Boko Haram. Visto che il rapimento è stato conseguente al fallito tentativo di liberare dei miliziani dal carcere di Jama’are, è possibile aspettarsi che Ansaru utilizzi gli ostaggi occidentali come merce di scambio.
Non è il primo caso di rapimento di un cittadino italiano nel nord della Nigeria. Infatti, due anni fa l’ingegnere Franco Lamolinara fu sequestrato da ignoti rapitori e successivamente rimase ucciso durante un fallito tentativo di liberazione da parte delle forze speciali nigeriane ed inglesi.
Negli ultimi mesi si è registrato un significativo incremento delle attività di Ansaru. A dicembre 2012 il gruppo ha rivendicato il rapimento di un ingegnere francese ed, in oltre, esiste la possibilità che militanti di Ansaru abbiano compiuto il sequestro di sette francesi nel nord del Camerun il 19 gennaio di quest’anno.
A differenza delle azioni portate avanti da Boko Haram, sempre rivolte contro i cittadini e le istituzioni nigeriane ed aventi l’obiettivo dell’imposizione della Sharia nel Paese, Ansaru ha minacciato direttamente gli interessi occidentali. l rapimenti, dunque, sarebbero una rappresaglia nei confronti dell’operazione militare francese in Mali contro l’alleanza delle forze di AQMI (Al- Qaeda nel Maghreb Islamico), del MUJAO (Movimento per l’Unità ed il Jihad nell’Africa Occidentale) ed Ansar al Din. Questo tipo di retorica jihadista dimostra come i legami con AQMI si siano intensificati, permettendo ad Ansaru di portare avanti azioni sempre più complesse e aumentandone la capacità di destabilizzazione della Nigeria.

Tunisia

Come previsto, la mattina del 20 febbraio il Primo Ministro tunisino Hamadi Jebali ha annunciato le proprie dimissioni. La decisione arriva al termine di un lungo periodo di incertezza, in cui Jebali ha cercato a più riprese di raggiungere un accordo per lo scioglimento dell’attuale esecutivo e l’instaurazione di un governo misto di tecnici e politici. Nonostante il discredito del governo colpito dagli scandali e dalle polemiche riguardanti la sicurezza interna, le resistenze nel partito Ennahda, prima forza politica del Paese – di cui Jebali fa parte – hanno isolato sempre più il Primo ministro.
L’uccisione di Chokri Belaid, leader dell’opposizione, a inizio febbraio ha causato la deflagrazione di una crisi politica che si protraeva da tempo. La minaccia dell’estremismo islamico e l’assenza di progressi dell’Assemblea Costituente nella redazione della nuova Costituzione hanno finito per fermare la crescita in senso democratico della Tunisia, imponendo la necessità di un cambiamento. Il malcontento della piazza va di pari passo in oltre con l’aggravamento della situazione economica del Paese che continua a indebolirsi e a generare disuguaglianza.
Il nuovo Governo dovrà ora prendersi carico dei gravi problemi presenti a partire dall’arretratezza della parte centro-meridionale del Paese, dilaniata da criminalità, dagli scioperi e dalla disoccupazione. Qualora alle dimissioni di Jebali non seguisse una svolta pragmatica da parte di Ennahda, la Tunisia rischierebbe di precipitare nell’ingovernabilità.

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