Il significato politico della nuova Costituzione egiziana
Medio Oriente e Nord Africa

Il significato politico della nuova Costituzione egiziana

Di Stefano Sarsale
02.02.2014

I risultati del referendum costituzionale egiziano hanno sancito la schiacciante vittoria dei favorevoli alla nuova Costituzione, arrivati al 98,1% dei voti. Sulla vittoria dei “si” grava, tuttavia, il significativo dato dell’affluenza, che si è fermata al 38%. Il dato sull’affluenza appare determinante per comprendere come il successo dei favorevoli al nuovo testo costituzionale non può essere considerato pienamente rappresentativo della volontà della maggioranza della popolazione. Esso mette in evidenza che, nonostante 20 milioni di persone siano andate a votare, quelle che non lo hanno fatto sono circa 33 milioni, su un totale di circa 53 milioni di aventi diritto. Dal momento che questa è stata la prima volta in cui il popolo egiziano è stato chiamato alle urne dopo il colpo di Stato del luglio 2013 queste cifre sono una chiara prova che la vittoria del governo è stata solo parziale: il referendum costituzionale rappresentava, infatti, una prima prova generale per il governo militare del Generale Al-Sisi. La nuova costituzione approvata prevede la concessione di ampi poteri ai vertici militari, come la possibilità di scegliere il Ministro della Difesa e di giudicare i civili nei tribunali militari. Dal nuovo testo sono stati eliminati i riferimenti vincolanti alla sharia e ai principi religiosi, introdotti nel 2012 dalla Fratellanza Musulmana. Sono inoltre previste maggiori libertà religiose ed è garantita la parità di diritti tra uomini e donne, affermando che è dovere dello Stato adottare le misure necessarie per garantire adeguata rappresentanza alle donne nel sistema istituzionale. L’articolo 4, forse la novità costituzionale più significativa, prevede che i deputati consultino gli esperti dell’Università al-Azhar per verificare che le norme proposte dal Parlamento siano rispettose della legge islamica, attribuendo così a un organismo non eletto il potere d’influenzare il processo legislativo. È senz’altro interessante fare una comparazione degli articoli inerenti la famiglia e la condizione femminile presenti nella Costituzione precedente (di cui gli Artt. 9, 10,11,12) con quelli della Carta fondamentale proposta dalla nuova Assemblea costituente (Artt. 10,11). La Costituzione del 1971 distingue tra il ruolo dello Stato e quello della società nella promozione della morale pubblica: il primo è così responsabile del preservare il carattere originale della famiglia egiziana, insieme alle tradizioni e ai valori che essa include (9) e di garantire l’uguaglianza tra i sessi per quanto concerne la politica, la società, la cultura e l’economia, nel rispetto della giurisprudenza islamica (11). La società ha, invece, il dovere di salvaguardare e proteggere la morale (12), cooperando con lo Stato per ottenere questo risultato. Nella nuova Costituzione scompare qualsiasi richiamo al ruolo della società nella promozione della morale pubblica. I Costituenti attribuiscono, infatti, allo Stato il compito di promuovere un alto livello di educazione e i valori del patriottismo e della religione (11) e di proteggere i valori morali (10) all’interno della famiglia, al fine di preservare l’etica, la morale e l’ordine pubblico (11) della società egiziana. Pur affermando i diritti fondamentali, la Costituzione lascia tuttavia ai legislatori il compito di regolare l’applicazione concreta degli articoli che li garantiscono. I precetti costituzionali del testo promosso dai militari ridimensionano, dunque, il ruolo e le prerogative ufficiali della religione, escludendoli dalla sfera pubblica. Inoltre, nel nuovo testo sono presenti riferimenti ai poteri speciali delle autorità, soprattutto in “in casi eccezionali”, per giustificare la sospensione dei diritti anche attraverso pratiche repressive. Basti pensare all’art. 73, che garantisce la libertà di manifestare subordinandola però all’approvazione delle autorità: questo non sarebbe di per sé un problema visto che, ad esempio, le manifestazioni devono essere preventivamente autorizzate per ragioni di ordine pubblico anche in Italia. Il punto è che in Egitto questa norma può essere sfruttata dall’Esercito per bloccare sul nascere qualsiasi manifestazione in opposizione al nuovo potere centrale. Ultimo aspetto del nuovo testo costituzionale riguarda il divieto di istituire partiti di ispirazione religiosa, chiudendo nuovamente le porte ad una possibile riorganizzazione istituzionale dell’islam politico. Questa norma è pensata per impedire la formazione di partiti legati ai Fratelli Musulmani, ad al-Nur e ad altre formazioni salafite. Si viene nuovamente a creare la situazione degli anni precedenti alla cosiddetta “Primavera Araba”, quando, i rappresentanti della Fratellanza e degli altri partiti islamici potevano partecipare alle elezioni solo come indipendenti.

Le operazioni di voto si sono aperte in un clima di tensione crescente e non possono essere trascurati gli scontri avvenuti tra la polizia e i sostenitori dei Fratelli Musulmani avvenuti in tutto il Paese nei giorni del referendum che si sono conclusi con 400 arresti tra i manifestanti. L’ex Presidente Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani agli arresti da quando è stato deposto, ha espresso il suo totale disappunto riguardo alla tornata referendaria, dal omento che è chiamata a legittimare i militari che lo hanno deposto. Gli islamisti che ancora lo appoggiano non possono gioire al risultato del referendum vedendo confermato definitivamente il divieto di formazione di partiti su base religiosa e che li esclude, almeno ufficialmente, dalla vita politica del Paese e che, in definitiva, legittima il colpo di Stato. Andando ad analizzare geograficamente i dati relativi ai risultati del referendum, si nota una differenza sostanziale tra città e periferie. Quest’aspetto evidenzia la spaccatura interna della popolazione egiziana, appunto visibile sul territorio a livello di seggi: se nel nord del Paese l’alta affluenza ha, infatti, significato l’appoggio alla politica messa in atto da Al-Sisi, in molti seggi dell’Alto Egitto (il sud), l’affluenza è stata inferiore a quella del referendum del 2012. Il motivo di questa differenza territoriale è che nelle periferie è concentrato maggiormente l’elettorato che appoggia i Fratelli Musulmani, dal momento che la presenza di istituzioni ed Esercito è nettamente inferiore rispetto al nord del Paese, dove sono invece concentrati i maggiori centri urbani egiziani e i poteri centrali del Paese hanno una presa maggiore sulla popolazione. Ecco quindi che la presenza territoriale, con i militari e le istituzioni da un lato e gli islamisti dall’altro, ha influenzato il risultato elettorale Ultimo aspetto da considerare di questa tornata referendaria, concerne il segmento della popolazione che si è recato alle urne. Emerge, infatti, che coloro che sono andati a votare appartengono perlopiù alla fascia di età compresa tra i 30 e i 50 anni, ma soprattutto che i giovani compresi tra i 18 e i 30 anni andati a votare non sono andati oltre il 16% degli aventi diritto. Questo è un dato importante specialmente considerato il fatto che la maggioranza della popolazione avente diritto di voto è composta proprio dai giovani compresi nella fascia d’età in questione.

Il dato allarmante che emerge è il costante e progressivo allontanamento dalla vita politica della fascia più ampia della popolazione, che si traduce in una mancanza di fiducia nelle istituzioni. Significa anche che ormai quell’84% dei giovani non crede più nella possibilità di cambiare lo scenario politico del paese attraverso il voto e di conseguenza che il colpo di Stato ha influenzato il meccanismo e l’incentivo al voto. Alle radici dell’atteggiamento assunto dai giovani nei confronti dell’attuale governo, troviamo la legge del 24 novembre. Con questa legge il governo dell’allora Presidente ad interim Mansour, ha vietato ogni forma di protesta che non fosse stata autorizzata dalle Forze dell’ordine. Nel solo mese di novembre si contarono 511 proteste studentesche di cui 70 sono sfociate in scontri diretti tra i giovani e le forze dell’ordine. Sullo sfondo emerge poi un clima esasperato, causato dagli ultimi attacchi al cuore della capitale egiziana. Le violenze sono iniziate il 14 gennaio con l’ordigno esploso al Cairo poco prima dell’apertura delle urne per il referendum costituzionale. Ad esso hanno fatto seguito le 4 bombe del 24 gennaio che hanno ucciso 6 persone. Il gruppo terrorista islamico Ansar Bayt al Maqdis che ha rivendicato gli attacchi, ha sempre espresso l’intenzione di voler colpire solo l’esercito egiziano, reo di aver destituito Morsi in maniera illegittima. Lo scenario che si prospetta al Generale Al-Sisi, in particolare dalla fine del mese di gennaio quando è stata diffusa la notizia dell’approvazione della sua candidatura alle prossime elezioni presidenziali dall’Esercito, è quindi incerto: da una parte è sicuro dell’appoggio di tutte quelle persone che sono andare a votare a favore del nuovo testo Costituzionale e che sicuramente favoriranno la sua candidatura, dall’altra però dovrà tenere di conto l’atteggiamento che assumerà il restante 62% degli elettori, coi giovani in testa, che non si sono recati alle urne e che hanno scelto di non appoggiarlo. È plausibile l’ipotesi che vede alle prossime elezioni parlamentari egiziane un’alleanza formata da militari, laici e liberali al fine di creare un partito avente una base elettorale più ampia e quindi concretamente capace di vincere le elezioni, con l’obiettivo di raggiungere un consenso maggiore di quello ottenuto dalla Costituzione al referendum appena concluso. Permane tuttavia il grande fattore di incertezza per il futuro della politica egiziana rappresentato dagli islamisti: nonostante non sia ad essi consentito di riorganizzarsi in un partito vero è proprio, essi rimangono largamente presenti sul territorio, specialmente nelle aree lontane dai centri urbani ed è quindi probabile che essi costituiscano un fronte non istituzionale che opera in opposizione al governo centrale di Al-Sisi. Se la situazione non dovesse cambiare, la spaccatura del Paese potrebbe accentuarsi ulteriormente. Non possiamo inoltre dimenticare i grandi problemi economici che il Paese sta affrontando: per superarli sarebbe necessaria una stabilità politica, di cui oggi il Cairo non dispone, in grado di favorire la definizione di una coerente politica economica.

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