Il ruolo della Tanzania negli equilibri regionali dell'Africa Orientale
Africa

Il ruolo della Tanzania negli equilibri regionali dell'Africa Orientale

Di Stefania Azzolina
19.01.2014

Nell’ultimo semestre la Tanzania, Paese generalmente lontano dai riflettori della cronaca internazionale, ha dato prova, attraverso la sua azione politica, diplomatica e militare, dell’importante ruolo che ricopre nel quadro della stabilizzazione del contesto regionale dell’Africa Orientale.

Il recente potenziamento dell’impegno militare tanzaniano nella lotta alle milizie dell’M23 nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) nell’ambito della missione delle Nazioni Unite MONUSCO, nonché la ridefinizione delle alleanze e degli equilibri in seno alla EAC (East African Community) rappresentano i due principali ambiti nei quali la Tanzania sembra acquisire una posizione sempre più rilevante a livello regionale. Questo attivismo politico ha ottenuto vasta eco sul piano diplomatico, come dimostrano le recenti visite ufficiali in Tanzania del Presidente cinese Xi Jinping, nel marzo del 2013, e del Presidente americano Barack Obama nel giugno dello stesso anno.

La volontà tanzaniana di affacciarsi con maggiore consapevolezza sulla scena politica africana è stata resa possibile dalla stabilità politica interna raggiunta negli ultimi anni. Nella fase post-coloniale, la Tanzania non ha assistito a scontri di natura etnica o politica paragonabili a quelli che hanno caratterizzato lo scenario dei suoi vicini (Mozambico, Kenya, Uganda). Anche le fratture economiche e sociali tra centro e periferia e, soprattutto, tra il Tanganica (la parte continentale) e l’isola di Zanzibar non sono mai sfociate in un vero e proprio conflitto. Sebbene le tendenze indipendentiste di Zanzibar (oggi dotata di un Presidente e di un Parlamento propri) abbiano sempre caratterizzato la scena politica della Tanzania, esse non si sono mai manifestate in maniera violenta o destabilizzante nei confronti del governo centrale in maniera tale da mettere in pericolo l’integrità del Paese.

Il sistema partitico tanzaniano rispecchia la presenza di tensioni di natura autonomista e, al contempo, l’assenza di forti contrapposizioni etniche. Dal 1965 al 1992, la Tanzania ha avuto un sistema a partito unico dominato dalla TANU (Tanganyika African National Union), diventato CCM (Chama Cha Mapinduzi – Partito della rivoluzione) nel 1977, dopo l’unione con il Partito unico dell’arcipelago di Zanzibar. Nel corso degli anni il partito, guidato da Julius Nyerere, si è fatto promotore di un modello di sviluppo economico e sociale tale da svincolare il Paese dalla dipendenza dagli aiuti stranieri e in grado di contribuire allo sviluppo di un sentimento d’identità nazionale divenuto, col tempo, più forte dell’appartenenza etnica. È importante ricordare che la Tanzania è caratterizzata da una forte eterogeneità dal punto di vista etnico. Si possono individuare circa 120 diversi gruppi, tra i quali i Sukuma, gli Haya, i Nyakusa, i Nyamwezi e i Chaga. La maggior parte dei tanzaniani è di ceppo bantu, mentre di origine nilotica sono altri gruppi tra i quali i nomadi Masai e Luo, concentrati prevalentemente lungo il confine con il Kenya. L’assenza di rivalità etniche rilevanti e la tendenza dei cittadini tanzaniani a considerarsi prioritariamente tali rispetto all’appartenenza tribale rappresentano dunque, almeno in parte, il risultato di precise scelte governative. Stessa considerazione vale in relazione al tema del rapporto tra il potere politico e le istituzioni militari. L’esercito nazionale, il Tanzania People Defence Force (TPDF), è stato sempre considerato come un organo dello Stato posto sotto stretto controllo del potere politico e non ha mai manifestato pericolose velleità di autoritarismo militare.

Il progressivo rafforzamento delle istituzioni statali non è stato tuttavia seguito da uno sviluppo economico altrettanto regolare. Attualmente la metà della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. La principale attività economica è l’agricoltura, fondamentalmente di sussistenza, che occupa circa il 70% della forza lavoro e costituisce più della metà del Prodotto Interno Lordo (PIL). L’attività estrattiva del Paese è basata prevalentemente sui ricchi giacimenti di oro, di cui la Tanzania è il quarto esportatore africano dopo Sudafrica, Ghana e Mali. Così come negli altri Stati della regione, in Tanzania si riscontra una disparità nell’accesso allo sfruttamento delle risorse naturali a scapito della popolazione locale, la quale non beneficia degli introiti derivanti dalle attività estrattive, prevalentemente gestite da compagnie straniere, principalmente cinesi e statunitensi. Tali disparità rappresentano un ulteriore elemento di criticità che, in una situazione economica già deteriorata, è suscettibile di alimentare tensioni a livello sociale. Ciò si è reso particolarmente evidente nel dicembre del 2008, quando la popolazione locale ha invaso una miniera gestita dalla statunitense Barrick Gold Corporation nel Nord del Paese, protestando contro le pessime condizioni di lavoro e per una più equa gestione delle risorse naturali nazionali.

Con l’abbandono del sistema a partito unico nel 1992, in seguito ad una grave crisi economica, le istanze indipendentiste di Zanzibar hanno acquisito visibilità all’interno del nuovo sistema partitico nazionale con il CUF (Civic United Front), divenuto allora il principale partito di opposizione al CCM. Nonostante il passaggio ad un sistema multipartitico e sebbene il CUF sia riuscito a orientare il dibattito politico sul tema dell’autonomia di Zanzibar all’interno dell’assetto statale federato, il CCM ha continuato ad essere protagonista della scena politica vincendo tutte le consultazioni elettorali. Periodicamente, soprattutto in concomitanza delle elezioni, si sono verificati scontri tra i sostenitori dei due partiti politici, particolarmente cruenti nel 2000 e nel 2005, anche a causa del crescente attivismo di gruppi d’ispirazione islamica che costituiscono terreno fertile per la penetrazione di al-Qaeda all’interno del territorio nazionale. È importante ricordare, a tal proposito, l’attacco ad opera di al-Qaeda nell’agosto 1998 ai danni delle ambasciate statunitensi avvenuto contemporaneamente a Dar es Salaam e Nairobi che, com’è noto, portò l’Africa al centro delle priorità della politica estera statunitense nella sua lotta al terrorismo internazionale.

Sul piano della politica estera, la Tanzania si inserisce in un contesto regionale che presenta diverse tipologie di criticità e molteplici focolai d’instabilità. Le numerose guerre civili e la crescente attività delle organizzazioni criminali internazionali, unite alla diffusione del fondamentalismo islamico e dell’attività terroristica di al-Qaeda, disegnano un quadro altamente instabile, in grado di mettere a repentaglio la stessa stabilità della Tanzania.

In tale scenario, la Tanzania è divenuto un importante partner strategico per gli Stati Uniti, entrando a far parte dell’African Contingency Operation Training and Assistance (ACOTA), un programma sovvenzionato dal Dipartimento di Stato americano volto allo sviluppo di una maggiore integrazione in ambito militare tra gli Stati Uniti ed alcuni Paesi africani. Il terrorismo di matrice islamica rappresenta una minaccia reale e attuale per la Tanzania, come dimostrato dagli eventi del maggio scorso, quando un ordigno è stato fatto esplodere nei pressi di una chiesa cattolica di Arusha, causando la morte di due persone e circa dieci feriti.

Oltre al terrorismo, la diffusione del fenomeno della pirateria nel Golfo di Aden costituisce un ulteriore elemento destabilizzante contro il quale la Tanzania ha dovuto porre in essere delle misure di contrasto sia in ambito regionale che internazionale. Nel 2009 il governo tanzaniano ha firmato un Memorandum of Understanding (MoU) con Gibuti, Etiopia, Kenya, Madagascar, Maldive, Seychelles, Somalia e Yemen; un anno prima aveva iniziato la propria partecipazione alla forza di reazione rapida SADCBRIG (Southern African Development Community Brigade) sotto l’egida dell’Unione Africana. La Tanzania ha inoltre avviato negli ultimi anni un’intensa attività di collaborazione fornendo supporto logistico alle diverse missioni poste in essere dall’Unione Europea, con la quale condivide la lotta ai traffici illegali, ai fenomeni di pirateria e alla minaccia del terrorismo, nell’ambito delle missioni EUCAP NESTOR (Regional Maritime Capacity Building for the Horn of Africa and the Western Indian Ocean) ed EUNAVFOR (European Union Naval Force) Somalia.

L’obiettivo di tutelare la stabilità regionale, unito alla volontà di usufruire dei meccanismi di credito internazionale, si è tradotta in una massiccia partecipazione della Tanzania alle missioni delle Nazioni Unite, soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo con la missione MONUSCO e in Darfur nell’ambito dell’UNAMID (United Nations African Union Mission in Darfur). In modo particolare, le sue Forze Armate hanno svolto un ruolo fondamentale nella lotta alle milizie Tutsi dell’M23 (Movimento 23 Marzo), gruppo in lotta contro centrale congolese, con la cospicua partecipazione alla missione MONUSCO (con circa 1800 uomini) e con la conduzione delle operazioni della BIR (Brigata di Intervento Rapido). Quest’ultima rappresenta l’evoluzione della missione MONUSCO da una missione di peacekeeping a una di law enforcement, con un mandato più ampio e l’obiettivo di individuare e neutralizzare le milizie del M23 nei territori orientali della RDC. Indubbiamente, l’assegnazione del comando della BIR ha rafforzato a livello internazionale l’immagine della Tanzania come fattore di stabilizzazione dell’intera regione.

Questo nuovo corso della politica estera, sicuramente legato all’esperienza politica dell’attuale Presidente Jakaya Kikwete, ha portato la Tanzania ad assumere una posizione più intransigente all’interno della disputa sviluppatasi negli ultimi mesi in seno all’EAC (East African Community), organizzazione regionale nata nel 2010 con il coinvolgimento Kenya, Uganda, Ruanda, Tanzania e Burundi e l’obiettivo di intensificare la cooperazione tra gli Stati partner in ambito politico, economico e sociale. A partire dal maggio scorso si è progressivamente assistito all’aprirsi di una profonda spaccatura all’interno della Comunità. Sebbene tale contrapposizione sembri essere causata dalla presenza di diverse posizioni riguardo metodi e velocità d’integrazione, in realtà gioca un ruolo fondamentale il progressivo deterioramento dei rapporti diplomatici tra Tanzania, da un lato, e Ruanda e Uganda, dall’altro, riguardo la gestione della lotta ai gruppi ribelli presenti nella regione. La richiesta fatta ai governi ruandese e ugandese dal Presidente tanzaniano Kikwete di avviare colloqui con i rispettivi gruppi ribelli, FDLR (Democratic Forces for the Liberation of Ruanda) e ADF (Allied Democratic Forces), ha incontrato una ferma opposizione da parte sia di Kagame che di Museveni. Inoltre, il deterioramento dei rapporti tra Kigali e Dodoma si è avuto parallelamente all’intensificarsi dello sforzo militare tanzaniano nella lotta al movimento M23 in RDC, notoriamente supportato dal governo ruandese per garantire l’acquisizione illegale delle ricche risorse minerarie presenti nella regione del Nord Kivu (sebbene ufficialmente il Ruanda abbia sempre negato qualsiasi coinvolgimento in tal senso). L’inasprirsi di tali tensioni si è tradotto in seno alla EAC in un’accelerazione unilaterale del Kenya verso un’intensificazione del processo di integrazione con Uganda e Ruanda e una progressiva marginalizzazione di Tanzania e Burundi. La coalizione dei volenterosi (Kenya, Uganda, Ruanda) ha discusso negli ultimi mesi la realizzazione di programmi comuni volti al miglioramento dell’efficienza energetica e all’integrazione economico-commerciale, anche grazie alla costruzione di nuove infrastrutture e vie di comunicazione, paventando anche la possibilità di una futura unione politica.

Il governo della Tanzania, da sempre sostenitore di un approccio lento e moderato al processo di integrazione per permettere un corretto sviluppo dei meccanismi economici e finanziari necessari alla creazione di un mercato comune, ha denunciato più volte, nel corso degli ultimi mesi, l’atteggiamento esclusivo della coalizione dei volenterosi, considerando la possibilità di una ridefinizione delle alleanze regionali che, oltre il Burundi, potrebbe coinvolgere la RDC e il Sud Sudan.

Sebbene al momento sia impossibile ipotizzare una dissoluzione della EAC, è evidente che tutti gli elementi fin qui considerati sono sentore di una ridefinizione dei rapporti di forza nell’intera regione dell’Africa Orientale, all’interno della quale la Tanzania gioca un ruolo di primaria importanza. L’eventuale fallimento del tentativo di integrazione della EAC costituirebbe un duro colpo per le ambizioni tanzaniane, che vedono invece come elementi di forza la stabilità politica di cui gode il Paese e il suo impegno, sia sul piano regionale che internazionale, nella lotta alle principali criticità della regione. Elementi che fanno al momento della Tanzania un ottimo referente locale su cui fare affidamento per una maggiore stabilizzazione dell’intera Africa Orientale.

Articoli simili