L'incremento della pirateria nel Golfo di Guinea
Africa

L'incremento della pirateria nel Golfo di Guinea

Di Alessandra Virgili
10.10.2013

Siamo in presenza, oggi, di un’evoluzione della pirateria nel continente africano. L’International Maritime Bureau (IMB) ha sottolineato, in un suo ultimo Report sull’attività piratesca globale, lo scorso 15 luglio, come le incursioni dei pirati in Somalia siano scese al loro livello più basso dal 2006, ed ha focalizzato l’attenzione sull’aumento, nell’ultimo anno, degli attacchi lungo le coste dell’Africa occidentale. In generale, l’IMB ha contato 138 incidenti pirateschi nei primi sei mesi del 2013, contro i 177 della prima metà del 2012. Il numero degli ostaggi presi in mare è drasticamente caduto a 127, da 334 nei primi sei mesi dello scorso anno. Al contrario del Golfo di Aden, però, dove gli attacchi pirateschi sono notevolmente diminuiti, grazie alle missioni europea (ATALANTA) e NATO (OCEAN SHIELD) e alle misure preventive prese dagli stessi mercantili, inclusi il dispiegamento di personale privato di sicurezza armato, nel Golfo di Guinea il rapporto dell’IMB ha rilevato un aumento dei saccheggi e dei sequestri da parte di pirati armati. Quello dei sequestri è un dato nuovo sull’affare della pirateria in questa regione, conosciuta già per attacchi contro vascelli appartenenti ad industrie petrolifere o furti di petroliere. I pirati armati, nel Golfo di Guinea, hanno sequestrato 56 persone e sono responsabili di tutti i 30 sequestri di membri di equipaggio segnalati finora nel 2013. Lungo le coste della Nigeria sono stati calcolati 22 dei 31 incidenti e 28 sequestri di membri dell’equipaggio.

Pirati, lo scorso 16 luglio, hanno saccheggiato una nave trasportante petrolchimici, sequestrato, derubato e ferito il personale di bordo, dopo pochi giorni rilasciato, lungo le coste del Togo. Il 14 luglio, una nave turca con a bordo un equipaggio composto da 24 Indiani è stata attaccata e saccheggiata da pirati nei pressi di Port-Gentil, città situata lungo la costa del Gabon. Alcuni membri dell’equipaggio sono stati sequestrati, derubati e, infine, rilasciati. La regione, finora, era stata considerata sicura. Non siamo, infatti, in presenza di una zona in cui i pirati avevano colpito prima, mentre il Togo era già stato protagonista di incursioni di recente. La notte tra il 12 e il 13 giugno la petroliera francese Adour, mentre era in attesa di carico al largo di Lomé, capitale del Togo, è stata attaccata da un gruppo di pirati, armati di kalashnikov, esclusivamente interessati al carico della nave.

Analizzando la situazione, i primi aspetti che si possono mettere in rilievo sono due. Il primo è lo spostamento della zona d’interesse della pirateria dall’Africa orientale a quella occidentale, nel Golfo di Guinea, ricco di petrolio e minerali. Il secondo aspetto è la grande estensione territoriale del fenomeno, che ricopre l’intera regione e che potrebbe rendere la situazione più complicata, sia a livello di sicurezza che, quindi, di serenità da parte dei naviganti. Inoltre l’incremento della pirateria nella regione, causando l’aumento dei costi per la sicurezza della navigazione, può anche scoraggiare gli investimenti.

Dai dati dell’IMB si può rilevare anche come gli attacchi pirateschi nell’area del Golfo di Guinea siano genericamente tutti caratterizzati da una forte violenza; sia in Nigeria che in Benin e Togo i pirati hanno sequestrato le navi, attaccando armati e causando feriti. Una nota caratteristica è quella delineata dalla situazione in Benin e Togo, poiché nei due Paesi la tendenza degli attacchi pirati è contrapposta. Nel primo Stato le incursioni sono diminuite in modo significativo nel corso di quest’ultimo anno, grazie all’intervento delle pattuglie locali e nigeriane, al contrario in Togo abbiamo assistito ad un aumento degli attacchi, avvenuti, spesso, durante la notte. I pirati hanno inizialmente attaccato le coste di Nigeria, Benin e Togo per estendersi, poi, in Costa d’Avorio e Gabon.

Oltre all’elemento geografico e all’estensione del fenomeno, gli altri elementi interessanti da analizzare sono l’identità dei pirati, il loro modo di operare e i loro obiettivi. Il Report dell’Ufficio delle Nazioni Unite sulla Droga e il Crimine, del 2013, ha rilevato che i pirati catturati parlano maggiormente inglese e francese, sono, quindi, pirati locali, provenienti probabilmente dalla Nigeria e dal Benin, ex colonie, rispettivamente, britannica e francese. La maggior parte di loro ha avuto legami con il mercato nero e i conflitti del delta del Niger, causati dagli interessi economici legati al petrolio. Tra gli attori della pirateria ci sono gruppi armati sponsorizzati da militari e ufficiali corrotti appartenenti all’industria petrolchimica o da ex gruppi ribelli, ladri professionisti o pescatori. Si possono distinguere i pirati che operano nel Golfo di Guinea in opportunisti e organizzati. I primi, in minoranza e meno preparati, agiscono per tentazione, a causa della loro condizione di povertà. I pirati gestiti in vere e proprie organizzazioni sono, invece, in maggioranza, soprattutto se parliamo degli attacchi lungo le coste della Nigeria. Qui siamo in presenza di canali di giovani gruppi, di etnia Ijaw, associati a diverse bande ribelli, come gli Egbesu Boys dell’Africa, il Gruppo Vigilante del delta del Niger, la Forza Volontaria del Popolo del delta del Niger e il MEND (Movement for the Emancipation of the Niger Delta, letteralmente Movimento per l’Emancipazione del delta del Niger). Quest’ultimo gruppo di ribelli è nato negli anni Novanta, nel contesto di conflitti locali, come movimento armato, composto principalmente da militanti di etnia Ijaw e Igbo. Le rivendicazioni del MEND riguardavano principalmente lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi nigeriani ad opera delle multinazionali straniere e la mancanza di eque politiche di redistribuzione degli introiti sul territorio. Inoltre esse ponevano l’accento anche sulle pesanti ripercussioni ambientali che tale sfruttamento comportava. Di conseguenza gli attacchi del MEND erano spesso rivolti sia contro infrastrutture petrolifere nell’area che contro le petroliere transitanti nelle acque limitrofe. Il petrolio sottratto dai criminali veniva rivenduto al mercato nero, il cui boom è ancora presente nell’Africa occidentale. Gli attacchi pirati di oggi sono, quindi, ancora effettuati con lo stesso scopo di guadagno dalla rivendita del greggio nel commercio illegale. Dopo gli accordi del 2009 e del 2010, con l’attuale Presidente nigeriano, allora vice-presidente, Goodluck Jonathan, le attività piratesche del MEND erano andate diminuendo. Tale accordo garantiva occupazione nelle infrastrutture petrolifere ai membri del MEND in cambio della cessazione delle ostilità ed assicurava ai suoi leader un rendiconto economico che variava tra i 3 e i 6 milioni di dollari l’anno. Questo spiega il perché abbiamo assistito ad un calo degli attacchi riconducibili al gruppo armato. L’intensificazione odierna delle incursioni nell’area, quindi, non è più riconducibile ufficialmente al MEND, poiché nessun membro del movimento ha rivendicato gli attacchi pirateschi; trattasi, più probabilmente, di alcuni membri che, esclusi dall’accordo o non più soddisfatti da esso, hanno continuato le proprie attività in quest’area. In ogni caso, l’opinione comune è che il MEND sia tutt’oggi un’organizzazione ad ombrello che riunisce i gruppi armati o di pescatori sensibili al tema dello sfruttamento e dell’inquinamento delle proprie terre. Tuttavia, la loro militanza è priva del significato politico di qualche anno fa e si è ormai ridotta, in larga misura, ad un’attività para-criminale.

Per quanto riguarda il modus operandi dei pirati nel Golfo di Guinea, i gruppi organizzati attaccano le navi in mare aperto, poiché meglio equipaggiati e ben coordinati, a differenza di quelli più avventati, probabilmente in maggioranza pescatori, che agiscono in acque territoriali. In entrambi i casi, gli attacchi dei pirati lungo queste coste sono mirati, poiché gli obiettivi sono precisamente i carichi delle navi, come il petrolio rivendibile sul mercato nero. Talvolta, come dimostra l’ultima incursione piratesca di luglio lungo le coste di Lomé alla nave trasportante prodotti chimici, se il carico ha scarso valore commerciale o necessita trattamenti speciali per la sua manipolazione, i criminali si limitano a rubare denaro e beni dell’equipaggio, sequestrando alcuni dei suoi membri per non più qualche giorno. Questa metodologia di attacco è una delle differenze più marcate rispetto ai pirati del Golfo di Aden, che invece tendono ad operare sequestri di durata pluri-mensile e addirittura pluriennale.

Anche per quanto riguarda il trattamento dei battelli i pirati delle due coste africane seguono metodi diversi. In Africa Occidentale il sequestro di navi è pressoché nullo, al contrario di ciò che accadeva ed accade oggi lungo le coste del Golfo di Aden, della Somalia e nell’Oceano Indiano. La mancanza di sequestri di navi è spiegata dalle diversità politiche e geografiche dei due scenari. Nel Golfo di Guinea esistono Stati con un’autorità politica e delle forze di sicurezza attive ed abbastanza consolidate, in grado di controllare le proprie coste e le proprie acque territoriali, seppur con difficoltà. Inoltre, la densità di popolazione costiera, l’allocazione dei porti e la caratteristiche morfologiche delle coste impediscono l’attracco non convenzionale delle navi. Situazione diversa, invece, in territorio somalo, privo di qualsiasi autorità politica e di forza di sicurezza in grado di assicurare il controllo di porti e coste. Inoltre, le coste somale hanno la drammatica caratteristica di disporre di moltissimi porti naturali che, ovviamente agevolano il lavoro dei pirati. Il tratto violento dell’attività piratesca nel Golfo di Guinea può essere giustificato proprio dalla differenza degli obiettivi che si vogliono raggiungere; il sequestro del personale di bordo o delle navi per l’ottenimento del pagamento di un riscatto non esige l’utilizzo di violenza, al contrario, il furto del carico di una nave impone operazioni più accese ed aggressive da parte dei pirati.

Per contrastare lo sviluppo della pirateria, i governi dei Paesi del Golfo di Guinea hanno optato per varie forme di cooperazione sia nel campo militare sia in quello civile ed economico-sociale. Nella regione in questione sono stati già incisivi, in passato, programmi bilaterali promossi da Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia, volti anche a coprire gli interessi economici occidentali legati alle risorse della zona. In particolare, le iniziative promosse da statunitensi e francesi si sono rivelate più incisive e profonde. Per quanto riguarda i partner africani, a distinguersi è stata la Nigeria, leader dell’ECOWAS (Economic Community of Western Africa States) e unico Paese in grado di schierare un dispositivo militare accettabile per le necessità di sicurezza marittime.

Per quanto riguarda le iniziative di Paesi occidentali, AFRICOM (United States Africa Command) fornisce diretta assistenza alle forze navali locali per aumentarne le capacità operative e rafforzare la conoscenza delle leggi marittime, somministrando programmi di formazione e mentoring delle Forze Armate. Nell’area del Golfo di Guinea, la Francia mantiene una discreta forza militare, rappresentata dal dispositivo permanente di Libreville in Gabon e, soprattutto, dalla missione anti-pirateria “Corymbe” che, dal 1990, è responsabile del pattugliamento delle acque del Golfo di Guinea. La missione “Corymbe” è formata da elementi delle Forze Armate francesi di stanza in Senegal e in Gabon e prevede il dislocamento di una unità navale. Le ultime due navi avvicendatesi nella missione sono state la BPC (Bâtiment de projection et de commandement) classe Mistral “Tonnere” e la fregata classe Georges Leygues “Latouche-Tréville”.

Il contributo dei Paesi africani alla sicurezza marittima del Golfo di Guinea si manifesta in diverse iniziative sia pluri-nazionali che individuali. Come accennato in precedenza, la Nigeria è l’attore più attivo. Il governo di Abuja ha disposto la formazione e lo schieramento, nel Delta del Niger e nelle acque contigue, della JMTF (Joint Military Task Force), composta da Esercito, Marina, Forza Aerea, Polizia e SSS (State Security Service). Inoltre, a livello di accordi regionali, la Nigeria effettua operazioni di pattugliamento congiunto con la Marina beninense. Per quanto riguarda le iniziative future, Abuja è tra i massimi promotori del GGGF (Gulf of Guinea Guard Force), una forza navale multinazionale da realizzarsi in seno alla Commissione per il Golfo di Guinea (GGC) con l’assistenza degli Stati Uniti.

La cooperazione regionale anti-pirateria è arricchita dalla definizione di un’agenda condivisa che includa non solo i Paesi del Golfo di Guinea ma anche quelli dell’Africa Centrale ed Australe. Infatti, i Capi di Stato e i Capi di Governo africani, insieme ai rappresentati di Nazioni Unite, ECCAS (Economic Community of Central African States, Comunità Economica degli Stati centrafricani), ECOWAS (Economic Community of West African States, Comunità Economica dell’Africa occidentale) e GGC (Commissione del Golfo di Guinea) si sono incontrati a Yaoundé, il 24 e 25 giugno scorsi, per sottolineare, in modo unanime, la gravità del problema. I leader e i rappresentanti dei Paesi africani partecipanti al summit hanno invitato all’introduzione di misure di sicurezza attraverso sforzi comuni, progetti di armonizzazione e coordinamento delle politiche e delle azioni anti-pirateria, insieme ad un giudizioso e supervisionato utilizzo di fondi da parte della cooperazione internazionale. Lo scopo ultimo della Conferenza di Yaoundé è stato, quindi, la pianificazione di una strategia regionale mirata alla salvaguardia dello spazio marittimo dell’area e a fermare la destabilizzazione della stessa. Alla Conferenza è stata presa in considerazione anche la possibilità di costruire maggiori raffinerie per aumentare l’occupazione e, quindi, disincentivare le attività criminali. Questa proposta, in realtà, rappresenta la ri-edizione, su scala regionale, dei termini dell’accordo di integrazione stipulato tra il Presidente Nigeriano Jonathan e il MEND nel 2009-2010. In linea teorica, la promozione di tale piano di sviluppo ed integrazione avrebbe il triplice e benefico effetto di disinnescare la minaccia della pirateria, garantire maggior lavoro alle popolazioni locali e ridurre la tragica dipendenza dei Paesi africani dall’importazione di carburanti e derivati del petrolio. Yaoundé, dopo il Summit, potrebbe diventare un vero e proprio centro interregionale di lotta alla pirateria nel Golfo di Guinea. La capitale del Camerun può fungere da centro di coordinamento delle operazioni, chiamato a condividere, a livello regionale, informazioni e mezzi per arginare il fenomeno.

Contro il fenomeno della pirateria nel Corno d’Africa l’ONU ha organizzato una Task Force OCEAN SHIELD e l’Unione Europea ha contribuito con EUNAVFOR Atalanta che, insieme agli sforzi a livello regionale, hanno fatto sì che le minacce nell’area diminuissero. Nel caso dell’Africa occidentale siamo lontani da un maggior coinvolgimento militare dell’Occidente e, quindi, la responsabilità politica ed operativa delle attività di sicurezza nel Golfo di Guinea continua a pesare, in larga parte, sulle spalle dei Paesi africani. In ogni caso, la Comunità Internazionale è attenta all’evoluzione del fenomeno piratesco, come sottolineato dal Programma Regionale per l’Africa Occidentale 2010-2014, realizzato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per la Droga e il Crimine ha stilato e caratterizzato da una sezione dedicata specificatamente alla pirateria.

La pirateria nel Golfo di Guinea costituisce una concreta minaccia agli interessi economici occidentali nella regione. Il problema non riguarda soltanto l’industria petrolifera, ma, in generale, la sicurezza dei commerci di ogni tipo di bene. Per quel che riguarda il settore petrolifero, i maggiori attori sono la francese ENPLN, l’anglo-olandese Shell, le americane Chevron, ExxonMobil e ConocoPhilips e l’italiana ENI. Proprio lo scorso anno quest’ultima, insieme a Chevron, ha intrapreso l’esplorazione del mercato energetico liberiano, con l’acquisizione di tre blocchi di esplorazione offshore. ENI è presente in Africa sub-sahariana dagli anni Sessanta ed ora ha progetti anche in Congo, Ghana, Gabon, Togo e Nigeria.

La pirateria, in luoghi geograficamente strategici come questo, se non opportunamente contrastata, crea una concatenazione di effetti negativi. I saccheggi di navi, nel 2012, hanno causato una perdita annuale di 1,3 milioni di dollari, milioni di tonnellate di combustibile, per un valore di circa 30 milioni di dollari. Il Benin, a causa degli attacchi pirateschi, ha subito, nel 2011-2012, una perdita economica del 70% e gli introiti governativi sono diminuiti del 28%, poiché le spese di navigazione sono aumentate e, con esse, il costo della vita, dovuto ad un’impennata dei costi delle importazioni e ad un abbassamento della competitività nelle esportazioni.

Il traffico marittimo nella regione è rappresentato, principalmente, da mercantili internazionali trasportanti petrolio e derivati petrolchimici. Generalmente, a causa della poca sicurezza delle acque, aumentano i premi di assicurazione per chi solca i mari, e il traffico marittimo tende a diminuire, oppure aumentano i salari dei marinai e, di conseguenza, sale anche il prezzo del delle merci a causa dell’impatto dei costi di trasporto. L’aumento del costo della vita porta inevitabilmente alla crescita del contrabbando e del mercato nero.

In conclusione, per combattere la pirateria bisogna seguire un approccio olistico, multidimensionale, multilaterale e cooperativo-regionale. Forme di contrasto esclusivamente militari non garantirebbero l’estirpazione del problema alla radice. La pirateria e le altre attività illegali ad essa collegate trovano terreno fertile nell’emarginazione sociale e nella precarietà dello sviluppo umano. Se non si combattono innanzitutto queste due criticità, qualsiasi impegno militare potrebbe risultare un semplice tampone e non un antidoto al problema.

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