Repubblica Centrafricana: i ribelli del Seleka al potere dopo il golpe
Africa

Repubblica Centrafricana: i ribelli del Seleka al potere dopo il golpe

Di Vincenzo Gallo
09.05.2013

Il destino di molti Paesi africani sembra essere segnato da un’interminabile sequenza di sconvolgimenti politici. La Repubblica Centrafricana non fa eccezione e la conquista del potere da parte dei gruppi della coalizione Seleka (“alleanza” in lingua Sango) ne è solo l’ultimo esempio. Alla fine di marzo 2013, infatti, la capitale Bangui è caduta nelle mani dei ribelli ed il Presidente François Bozizé è stato costretto a riparare nel vicino Cameroun per sottrarsi alla cattura.

Il golpe ha determinato un aggravamento della già precaria stabilità nell’Africa Centrale e della situazione umanitaria nel Paese. L’Unione Africana (UA) e altri Stati occidentali hanno condannato fermamente il rovesciamento violento del governo ed hanno auspicato il ripristino del legittimo ordine costituzionale. Nonostante i sette più influenti leader di Seleka siano già stati raggiunti da provvedimenti restrittivi e sanzioni dell’UA, i golpisti non intendono fare marcia indietro e, al contrario, hanno annunciato la tabella di marcia per dare attuazione agli accordi di Libreville del 13 gennaio, precedentemente ignorati da Bozizé. Infatti, già nel dicembre 2012 l’avanzata dei ribelli aveva permesso a questi di acquisire il controllo di intere città nella parte centrale e settentrionale della Repubblica Centrafricana e Bozizé si era visto costretto a chiedere aiuto ai Paesi confinanti per scongiurare il rischio dell’avanzata verso Bangui.

Dal 1960, anno dell’indipendenza dai francesi, la Repubblica Centrafricana ha sperimentato un trentennio di governo militare e solo nel 1993 si è assistito alla formazione del primo esecutivo civile. Quest’ultimo, però, non ha avuto vita lunga ed è stato nuovamente interrotto dal colpo di Stato del 2003 capeggiato proprio dal Generale Bozizé, il quale instaurò un governo di transizione in vista delle elezioni del 2005. Il Presidente appena deposto vinse nel 2005 e fu riconfermato alla guida del Paese anche nel 2011.

L’ex colonia francese ha dovuto tradizionalmente affrontare al proprio interno il susseguirsi e l’avvicendarsi di diversi movimenti e gruppi che per anni ne hanno minacciato la stabilità. Infatti, oltre a Seleka, nelle regioni sud-orientali del Paese continuano ad operare i miliziani ugandesi del Lord’s Resistance Army (LRA).

Seleka, alla cui guida vi è Michel Djotodia, si è formata quale coalizione di numerosi gruppi combattenti protagonisti di altre precedenti ribellioni nel Paese. Si tratta dell’Union of Democratic Forces for Unity (UDFR) di Djotodia, dell’Union for Republican Forces (UFR) e la Convention of Patriots for Justice and Peace (CPJP), accomunati dal risentimento nei confronti del governo centrale per essere stati marginalizzati e esclusi dai programmi si smobilitazione e reintegro nell’esercito nazionale in base ad un precedente accordo del 2007.

La CPJP, la cui creazione risale alla fine del 2008, è stata diretta dal più volte ministro centrafricano Charles Massi, morto probabilmente per le torture che subite durante l’arresto del gennaio 2010. Suo figlio Eric Neris continua da Parigi a svolgere il ruolo di portavoce e coordinatore internazionale del gruppo. La fazione facente parte dell’alleanza Seleka è conosciuta come Fundamental CPJP, per distinguerla da quella che ha cessato la lotta armata ed ha siglato un accordo di pace con il governo centrale. 
A queste formazioni se ne sono aggiunte anche altre. Tra le principali vi è la Convention Patriotique pour le Salut du Kodro (CPSK), costituita il 20 giugno 2012 dal Generale Mohamed Moussa Dhaffne, e l’Alliance pour la Renaissance et la Refondation (A2R). Ancora a dicembre del 2012 la coalizione veniva spesso indicata come Seleka CPSK-CPJP-UFDR.

Djotodia vanta un passato alquanto turbolento e molti contasti con Bozizé. Già funzionario pubblico nel governo dell’ex presidente Ange-Felix Patasse (deposto con il colpo di stato del 2003), Djotodia ha ricoperto l’incarico di diplomatico in Sudan. Esiliato in Benin e poi arrestato per volere delle autorità centrafricane, ritornò in patria dopo aver scontato la pena. Il leader dei Seleka è stato sempre tra i più accesi detrattori del presidente Bozizé e dalla firma dell’accordo di Libreville ha denunciato apertamente l’atteggiamento di quest’ultimo circa il mancato rispetto degli impegni assunti, in particolare la liberazione dei prigionieri politici e l’integrazione dei miliziani nell’esercito nazionale.

Con la fuga del capo dello Stato, Djotodia si è autoproclamato Presidente del Paese, sospeso la costituzione e dichiarato che avrebbe governato per mezzo di decreti. Dalle affermazioni dei leader di Seleka è emersa la volontà di implementare gli accordi di Libreville. I ribelli, infatti, hanno annunciato sin dalle prime fasi l’intenzione di costituire un governo di transizione guidato da un rappresentante dell’opposizione e di condurre il Paese a nuove elezioni nel giro di due o tre anni, cosi come previsto dai patti.

La ribellione di Seleka contro Bozizé, iniziata a dicembre del 2012, sembrava essersi normalizzata con la sigla degli accordi di Libreville del 13 gennaio 2013, ma nessuna delle parti si era mostrata propensa a deporre le armi e a garantire la reale applicazione del patto. In effetti, stando alla lettera degli accordi, il governo centrafricano avrebbe dovuto assumere impegni che ne avrebbero significativamente ridimensionato i poteri. Innanzitutto Bozizè sarebbe restato in carica fino al termine del suo mandato nel 2016, ma senza poter ricandidarsi, ed avrebbe dovuto nominare, senza possibilità di revoca, un governo di unità nazionale della durata di 12 mesi formato da esponenti della maggioranza presidenziale, dell’opposizione, dei movimenti politico-militari non combattenti e della coalizione Seleka. Tale esecutivo, guidato da un esponente dell’opposizione, avrebbe avuto il compito di restaurare la pace e la sicurezza, di organizzare le elezioni legislative entro tre anni, di riformare le forze di sicurezza e il sistema giudiziario con l’ausilio della comunità internazionale e di gestire il processo di reintegrazione degli ex combattenti di Seleka nell’esercito regolare. In cambio di tali concessioni, la coalizione di opposizione si sarebbe impegnata a ritirarsi dalle città occupate e a cessare la lotta armata.

Bozizé, secondo i ribelli, non solo non ha rispettato i termini degli accordi, ma non ha nemmeno rinunciato ai 400 militari sudafricani inviati da Pretoria per garantire la propria incolumità. Tredici uomini di questo contingente sono stati uccisi nel vano tentativo di respingere i ribelli durante l’attacco finale a Bangui, anche dopo la fuga del presidente.

Nel frattempo, però, Bangui e molte altre aree sono in preda al caos. Il vuoto di potere ha favorito violenze e saccheggi e la maggior parte delle attività economiche si è bruscamente arrestata per il diffuso senso di insicurezza. Eric Massi, portavoce dei Seleka, ha affermato che le milizie sono costantemente impegnate nel garantire l’ordine nelle strade del Paese e fermare quelli che vengono definiti “predoni” ma che, in realtà, rappresentano le ultime sacche di resistenza lealista. La disponibilità di elettricità, acqua, medicinali e cibo è stata drasticamente ridotta a causa degli scontri armati. I disordini, infatti, hanno avuto un impatto notevole sulla mobilità di persone e merci e a farne le spese sono stati principalmente i malati e i feriti. Secondo le Nazioni Unite i disordini nel paese hanno notevolmente compromesso l’accesso a acqua potabile, cibo e elettricità, mentre nella capitale sono solo due gli ospedali in grado di fornire assistenza ai malati e ai feriti. L’ Office for the Coordination of the Humanitarian Affairs (OCHA) delle Nazioni Unite ha riportato che l’avanzata dei ribelli verso la capitale ha ulteriormente limitato la possibilità degli operatori umanitari di portare aiuto ad intere aree sud-orientali del paese in cui 300.000 persone sono da anni alle prese con gli attacchi dell’LRA.

Le vicende politiche della Repubblica Centrafricana sono da tempo oggetto dell’interesse di diversi attori regionali e internazionali a causa dell’allarmismo suscitato dal golpe. La Francia, che già aveva dispiegato una forza di più di duecento uomini, ha ordinato l’invio di altri trecento militari. Il presidente François Hollande, a seguito della richiesta di aiuto di Bozizè, ha seccamente precisato che le truppe francesi dispiegate nella Rep. Centrafricana avrebbero perseguito unicamente l’obiettivo di proteggere i 1.200 cittadini transalpini ivi residenti e tutelare gli interessi nazionali. La preoccupazione principale della Francia è stata quella di impedire che i giacimenti di uranio di Bakouma gestiti dal Gruppo Areva potessero cadere nelle mani dei ribelli e non certo di prolungare la vita del regime del presidente deposto dal golpe.

Anche gli Stati Uniti hanno condannato il rovesciamento del governo di Bozizé e minacciato di sospendere gli aiuti umanitari di due milioni di dollari destinati al Paese.

In ambito regionale, il Paese che sembra maggiormente coinvolto nelle questioni centrafricane è senza dubbio il Ciad. Bozizé, del resto, deve a quest’ultimo l’appoggio militare per il golpe del 2003. Il presidente ciadiano, Idriss Deby, ha sempre voluto un alleato forte per meglio sorvegliare i propri confini al sud, già interessati da notevoli flussi di rifugiati dal Sudan. Deby teme che i disordini in Repubblica Centrafricana possano generare una nuova ondata di arrivi e che le migliaia di sfollati costituiscano una seria minaccia alla sicurezza del Paese. Per questo motivo il Ciad è intervenuto a più riprese dal 2003 per contrastare varie ribellioni nella Repubblica Centrafricana e ha continuato a mantenere una sensibile presenza militare per poi ritirare improvvisamente le proprie truppe a dicembre 2012. Del resto, ultimamente, i rapporti tra i due Paesi avevano iniziato ad incrinarsi. Due fattori hanno giocato un ruolo decisivo in questo senso: prima di tutto, Deby non aveva riscontrato alcun progresso nell’azione di contrasto ai danni dei gruppi ribelli ciadiani ancora attivo in territorio centrafricano. Inoltre, la tendenza di Bozizè a stringere alleanze di cooperazione militare con altri Paesi, in primis il Sudafrica, non era stata mai vista di buon occhio dal governo ciadiano. A riprova del sospetto che aleggiava da tempo, il Ciad è stato indicato da Bozizè come un sostenitore dell’alleanza che ha rovesciato il governo e molti esperti continuano ad avallare questa convinzione.

Sempre in ambito regionale, anche l’Uganda ha da tempo manifestato interesse per le vicende centrafricane e continua a garantire una consistente presenza militare per coadiuvare gli sforzi del contingente internazionale impegnato nella caccia ai miliziani dell’LRA, ormai ridotti a poche centinaia di uomini. Seppur braccati dalle forze di sicurezza del Sud Sudan, Rep. Democratica del Congo (RDC), Uganda e della stessa Rep. Centrafricana, i ribelli dell’LRA costituiscono tuttora tra le principali minacce alla sicurezza di vaste aree in questa regione. Il loro leader, Joseph Kony, insieme a due suoi comandanti, Dominic Ongwen e Okot Odhiambo, sono ricercati dalla Corte Penale Internazionale per i presunti crimini contro l’umanità commessi in Uganda. Le FA di Kampala costituiscono la spina dorsale del contingente con circa 2.500 uomini, ma anche RDC e Sud Sudan hanno inviato centinaia di soldati nelle aree interessate dall’LRA che si vanno ad aggiungere ai cento osservatori statunitensi già presenti dal 2011. Tuttavia, la presa del potere da parte dei Seleka ha momentaneamente sospeso le attività di questa forza multinazionale, accrescendo le preoccupazioni su una possibile ripresa delle attività da parte dei miliziani di Kony. Infatti, già all’inizio di aprile le truppe ugandesi e gli esperti americani hanno annunciato la sospensione delle loro attività ed è probabile, visto il sostanziale vuoto di potere venutosi a creare in queste aree e i precedenti dell’LRA, che questi ultimi possano intensificare gli attacchi contro la popolazione civile. Solo a febbraio 2013 si sono registrati tredici uccisioni e diciassette rapimenti. L’avvicendamento al potere nella Rep. Centrafricana comporterà, tra le altre difficoltà, la necessità per l’Uganda e gli altri paesi impegnati nella missione di negoziare un nuovo mandato dal governo transitorio dei Seleka, per i quali allo stato attuale le vicende delle zone di confine non costituiscono certo la massima priorità.

Anche il Sudafrica ha accolto gli appelli di Bozizè, ma ha pagato a caro prezzo il suo coinvolgimento in questo difficile scenario. Tredici militari uccisi e altri ventisette feriti è il tributo di sangue di Pretoria. L’opposizione sudafricana ha subito accusato il governo e i membri del partito del presidente Jacob Zuma, l’African National Congress (ANC), di aver inviato le truppe nella Rep. Centrafricana per difendere gli interessi economici dell’elite al potere anziché tutelare la sicurezza e la pace nel Paese. Secondo i principale partito di opposizione, il Democratic Alliance (DA), gli investimenti nel settore minerario di alcuni esponenti politici sudafricani e la necessità di tutelare l’incolumità del leader centrafricano ad essi colluso, sarebbero stati alla base della decisione di inviare i militari. Zuma ha respinto fermamente le accuse, sostenendo che il contingente fosse impegnato in attività di addestramento e non come guardie personali di Bozizè.

A livello internazionale, le Nazioni Unite garantiscono il loro sostegno alla popolazione ed alle istituzioni centrafricane attraverso una missione di mantenimento della pace, la UN Integrated Peace Building Office in Central African Republic (BINUCA), con il compito di coadiuvare gli sforzi per instaurare il dialogo tra le parti in lotta. Non mancano le missioni regionali finanziate dall’Unione Europea(UE), cioè la FOMAC e la MICOPAX, destinate alla protezione dei civili e all’ implementazione dei programmi di disarmo.

Il destino politico di Seleka e di Djotodia potrebbe dipendere dalle strategie politiche concertate all’interno delle organizzazioni regionali e continentali africane. Al momento, l’UA sembra voler continuare a vanificare gli sforzi di Djotodia di ottenere una piena legittimazione. Infatti, il leader di Seleka ha visto riconosciuto il titolo di presidente ad interim da parte sia del consiglio transitorio nazionale sia dall’ECCAS (Economic Community of Central African States). Nel secondo caso, la legittimazione è parziale ed attiene al mero periodo di transizione. Uno dei principali sostenitori della “legittimazione parziale” è stato il presidente ciadiano in occasione dell’ultimo summit dell’ECCAS. Secondo la delegazione dei ministri di questi Paesi, unitamente a rappresentanti dell’UE, dell’UA e dell’organizzazione dei Paesi francofoni, infatti, le modalità con cui Djotodia ha acquisito il potere non sono tali da conferire alcuna legittimazione al proprio governo e a questo scopo quest’ultimo dovrà sottostare ad una precisa tabella di marcia stabilita a livello regionale.

Le vicende della Rep. Centrafricana si inseriscono nel quadro allarmante che caratterizza diverse regioni insanguinate dai conflitti armati. Le questioni etniche e le rivendicazioni di popoli emarginati dal centro del potere sono ancora alla base di guerre che durano da decenni e suscettibili, come si è visto, di chiamare in causa altri Paesi e allargare gli scontri ben oltre i confini nazionali.

A distanza di poche settimane dal golpe è prematuro delineare un possibile scenario circa la capacità di Djotodia di instaurare un proprio governo e di dare risposta alle richieste dei gruppi armati che si dicono marginalizzati dal governo appena deposto.

Resta da verificare l’esito delle azioni concertate a livello regionale e se la questione centrafricana sarà trattato dalle Nazioni Unite e dai singoli Paesi alla stregua di altre che oggi destabilizzano l’intero continente africano. Ciò che è certo è che Seleka, anche se hanno conquistato il potere con modalità anticostituzionali che hanno accentuato il loro isolamento internazionale, non sono per ora gli unici soggetti con cui la comunità internazionale dovrà confrontarsi nel tentativo di ripristinare la sicurezza nel Paese.

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