Asia e Pacifico

Il Pakistan verso le elezioni

Di Giulia Tarozzi
05.05.2013

L’11 maggio in Pakistan si svolgeranno le elezioni, le prime dopo che un governo democraticamente eletto ha completato un’intera legislatura. Per il Paese ciò potrebbe comportare un punto di svolta nel completamento del processo di transizione verso una piena e completa democrazia. Molto dipenderà dall’esito delle urne, dall’atteggiamento delle opposizioni e, soprattutto, dal comportamento dei militari, componente che da sempre ha il peso maggiore all’interno del Paese. Data l’uscita di scena di Pervez Musharraf, che dopo essere rientrato nel Paese per candidarsi alle elezioni è stato escluso dalla competizione elettorale ed ora è agli arresti domiciliari accusato di tradimento, occorre soffermarsi sugli altri attori che si contenderanno la guida del governo di Islamabad.

Primo fra tutti il Pakistan People Party (PPP), partito di maggioranza che al voto del 2008 aveva ottenuto il 30,6% delle preferenze e disponeva di 166 deputati. Il partito, d’ispirazione socialista, fu fondato il 30 novembre 1967 da Zulfikar Ali Bhutto, ed è oggi presieduto dal figlio ventitreenne di Benazir (figura di spicco del partito che era stata proclamata presidente a vita), Bilawal Bhutto Zardari. Ne sono esponenti il Presidente uscente del Pakistan, Asif Ali Zardari, e il Premier Raja Parvez Ashraf. Il PPP può contare su una base di consenso radicata in particolare nella regione meridionale del Sindh, area di provenienze dei Bhutto, e nella più popolosa regione del Punjab. Inoltre può far leva sul risultato positivo di aver portato a termine per la prima volta nella storia del Paese un’intera legislatura. Nonostante ciò, pare non avere grossi margini di vittoria alle elezioni a causa degli scandali legati alla corruzione e degli insuccessi in campo economico, sociale e di sicurezza che gli sono valsi circa la metà dei consensi. Inoltre, tutto ciò ha fatto sì che la popolarità del Presidente uscente risulti oggi in costante discesa.

In secondo luogo va poi preso in considerazione il Pakistan Muslim League-Nawaz (PML-N), considerato come il legittimo successore dell’All India Muslim League, di cui il Padre della patria, Mohammad Ali Jinnah, era presidente. Il suo leader è il miliardario ex-premier Nawaz Sharif ed attualmente il PML-N è il maggior schieramento d’opposizione in Parlamento.

Il partito ha la sua riserva di voti principalmente nel centro e nel nord del Punjab, grazie ai quali ha ottenuto 107 seggi in Parlamento, circa il 19,5% dei voti, alle scorse elezioni. Per riuscire a raccogliere consensi anche al di fuori della sua area di appartenenza, Sharif si è storicamente appoggiato ai movimenti religiosi musulmani. Benché il leader del PML-N non appartenga a coloro che fanno della fede il fulcro delle proprie politiche, egli ha saputo sfruttare questi legami per dare al proprio partito un respiro nazionale, che altrimenti sarebbe stato difficile da ottenere. In cambio di questo, Sharif ha introdotto alcune proposte su base religiosa all’interno dei suoi programmi, come dimostrato dalla proposta legislativa del ’93 volta ad aumentare il ruolo della religione nel governo. Ad oggi, la fede non è più centrale nel suo programma poiché la popolarità raggiunta gli consente di svincolarsi maggiormente dal sostegno dei gruppi religiosi, ma in ogni caso i legami con i movimenti islamici rimangono forti.

Attualmente Sharif è l’unico leader che abbia presentato un manifesto chiaro e completo in vista delle elezioni. Fra le misure proposte vi è, ad esempio, un aumento del salario minimo a 15.000 rupie (circa 120 euro). Le sue idee vanno a toccare direttamente uno dei tasti dolenti del precedente governo, l’economia. Ciò ha aiutato il PML-N a salire nei sondaggi tanto da ipotizzare che, visto il calo di consensi del partito del PPP di Zardari, uno dei principali candidati alla presidenza sarà proprio Nawaz Sharif.

La popolarità del leader del PML-N, così come la sua corsa alla presidenza, sembrano in costante crescita, anche se aumentano i consensi ottenuti dal partito Pakistan Tehrik-i-Insaaf (PTI), fondato nel 1996 dall’ex stella del cricket Imran Khan. La sua retorica, fortemente anti-americana, è riuscita a fare breccia in vasti settori dell’elettorato nazionale, in particolare tra le fasce più giovani e urbane della popolazione. Questo, in un Paese in cui i giovani tra i 18 e i 35 anni sono oltre il 42% della popolazione, può essere particolarmente significativo ai fini elettorali.

Ciò che però ha attratto maggiormente i pakistani è stata la sua campagna, connotata da una oratoria fortemente populista, contro la corruzione, piaga che dilaga ampiamente nel Paese, soprattutto all’interno della classe politica. Proprio per ridurre tale fenomeno, Khan ha presentato un programma in tre punti volto a introdurre una commissione elettorale indipendente, per scongiurare brogli, una giustizia indipendente, per combattere gli abusi derivanti dall’intromissione del potere esecutivo, e una Corte dei Conti autonoma. Infine, una delle misure che il PTI vorrebbe promuovere, e che più ha fatto discutere, è l’introduzione di una norma che ponga il potere civile al di sopra di quello militare. I militari sono sempre stati al centro delle dinamiche politiche del Pakistan e questo genere di proposta mette Khan contro una delle elite più potenti dello Stato.

Infine, benché a livello di competizione elettorale questo partito non abbia speranze di vittoria, è opportuno parlare dell’Awami National Party (ANP), forza politica secolare e bersaglio di molteplici attacchi da parte dei talebani pakistani del TTP. Il partito è stato fondato da Abdul Wali Khan nel 1986 ed è oggi presieduto da suo nipote Bacha Khan. L’ANP presenta un’agenda secolare, che punta al socialismo democratico e all’uguaglianza, anche a livello economico. Se nei suoi primi anni i tratti legati alle politiche tradizionali del marxismo erano più marcate, ora questi hanno lasciato il posto ad una linea più pragmatica e solo il secolarismo è rimasto il caposaldo del partito. Alle elezioni del 2008 l’ANP ha ottenuto 13 seggi all’Assemblea Nazionale e 12 al Senato, una forza piccola, ma che rappresenta il più grande partito pashtun del Pakistan ed è stata dunque in grado di influenzare il voto nell’area in cui questa comunità è forte, il Khyber Pakthunkhwa.

Oggi, nella nuova tornata elettorale per l’ANP il rischio è quello di vedere ridotte le proprie forze e perdere influenza all’interno del Parlamento, schiacciata tra le forze maggiori del PPP e del PML-N e l’emergente PTI di Imran Khan. A ciò vanno sommati i frequenti attacchi ad opera del TTP, che negli ultimi mesi ha assassinato più di 50 e ferito oltre 200 fra esponenti politici e funzionari del partito. Tra gli ultimi Haroon Ahmad Bilour, ucciso durante un attacco suicida che ha coinvolto altre 16 persone il 17 aprile a Peshawar, e Mukarram Shah, colpito il 14 aprile nella Valle di Swat, nel nord-ovest del Pakistan. I talebani pakistani respingono l’idea di secolarismo liberale rappresentata dall’ANP e dai suoi partner nella coalizione di governo, il PPP di Zardari e l’MQM di Karachi. Gli attacchi del TTP hanno portato questi partiti a ridurre la propria presenza pubblica. Un danno evidente per la campagna elettorale e una spinta per i principali sfidanti, che subiscono sensibilmente meno attacchi, PML-N di Nawaz Sharif e PTI di Imran Khan. Peraltro, l’8 maggio, quest’ultimo è stato vittima di un grave incidente a Lahore, quando è caduto da una pedana ad un’altezza di 5 metri, finendo poi in ospedale per le ferite subite. L’evento ha rappresentato un ulteriore imprevisto in quella che era già un’accesa campagna, costringendo Nawaz Sharif a cavallerescamente interrompere la campagna elettorale in segno di fair-play. Khan, convalescente in ospedale, ha cercato di sfruttare l’accaduto a suo vantaggio con un accorato appello agli elettori, ma non sono mancate le critiche. PPP, MQM e ANP, infatti, hanno presto notato che nessuno ha dimostrato la stessa solidarietà nei confronti dei loro candidati feriti o uccisi nelle esplosioni pressoché quotidiane da Karachi a Peshawar. Lo stesso giorno della caduta, ad esempio, è morto in un attacco il fratello di un candidato del PPP nel nordovest del Paese. Nel complesso, seri problemi di sicurezza affliggono ormai Punjab, Balochistan e Khyber Pakhtunkhwa (oltre alla città di Karachi), e non vi è una posizione comune fra i principali partiti sulla lotta al terrorismo. Anzi, alcuni, come Imran Khan, preferirebbero ritentare l’infruttuosa via dei colloqui con i militanti e sembrano sminuire la minaccia rappresentata da al-Qaeda e dai gruppi pakistani ad essa allineati.

Quello che sembrava un esito scontato, e cioè che l’unico attore in grado di guadagnare voti poteva essere solo l’ex-premier Nawaz Sharif, è divenuto ora più incerto. Sicuramente rimane il fatto che nelle aree rurali del Punjab, ancora legate a logiche feudali, a dominare la scelta del candidato è ancora lo scambio di favori o l’intimidazione, per cui ad ottenere maggior successo è il politico che ha più forza e mezzi per dimostrarla, e il miliardario Sharif ne ha in abbondanza di entrambi.

Detto questo, bisogna tenere conto del sentimento di disaffezione verso i partiti tradizionali come PML-N e PPP che sembra pervadere la maggior parte dei pakistani, che dopo decenni di colpi di Stato e malgoverno potrebbero optare per il “cambiamento” votando per il PTI di Khan. Inoltre, molti potrebbero scegliere di non votare, specie nelle attuali condizioni di sicurezza, e molto dipenderà da quali aree proverrà la maggior parte dell’astensionismo.
La speranza è che il partito vincitore dalle elezioni sia in grado di raccogliere voti sufficienti per controllare saldamente il Parlamento e avviare riforme in grado di far ripartire il Paese.

Vista la difficile prova democratica che attende il Pakistan, lasciare Islamabad ad un governo debole significherebbe aggravare la già precaria situazione finanziaria e abbassare ulteriormente il livello di sicurezza interno. In una situazione così incerta, i militanti potrebbero approfittarne per aumentare i propri attacchi e, magari, compiere attentati anche nel cuore del Paese, costringendo così i militari ad un intervento. Così si aprirebbero le porte ad un possibile colpo di Stato, proprio ciò di cui ora la Nazione non ha bisogno.

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