Dietro le pretese del Sultanato di Sulu si riaffaccia il contrasto tra Malaysia e Filippine
Asia e Pacifico

Dietro le pretese del Sultanato di Sulu si riaffaccia il contrasto tra Malaysia e Filippine

Di Andrea Ranelletti
04.04.2013

Dopo oltre un mese di scontri, il governo malaysiano ha comunicato che le operazioni condotte nello Stato di Sabah contro l’armata di miliziani filippini al servizio del sedicente Sultanato di Sulu potrebbero esser prossime alla conclusione. L’”Esercito Reale di Sulu”, l’armata di circa duecento uomini giunta in Malaysia al servizio di Agbimuddin Kiram, si è sciolto e solo piccoli nuclei armati starebbero ancora conducendo azioni isolate contro le forze di sicurezza malaysiane. Agbimuddin Kiram è fratello del sultano Jamalul Kiram III, ultimo erede dell’antica dinastia regnante nello scomparso Stato islamico di Sulu.

La vicina conclusione delle operazioni armate non basta però a fare rientrare le tensioni nate tra Filippine e Malaysia: nonostante i due governi abbiano cercato di esibire la cooperazione nella gestione della situazione, in più occasioni sono emerse frizioni tra Kuala Lumpur e Manila, rivelatrici di un certo livello di ostilità tra due Paesi che stanno ponendo le basi per il reciproco sviluppo su una forte collaborazione economica. Entrambi stanno conoscendo grandi livelli di crescita economica e da anni proclamano la necessità di stringere accordi per una cooperazione più solida tra le due economie.

Le tensioni sono iniziate lo scorso 12 febbraio, quando un barcone partito da territorio filippino è approdato nell’area costiera di Lahad Datu, nel Nord-Est della Malaysia. Un numero imprecisato di uomini armati, probabilmente intorno ai 180, si è schierato all’interno delle foreste e dei villaggi della zona, proclamando la sovranità di Sulu sul territorio. I richiami del governo filippino, che ha anche inviato una nave sul posto per cercar di fare rientrare i suoi connazionali, e le minacce di quello malaysiano non sono stati sufficienti a distogliere i miliziani dal loro intento.

Dalle foreste vicino Lahad Datu gli uomini al servizio di Agbimuddin Kiram hanno risposto con le armi al tentativo delle locali forze di polizia di mettere in sicurezza l’area, uccidendo 8 agenti malaysiani. All’attacco le autorità malaysiane hanno risposto con un massiccio dispiegamento di forze aeree (3 F-18 e 5 Hawk 200) e di squadre di soldati che hanno circondato la zona. L’attacco ha causato la morte di 32 militanti dell’”Esercito Reale di Sulu” nella sola giornata del 6 marzo, generando l’indignazione del Governo filippino che ha chiesto l’immediata cessazione delle violenze. Negli stessi giorni è giunto un appello del Segretario Generale delle Nazioni Unite Bam Ki-Moon per un cessate il fuoco: le operazioni militari malaysiane si sono, però, concluse solo attorno al 24 marzo, dopo l’arresto del Capo dell’Esercito ribelle Amirbahar Kiram e la fuga del leader Agbimuddin. Il bilancio definitivo dei morti è di 60 persone (8 malaysiani e 52 filippini).

La conclusione degli scontri ha generato forti tensioni tra Malaysia e Filippine: il disaccordo non è però limitato alla maniera in cui l’Esercito malaysiano ha affrontato la milizia armata, ma affonda le proprie radici nei rapporti storici tra i due Paesi ed è già stato causa di passate ostilità.

Il distretto di Lahad Datu, nel centro dello stato malaysiano di Sabah, è una delle aree malaysiane più prossime all’arcipelago filippino e alla capitale dell’ex Sultanato, Jolo. Sabah è stato in passato parte di Sulu, storico regno islamista formato nel XV secolo. Secondo gli uomini del Sultanato, il territorio venne ceduto nel 1878 in leasing alla North Borneo Chartered Company, la compagnia coloniale che amministrava l’area per conto della corona britannica. La NBCC pagava un tributo al Sultano di Sulu, che manteneva formale sovranità sull’area. Il governo malaysiano sostiene, invece, la posizione presa dagli inglesi nel 1963, che hanno detto di aver acquisito i diritti sull’area, negando che il Sultanato potesse reclamare il possesso di Sabah.

È stata proprio la natura di tale sovranità a generare le dispute del 1963, anno della formazione dello Stato federale della Malaysia. Sabah, nel frattempo divenuto colonia inglese (Nord Borneo) e non più protettorato, è stato ceduto dalla Corona inglese nel contesto della formazione della federazione malaysiana. La dinastia regnante di Sulu si è opposta alla decisione inglese, lamentando l’assenza di veri referendum consultativi nel Nord Borneo e reclamando la propria sovranità sull’area. Le Filippine hanno appoggiato la richiesta del Sultanato, dando vita ad una disputa territoriale che non è mai sfociata però in aperto conflitto.

Il governo filippino si trova, così, stretto in una triplice morsa: il rischio di ripercussioni dell’esito del conflitto sulle prossime elezioni; la presenza di una comunità filippina in Malaysia; la pressione del MNLF, gruppo separatista probabilmente coinvolto nei fatti di Lahad Datu. Benigno Aquino ha timore di un possibile calo nei consensi nelle elezioni di maggio, legato alla cattiva gestione dei fatti di Sabah. La presenza di una forte comunità filippina, tra cui molti immigrati irregolari, nel Borneo e nel resto della Malaysia ha spinto il governo di Manila a mantenere un atteggiamento cauto nonostante la sua opposizione alla conduzione malaysiana delle operazioni militari a Lahad Datu: il rischio di rimpatri forzati di cittadini filippini presenti in Malaysia poteva costituire un grave fattore di destabilizzazione.

Ultimo e forse principale fattore di tensione, è la possibile risposta dei gruppi separatisti islamici presenti nelle Filippine. Nonostante le smentite dei portavoce del gruppo, si sospetta che molti dei guerriglieri dell’”Esercito Reale di Sulu” possano essere ex-combattenti del Moro National Liberation Front (MNLF), organizzazione islamica armata attiva nelle Filippine dalla fine degli anni Sessanta. Il MNLF si batte per l’indipendenza dell’area di Mindanao-Sulu, dove si concentra grande parte della minoranza musulmana presente nelle Filippine, come del resto fa il Moro Islamic Liberation Front (MILF), altro gruppo separatista islamico (molto più numeroso), nato da una scissione interna al MNLF.

Le trattative tra il governo filippino ed esponenti del MILF , svolte sotto la mediazione del governo malaysiano e culminate nell’accordo di ottobre 2012 per la formazione di una regione semi-autonoma (il Bangsamoro) nell’area di Mindanao, potrebbero aver spinto gli esponenti del MNLF a riprendere le armi al fianco dei miliziani di Sulu per rappresaglia nei confronti dell’esclusione del loro gruppo dal tavolo delle trattative. Il MNLF, infatti, siglò un accordo con il governo filippino nel 1996, ottenendo però meno concessioni di quelle fatte successivamente al MILF.

Da parte malaysiana, la scelta di Kuala Lumpur di rispondere con decisione all’occupazione territoriale da parte degli uomini di Sulu è il risultato delle tensioni politiche nel Paese alla vigilia delle elezioni. Per la prima volta la coalizione Barisan Nasional (BN), da sempre al governo in Malaysia, sembra in svantaggio nei sondaggi per le prossime elezioni generali: un successo del fronte d’opposizione Pakatan Rakyat, che sta guadagnando consensi attraverso la richiesta di maggior trasparenza e minore corruzione, potrebbe dar vita a un cambiamento storico. L’attacco all’”Esercito Reale di Sulu” potrebbe essere stato spinto dal desiderio del Governo di trasformare la vicenda in un evento di stampo nazionalista per galvanizzare l’elettorato, ribadendo l’illegittimità delle richieste del Sultanato e mostrando durezza nei confronti delle Filippine. Molti in Malaysia ritengono Manila coinvolta nelle continue incursioni di gruppi armati nel loro territorio nazionale.

Gli eventi di Lahad Datu hanno, quindi, messo a nudo la permanente ostilità tra due nazioni in forte crescita, che dalla reciproca collaborazione economica hanno tratto un importante vantaggio. Difficilmente tali asperità potranno sfociare in una vera e propria rottura, ma l’utilizzo da parte dei governi di tali occasioni di conflitto per portare avanti in maniera velata antiche rivendicazioni territoriali può diventare una ragione di destabilizzazione regionale.

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