La Seconda Conferenza di Berlino punta a progredire nella stabilizzazione della Libia, ma con pochi segnali di convergenza tra le parti
Medio Oriente e Nord Africa

La Seconda Conferenza di Berlino punta a progredire nella stabilizzazione della Libia, ma con pochi segnali di convergenza tra le parti

Di Angela Ziccardi
21.06.2021

Mercoledì 23 giugno si terrà la seconda Conferenza di Berlino, appuntamento internazionale che riunisce per la seconda volta i principali attori coinvolti nella crisi in Libia. L’incontro, convocato su invito del Ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas e del Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, vedrà il coinvolgimento di 17 Paesi insieme a Unione Africana, Unione Europea, Nazioni Unite e Lega Araba, per portare avanti il processo di stabilizzazione e transizione libica inaugurato con la prima conferenza del gennaio 2020. Nonostante diversi progressi siano stati raggiunti, seppur con estrema fatica – le ostilità maggiori sono state interrotte, il cessate il fuoco rimane in vigore, il blocco del petrolio è stato revocato, così come è stata istituita un’autorità esecutiva provvisoria e il Governo di Unità Nazionale (GNU) è stato approvato dalla Camera dei Rappresentanti di Tobruk –, le parti coinvolte si fanno portatrici di visioni e soluzioni poco convergenti, che rendono difficile ipotizzare il raggiungimento della stabilità del Paese, almeno nel breve periodo.

Stando a quanto incluso in una bozza della dichiarazione finale che - come sottolineato in esclusiva da Agenzia Nova - dovrebbe essere adottata a seguito della conferenza, al momento i punti salienti che verranno affrontati durante l’incontro sembrerebbero essere due: 1) l’immediato ritiro dei mercenari stranieri dalla Libia; 2) un forte incoraggiamento e supporto alle autorità del Paese affinché rendano possibili le elezioni presidenziali e parlamentari il prossimo 24 dicembre. Tuttavia, anche in caso di ritiro di miliziani esterni, le istituzioni di Tripoli si ritrovano ancora a dover fare i conti con le iniziative del Generale Khalifa Haftar, che sta implementando misure di polizia e controterrorismo nell’area meridionale del Fezzan contro coloro che non riconoscono la sua autorità, alimentando le instabilità e compromettendo il ripristino del controllo del governo centrale sull’intero territorio nazionale. Senza dimenticare che, al momento, non è da escludere il rischio che lo stesso Primo Ministro ad interim Abdullamid Dbeibah possa continuare a mantenere la carica anche dopo le elezioni di dicembre, ulteriore elemento di incertezza che impedisce di consolidare l’apparato istituzionale del Paese. Così come non è da escludere che il risultato che emergerà dalle urne – sempre che si registrino le condizioni minime di sicurezza per poter andare al voto – venga riconosciuto e accettato da tutte le componenti libiche.

Al contempo, le tensioni degli attori sul piano domestico e la mancanza di unità rendono maggiormente complesso il rilancio dell’economia nazionale, altro aspetto di rilevanza cruciale che verrà affrontato durante la conferenza e sul quale gli attori libici stanno cercando di muoversi su più fronti. Difatti, per recuperare i 450 miliardi di dollari stimati come necessari per ricostruire la Libia, Dbeibah sta cercando supporto e cooperazione da diversi Paesi, i quali si fanno però portatori di visioni e interessi diversi, nonché spesso ambivalenti. Tra questi sicuramente spiccano Turchia e Russia, Paesi direttamente coinvolti nello scorso conflitto e che sperano ora di conservare la propria sfera di influenza sul territorio libico – rispettivamente nelle aree portuali in Tripolitania per la Turchia e in diverse postazioni della Cirenaica, tra cui al-Jufra e Sirte, per la Russia – contribuendo alla rinascita infrastrutturale del Paese. In concomitanza, anche l’Egitto è interessato ad inserirsi nel processo di ricostruzione, sperando di sfruttare la prossimità geografica con la Libia per permettere ad una buona fetta della propria forza lavoro di prendere parte alla ricostruzione, così da apportare vantaggi all’economia nazionale, ma anche per garantire una sorta di zona cuscinetto ai confini. Soprattutto, anche l’Italia mira ad un forte coinvolgimento nel rilancio economico libico, puntando ad approfittare dei suoi vantaggi in termini di know-how tecnologico ed industriale rispetto agli altri Paesi per mettere in cantiere grandi investimenti, come la ricostruzione dell’aeroporto internazionale di Tripoli o della litoranea Bengasi-Tripoli, autostrada di 1.750 km che dovrebbe collegare la parte est del Paese alla parte ovest. Motivi che hanno spinto il governo italiano ad invitare il capo del Consiglio Presidenziale Mohamed Menfi per una visita ufficiale il 22 giugno, alla vigilia della conferenza di Berlino, a Roma, dove sarà ricevuto dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e dal Presidente del Consiglio, Mario Draghi.

Tale volontà delle potenze esterne di conservare o rinforzare la propria influenza sul suolo libico potrebbe dunque rivelarsi un’arma a doppio taglio, complicando il raggiungimento degli obiettivi prefissati a Berlino proprio a causa dei fini geostrategici che ogni potenza mira a raggiungere, rendendo i paesi teoricamente “facilitatori” di una soluzione negoziale causa di un ipotetico rallentamento di quest’ultima.

Di conseguenza, nonostante vi siano stati dei progressi dalla Prima Conferenza di Berlino ad oggi, non è detto che il nuovo incontro del 23 giugno possa apportare dei considerevoli passi in avanti nel processo di stabilizzazione libico. Le forti divergenze sul piano interno e le diverse aspirazioni dei Paesi partner nel conservare la propria sfera di influenza sul territorio potrebbero far sì che i dialoghi tra le parti non portino a soluzioni durature, lasciando fumoso l’obiettivo prioritario di far convolare il Paese alle elezioni di dicembre.

Articoli simili