Artico: il ghiaccio si scioglie, la Russia si scalda, Putin si sfrega le mani
L’Artico si scioglie. I cambiamenti climatici stanno accelerando la scomparsa dei ghiacci e del permafrost al Polo Nord. I movimenti ambientalisti, come quello guidato da Greta Thunberg, si disperano; mentre altri – meno idealisti e più pragmatici – sono pronti a spaccare una bottiglia di champagne sul fianco di una nuova nave. Il Presidente cinese Xi Jinping anela, da mesi, una Nuova via della seta ‘polare’, mentre il Presidente russo Vladimir Putin tiene gli occhi ben puntati sulle acque artiche, ricche di risorse naturali e di idrocarburi.
Quando la maggior parte degli italiani saranno in spiaggia con un ghiacciolo sciolto tra le mani, i russi saranno in mezzo alle acque del Mar Glaciale Artico – molto più fredde delle acque mediterranee, ma sicuramente molto più rigonfie di profitto. Mosca, infatti, ha organizzato una spedizione esplorativa tra agosto e settembre per confermare l’esistenza di «sei o sette isole» emerse dai ghiacci sciolti, rivela ad Izvestiail Capo del Dipartimento dei Servizi Idrografici, Alexej Kornis.
Nell’operazione saranno impegnati gli idrografi della Flotta del Nord della Marina militare russa. Alexej Kornis riferisce che si tratta di isole appartenenti all’arcipelago della Novaja Zemlja: una zona abitata da 2.716 persone che ha sopportato 130 test nucleari sovietici tra il 1954 e il 1960 – sopravvivendo anche alla madre di tutte le bombe, la Bomba Zar da 50 megatoni.
“La Russia si spinge così a nord per ragioni di carattere economico e militare”, ci spiega Marco Di Liddo, analista del CESI (Centro Studi Internazionali) per il Desk ‘Russia e Balcani’. “L’Interesse economico russo riguarda lo sfruttamento delle risorse ittiche ed idrocarburiche. Attualmente, gli studi stimano che sotto l’Artico si nasconda il 20-25 per cento delle risorse idrocarburiche inesplorate a livello planetario: questo fattore rappresenta, sicuramente, un’importante incentivo per un Paese che basa la sua economia sulla produzione e l’esportazione di gas e petrolio”.
Altro aspetto da non sottovalutare, secondo Di Liddo, è “la possibilità che nell’Artico siano presenti giacimenti di terre rare”, metalli che fanno gola (e paura) sia agli Stati Uniti che all’UE. “La nuova geopolitica russa ha nella ricerca di terre rare una componente di primo piano: nonostante la Russia sia ricca di risorse naturali, è priva di alcune terre rare che sono indispensabili per lo sviluppo tecnologico”. Il Cremlino si sta già muovendo per accedere “ai giacimenti africani di terre rare, e potrà cercarle anche in quei territori che rivendica – come alcune isole dell’Artico – e per i quali dovrà battagliare in sede internazionale”.
Mosca salpa con le sue navi alla volta dell’Artico, e di certo non passa inosservata. La Cina è, forse, la potenza più preoccupata: infatti la regione artica interessa molto a Pechino per l’apertura di una Nuova via della seta polare, che potrebbe ridurre la distanza tra l’Europa e l’Asia fino al 40% rispetto al percorso lungo il Canale di Suez – grazie, soprattutto, allo scioglimento anomalo e massiccio dei ghiacci.
Con la creazione di questa Nuova via della seta polare, secondo Di Liddo, la Russia potrebbe “aumentare la propria influenza grazie alla sua proiezione costiera sul Mar Glaciale Artico e sulla stessa tratta euro-cinese. Le infrastrutture portuali russe – che devono ancora essere costruite – potrebbero arricchirsi grazie alla tratta commerciale tra Pechino e Bruxelles”.
La comunità scientifica prevede il completo scioglimento dei ghiacci artici in un anno tra il 2030 e il 2040, ma non dobbiamo proiettarci così lontano nel tempo. Infatti, già adesso, “l’assottigliamento dei ghiacci permette investimenti in navi rompighiaccio per scortare il naviglio commerciale, che altrimenti non potrebbe solcare le acque ghiacciate”, ragiona Di Liddo.
Dal punto di vista militare, invece, “controllare l’Artico vuol dire avere vantaggi nell’osservare i movimenti dell’avversario americano. Le distanze tra le coste russe e quelle americane – ma anche canadesi – sono assai ridotte nel Mar Glaciale Artico”, ci spiega Di Liddo. La Russia, poi, vede un altro vantaggio di forte rilievo, ovvero un posizionamento strategico “sulla calotta artica e nel Mar Glaciale artico per ottenere un accesso privilegiato al controllo dei sistemi satellitari”.
Insomma, l’aspetto commerciale (economico) e quello militare vanno di pari passo. Di Liddo ci conferma che “non ci sarebbe bisogno di un dispiegamento militare se non ci fossero interessi economici da parte di Mosca”. La Russia, però, deve stare attenta: “la sua crescita economica quasi nulla, dovuta alle sanzioni europee e ad un prezzo basso del greggio, non permette investimenti massicci”. Il Presidente Putin, allora, deve investire in modo selettivo: “Mosca non ha risorse infinite, pur avendo comunque deciso di essere presente su più piani: quello europeo, quello africano e quello asiatico”.
“Mosca non è Pechino”, continua Di Liddo, “di certo, non può permettersi di mobilitare miliardi di dollari per investire in infrastrutture e nello sviluppo portuale artico con numeri e ritmi da capogiro”, come dal resto ci ha abituati Xi Jinping. Infatti, al momento, gli investimenti di Mosca riguardano maggiormente “il comparto navale per il varo di nuove unità rompighiaccio – e non la costruzione di nuovi porti o di nuove basi militari – nel tentativo di rinnovare e rendere operative le strutture di memoria sovietica ancora esistenti”.
Le rivendicazioni russe, come spiega Lucio Tirinnanzi su Babilon, sono una mina vagante nel diritto internazionale: la sovrapposizione dei disegni di Norvegia, Danimarca, Stati Uniti, Russia, Islanda e Russia possono seriamente dare inizio ad una Guerra glaciale (invece che ‘fredda’). La regione non è regolata da nessun accordo tra gli Stati che si affacciano sull’Artico – a differenza di quanto capita dall’altra parte del mondo, in Antartide. Tutte le dispute e le rivendicazioni passano, quindi, per l’UNCLUS (Convenzione ONU sul Diritto del Mare), datata 1982.
UNCLUS prevede che i Paesi della costa possono rivendicare legittimamente il proprio diritto di sfruttamento sui giacimenti marini entro la zona economica esclusiva, a patto che riescano a dimostrare che i fondali artici sono il prolungamento della loro piattaforma continentale. Ciò significa che se la terra emersa del proprio Stato continua sott’acqua per un certo numero di kilometri, l’acqua soprastante sarà ‘di proprietà’ dello Stato costiero.
Questi calcoli, però, spesso si sovrappongono a grattacapi politici e diplomatici: Canada e Stati Uniti discutono sulla delimitazione della piattaforma continentale nel Mare di Beaufort, ad esempio, mentre la Danimarca è prontA a chiedere all’ONU di estendere la propria zona economica esclusiva all’Arcipelago della Severnaya Zemlya, in modo da avvicinarsi al Polo Nord.
Eppure, lo scontro più forte e catastrofico potrebbe arrivare dall’incontro di Pechino e Mosca tra le acque gelide del nord. “I russi considerano l’Artico allo stesso modo in cui i romani consideravano il Mediterraneo, ovvero come ‘mare nostrum’. Quindi, un’ingerenza o una presenza eccessiva di una potenza ingombrante come la Cina non è vista di buon occhio dai russi nella regione artica”. Infatti, spiega Di Liddo, Russia e Cina hanno due idee diametralmente opposte sullo sfruttamento della regione artica: “mentre la Russia, in quanto Paese rivierasco, tende ad una nazionalizzazione di quello che rivendica come proprio legittimo territorio; la Cina, invece, è per un’internazionalizzazione totale dell’Artico e, quindi, per uno sfruttamento di tipo globale da parte di tutti i Paesi”.
L’analista del CESI, però, lascia una piccola porta aperta per una stretta di mano tra Pechino e Mosca: “possono convergere nel momento in cui, a livello bilaterale, trovano un accordo per forniture energetiche e di terre rare ad un prezzo di favore. Allora, in quel caso, la Cina potrebbe sostenere le mire russe”, ma Di Liddo tiene a ricordare che questa affermazione rimane una speculazione sul futuro. Anche perché la Cina, in questo momento, vive “un momento di grande influenza e prestigio a livello globale grazie ai suoi strumenti politici, militari ed economici. La sua influenza sta aumentando anche nelle sedi internazionali come ha dimostrato la recente nominadi Qu Dongyu alla guida della FAO”. Bisognerà, quindi, aspettare ancora un po’ per tracciare meglio i rapporti di forza e le mire nel Mar Glaciale Artico.
Fonte: l’Indro