La crisi finanziaria e politica continua a minare la stabilità del Libano
Medio Oriente e Nord Africa

La crisi finanziaria e politica continua a minare la stabilità del Libano

Di Federica Sandy Curcio
23.02.2023

Il 13 febbraio, alcune potenze occidentali e regionali - nella fattispecie il gruppo di lavoro e assistenza per il Libano che vede coinvolti Stati Uniti, Francia, Arabia Saudita, Qatar ed Egitto - hanno dichiarato, a margine di un incontro a Beirut con il Primo Ministro ad interim Najib Mikati, che riconsidereranno i loro legami con il Paese se il Parlamento non provvederà all’elezione del Presidente della Repubblica in un lasso temporale di breve periodo.

La dichiarazione avviene sulla scia del summit di Parigi del 6 febbraio organizzato dalla Francia nel tentativo di porre fine allo stallo politico, sociale ed economico del Paese dei Cedri. Le questioni all’ordine del giorno del vertice includevano l’elezione del Capo di Stato, il rimpasto di Governo e l’elaborazione di un piano economico per salvare il Libano dal collasso finanziario.

L’incontro di Beirut è avvenuto mentre il Paese si trova ad affrontare la crisi sistemica più devastante e multidimensionale della sua storia. Tutto ha avuto inizio nell’ottobre 2019 con il crack finanziario del Banque du Liban, ma la crisi ha conosciuto uno sviluppo ulteriore con l’affacciarsi dell’epidemia di COVID-19 e dall’esplosione del porto di Beirut nell’agosto 2020 - che ha provocato inoltre tutto uno strascico di problemi politici a diversi livelli. La Banca Mondiale ha classificato la crisi libanese tra le peggiori crisi globali del diciannovesimo secolo: il PIL nominale è crollato di 30 miliardi di dollari tra il 2019 ed il 2021, mentre il PIL pro capite è diminuito del 50% nello stesso periodo. Ad aggravare la situazione interna libanese, poi, c’è lo stallo istituzionale provocato dall’assenza di un governo nel pieno dei suoi poteri e dalla mancata elezione del nuovo Presidente della Repubblica da parte del Parlamento. Il seggio è infatti vacante dal 30 settembre, ossia dalla fine del mandato di Michel Aoun, Capo dello Stato dal 2016 al 2022 e la cui elezione era pure avvenuta dopo quasi due anni e mezzo di mancati accordi politici tra le varie forze parlamentari.

In tale contesto, un vuoto presidenziale prolungato presenta un costo elevato in termini di vulnerabilità e credibilità, soprattutto in relazione alla fiducia necessaria per sbloccare gli aiuti internazionali, vincolati nella maggior parte dei casi dall’implementazione di riforme strutturali. Secondo il rapporto Aid Tracking Lebanon delle Nazioni Unite nel 2022 al Libano sono state assegnate sovvenzioni dal valore complessivo di 995 milioni di dollari, erogate in gran parte dagli gli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Anche la Francia ha fatto la sua parte: Parigi oltre ad aver stanziato 9 milioni di dollari in sovvenzioni, ha erogato anche 155 milioni di dollari sotto forma di prestiti. Per quanto riguarda gli accordi stipulati con le istituzioni finanziarie, emblematico è quello raggiunto lo scorso marzo con il Fondo Monetario Internazionale che prevede un piano da 3 miliardi di dollari per sostenere la ripresa economica ma è condizionato dall’attuazione di riforme volte a ricostruire l’economia, ripristinare la sostenibilità finanziaria, rafforzare la governance e la trasparenza, ed aumentare la spesa sociale. Già lo scorso anno, la Banca mondiale aveva approvato un prestito di 246 milioni di dollari per un programma triennale destinato a fornire assistenza alle famiglie libanesi vulnerabili.

Lo scenario libanese, quindi, sembra destinato a deteriorarsi sulla scia della partita politica per l’elezione del nuovo Capo di Stato. L’ennesimo stallo potrebbe infatti allungare i tempi sulla ricezione di nuovi aiuti internazionali e, di conseguenza, diminuire le capacità di ripresa del Paese che rischia il fallimento definitivo, con conseguenze enormi sul piano domestico e potenziali impatti sulla stabilità dell’intera regione MENA.

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