In Myanmar i manifestanti proclamano la rivoluzione 5-2
Asia e Pacifico

In Myanmar i manifestanti proclamano la rivoluzione 5-2

Di Leonardo Palma
22.02.2021

Le proteste in Myanmar contro il colpo di Stato sono proseguite nel corso dell’ultima settimana e sono culminate in uno sciopero generale proclamato dal movimento di disobbedienza civile lunedì 22 febbraio. La massiccia mobilitazione popolare si è unita sotto le insegne dei numeri 22222 (22 febbraio 2021), un chiaro riferimento simbolico alle rivolte dell’8 agosto 1988 (divenute in seguito famose come 8888) contro il Partito del Programma Socialista. La generazione ’88, quella che partecipò in prima persona alle dimostrazioni contro la dittatura, è divenuta il modello della disobbedienza civile odierna, che, come allora, vede una partecipazione trasversale a diverse componenti della società birmana.  La manifestazione di massa è stato il risultato dell’inasprimento delle violenze compiute dalle Forze dell’ordine negli ultimi giorni per cercare di sedare le proteste, in seguito alle quale sono rimaste uccise quattro persone.

L’adesione massiva allo sciopero generale e la nuova narrativa della rivoluzione 5-2 sembrano destinate a trasformare gli eventi degli ultimi giorni in un nuovo passaggio cruciale della storia del Paese, il cui esito potrebbe essere definito dall’evoluzione  del movimento di disobbedienza e dal rapporto di forza con il Tatmadaw. Infatti, da un lato, dopo il successo dello sciopero generale, gli studenti e le generazioni più giovani oggi in piazza potrebbero cercare di richiamare l’esempio delle piazze di Hong-Kong e della Thailandia, nel tentativo di strutturare la protesta e dar vita ad una resistenza civile maggiormente organizzata.

D’altro canto, l’Esercito potrebbe decidere di incrementare ulteriormente l’uso della forza per scongiurare una nuova evoluzione delle manifestazioni, sedare le proteste e cercare di creare le condizioni necessarie per assicurarsi la governabilità del Paese. In questo, un ruolo decisivo potrebbe giocarlo anche la reazione della piazza alla sorte che il governo golpista riserverà ad Aung San Suu Kyi, costretta agli arresti domiciliari dall’inizio del colpo di Stato. Accusata di aver violato i protocolli anti-Covid per la preparazione delle elezioni di novembre,  la leader della National League for Democracy (NDL) è ad oggi sotto processo e potrebbe essere nuovamente esclusa dalla vita politica del Paese. Proprio l’arresto di Suu Kyi e l’annullamento del voto che aveva visto la vittoria di larghissima misura della NDL sono stati i principali motivi che hanno spinto i manifestanti a scendere in strada contro il golpe. Inoltre, i dimostranti temono che, esclusa dai giochi la leader dell’NLD, i militari potrebbero sospendere lo Stato di emergenza e passare ad una “fase civile” che sancirebbe la definitiva affermazione del regime.

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