Le esigenze strategiche del ritorno della Marina russa nel Mediterraneo
Middle East & North Africa

Le esigenze strategiche del ritorno della Marina russa nel Mediterraneo

By Pietro Lucania
04.28.2013

Alcune settimane fa il Ministro della Difesa russo Sergeij Shoygu ha ufficialmente comunicato la decisione di istituire una task force della Marina che presenzierà stabilmente nel Mediterraneo allo scopo di garantire la tutela degli interessi russi nella regione. Per portare avanti tale decisione la Federazione Russa dovrà produrre uno sforzo economico notevole, ma ricompreso in una politica di modernizzazione che porterà la Marina russa, entro il 2020, a ricevere 50 navi da guerra di moderna concezione e 20 sottomarini, alcuni dei quali dotati di missili balistici intercontinentali. Le spese previste si aggirano sui 4,5 trilioni di rubli (pari a più di 100 miliardi di dollari) che oltre a dare un nuovo assetto alla Forza Armata, contribuiranno ad un rilancio dell’industria navale e del settore delle tecnologie informatiche ad esso collegato.

Nonostante le perplessità dei vertici militari, basate sulla consapevolezza della condizione non del tutto soddisfacente dello stato attuale della Forza Armata e dell’industria navale, la notizia ha dato un notevole slancio ai progetti già in cantiere, primo fra tutti quello di dotarsi di nuove portaerei con sistemi integrati di comando e controllo all’avanguardia, in grado di affiancare l’unità “Ammiraglio Kuznetsov”. I nuovi incrociatori portaerei in progettazione, verranno dotati di propulsione nucleare, potranno includere circa 80 velivoli e saranno inoltre equipaggiati con strumentazioni avanzate.

La presenza russa nel Mediterraneo non è un fatto nuovo. Infatti, dal 1967 al 1992 l’Unione Sovietica aveva mantenuto il suo Quinto Squadrone Mediterraneo (5-я Средиземноморская эскадра кораблей ВМФ in russo; Fifth Eskadra in inglese), appositamente dislocato per contrastare la 6ª Flotta degli Stati Uniti; in quel periodo di massimo impegno, soprattutto a causa della guerra fredda, lo squadrone poteva contare su numerose unità navali ed un numero variabile di navi ausiliarie. Costituito a Sebastopoli (in Crimea) nel 1967 fu senza dubbio la formazione che più differiva dal modello organizzativo standard della Marina sovietica. del periodo post-bellico. Nella struttura erano comprese sei task-force: la Task-Force 50 (che includeva la nave ammiraglia Zhdanov e relative unità di scorta); la Task-Force 51 (composta da 6/8 sottomarini); la Task-Force 52 (unità dotate di missili); la Task-Force 53 (unità anti-som); la Task-Force 54 (navi da sbarco); la Task-Force 55 (navi scorta).

In relazione alle diverse fasi che caratterizzarono la Guerra Fredda, il numero di unità navali variava, così come l’armamento (ivi compresi i missili da crociera), raggiungendo nel suo momento probabilmente più critico, la crisi del 1973, un potenziale di circa 100 navi. Un tale dispiegamento, contribuiva a garantire la libertà di accesso al canale di Suez e la protezione degli interessi economici sia sovietici sia dei Paesi “amici” del Nord Africa e del Medio Oriente. Per il supporto logistico, la Marina sovietica poteva contare sui porti di Tartus e Latakia in Siria e Port Said in Egitto, nonché su diversi ancoraggi operativi in zone quali Hammamet, Sollum, Lemnos, Kithira. La strategia era molto chiara: disporre di una flotta con compiti di sorveglianza della 6^ Flotta (attraverso il controllo e il pedinamento delle navi, l’individuazione di sottomarini USA dotati di missili balistici) e interdizione della stessa (attraverso l’interruzione del controllo marittimo USA). Le trasformazioni geopolitiche successive e la fine dell’URSS ne determinarono lo smobilitazione nel dicembre del 1992.

Per quanto concerne la nuova task-force, al momento non sono emerse notizie sufficienti circa l’effettivo numero di navi da impiegare: fonti non confermate del Ministero della Difesa indicano circa dieci navi da guerra ed alcune unità ausiliarie provenienti dalle flotte esistenti, mentre secondo altre fonti vicine al Comandante in Capo della Marina, Viktor Chirkov, si tratterebbe di una formazione più compatta, formata da cinque o sei navi da guerra (incrociatori e fregate dovrebbero costituire in nucleo centrale della flotta: a essi si affiancheranno dei sottomarini e delle navi ausiliarie).

Nessuna conferma, dunque, sulle unità che potrebbero farne parte e questo perché vi sono ancora molti dubbi circa la capacità di rispettare i tempi di ristrutturazione della Forza Armata: permangono molte incertezze sul termine dei lavori di riadattamento della INS Vikramaditya (ex portaerei indiana), mentre l’entrata in servizio dei sottomarini di quarta generazione (progetti “Borej” e “Yasen”) potrebbe non coincidere con la tempistica annunciata.

È probabile, inoltre, che il centro di coordinamento operativo per la nuova formazione possa momentaneamente essere ricompreso all’interno del Comando della flotta del Mar Nero, mentre le basi d’appoggio (e quindi anche i punti di rifornimento) potrebbero essere individuate in aree quali Cipro, Montenegro, Grecia e Siria. Per quanto riguarda i primi tre Paesi, eventuali accordi per la concessione di una base potrebbero essere legati ad accordi finanziari o energetici, mentre nel caso della Siria il destino della base di Tartus dipende dagli sviluppi della crisi siriana e da quale saranno gli equilibri che emergeranno dalla guerra civile.

Un test importante al progetto in esame è stato sicuramente fornito dall’esercitazione condotta nello scorso mese di gennaio nel Mar Nero e nel Mediterraneo. Questa esercitazione ha visto la partecipazione congiunta della flotta del Nord, del Baltico, del Mar Nero e dell’Oceano Pacifico: un’interessante attività di coordinamento dimostrata dalle squadre navali, partite dai porti di Severomorsk, Baltijsk, Sebastopoli e Vladivostok, che si sono date appuntamento al largo di Tartus, scenario non casuale anche per l’esplosiva situazione di instabilità siriana.

Proprio per questo, inizialmente, l’esercitazione è stata presentata ai media con le finalità di salvaguardia di cittadini russi residenti in Siria, ivi compresa l’eventuale evacuazione degli stessi, anche se nello svolgimento successivo era stato previsto lo sbarco di unità di fanteria di marina e di truppe d’assalto, con evidente diversificazione degli scenari di addestramento. Molte le unità navali impegnate: gli incrociatori Moskva; i cacciatorpedinieri Marshal Shaposhnikov e Severomorsk; le navi guardacoste Yaroslav Mudryj e Smetlivyj; le sei grandi navi da sbarco Kaliningrad, Novocherkassk, Aleksandr Shabalin, Saratov, Nikolai Filchenkov e Azov; due sottomarini e numerose navi ausiliarie, che hanno dato vita ad una vasta gamma di operazioni navali con un apprezzato coordinamento aereo navale.

La base navale di Tartus (città a circa 25 km a nord dal confine tra Siria e Libano), pur non essendo di grandi dimensioni, riveste una notevole importanza nell’attuale strategia russa. Costruita nel 1971, la base è stata originariamente concepita come centro di approvvigionamento e manutenzione della flotta sovietica e, per questo, dotata di due bacini galleggianti, un laboratorio di riparazione, uno di stoccaggio e altre strutture di alloggio per il personale destinato. Attualmente viene utilizzata sia sotto il profilo commerciale, per attività di smistamento merci e da petroliere in transito, sia sotto il profilo prettamente militare come hub logistico per forniture di mezzi ed equipaggiamento e come Navy Sustainment Center. Non disponendo di una adeguata struttura per le riparazioni, tale funzione viene svolta dall’unità navale PM-138 spesso presente in zona.

Quanto sia importante per i russi questa base è facilmente desumibile dalle dichiarazioni esternate nell’estate del 2012 dal generale Leonid Grigoryevich Ivashov, presidente dell’Accademia Russa di problemi geopolitici, il quale ha affermato che occorre procedere con un’attività di modernizzazione della struttura per assicurare una funzionalità all’altezza di una base tradizionale; i progetti includono lavori di dragaggio del porto e di ampliamento delle infrastrutture anche per consentire l’approdo di navi portaerei al momento impossibilitate all’attracco.

La presenza russa nel Mediterraneo, in questo momento, è giustificata ed orientata alla protezione degli interessi in Siria e dall’indispensabile supporto alle attività anti-pirateria nel Golfo di Aden. Tuttavia, nell’immediato futuro, la Marina potrebbe essere chiamata ad una funzione di tutela dei nuovi interessi del Cremlino nel “Mare Nostrum”. In quest’ottica, il posizionamento a Tartus continua a rivestire un’importanza strategica notevole per Mosca.

Oltre alla Siria, la presenza militare russa nel Mediterraneo è funzionale alla tutela degli interessi del Cremlino a Cipro. Alcuni di essi riguardano lo sfruttamento del gas naturale cipriota: il giacimento “Aphrodite”, scoperto circa due anni fa, al largo dell’isola, potrebbe contenere una quantità di gas stimata tra i 140 e i 230 miliardi di metri cubi; nel momento in cui erano partite le gare per le licenze esplorative, le prime assegnazioni erano andate a alla francese Total, all’italiana ENI ed alla coreana Kogas, altre ad un consorzio composto da Novatek, Total F&P Activities e Gazprombank.

Di enorme importanza sono inoltre considerate le trattative esclusive condotte con Israele per l’acquisto di gas naturale liquefatto dal sito di Tamar, le cui riserve stimate ammontano a circa 260 miliardi di metri cubi di gas. Si tratta di un sito gestito da un consorzio, denominato “consorzio Tamar”, attualmente formato dalla statunitense Noble Energy Mediterranean e dalle israeliane Delek Drilling, Avner Oil Exploration, Isramco Negev-2 e Dor Gas.

Su tali basi si inserisce un accordo tra Gazprom e Levant GNL Marketing Corporation, nel settore del GNL: la grande importanza strategica che attualmente viene attribuita al sito, sta nel fatto che la notevole quantità di risorse potrebbe soddisfare le esigenze di mercato europeo al fine di diminuire la dipendenza delle forniture di gas russo. Proprio per questa ragione i russi intendono poter co-gestire questo sito estendendo la propria egemonia energetica anche in questa regione.

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