Camerun: la rivolta dimenticata dell’Ambazonia
Africa

Camerun: la rivolta dimenticata dell’Ambazonia

Di Giulia Lillo
26.06.2018

Il 1 ottobre 2017, il Southern Cameroon National Council (SCNC), movimento separatista anglofono della regione sud-occidentale del Camerun, l’Ambazonia, ha simbolicamente dichiarato la sua indipendenza dal governo centrale camerunense, proprio nel giorno in cui si celebrava l’anniversario dell’indipendenza dell’allora Camerun inglese da Londra e l’unificazione con l’ex colonia francese. Tale gesto è il risultato finale di rivendicazioni originate dalla decisione della Società delle Nazioni dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, quando il Camerun, che apparteneva alla sconfitta Germania, fu diviso tra i vincitori francesi e inglesi. In realtà, i territori sotto mandato britannico furono divisi in due regioni, il Camerun del Nord e il Camerun del Sud. Con la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’avvio del processo di decolonizzazione, ai due territori sotto amministrazione britannica fu offerta la possibilità di essere annessi dalla Nigeria o dal Camerun. Una terza opzione relativa alla possibile indipendenza fu osteggiata dal Regno Unito. In questo modo, il Camerun del Nord fu annesso alla Nigeria mentre il Camerun del Sud, di lingua inglese, fu annesso all’ex Camerun Francese, nel 1961, un anno dopo la sua indipendenza da Parigi. La mancata possibilità di divenire uno Stato indipendente e la marginalizzazione subita all’interno del Camerun hanno rappresentato le ragioni alla base delle rivendicazioni dell’Ambazonia.

Dopo la simbolica dichiarazione della nascita della Repubblica Federale di Ambazonia, evento che a gennaio 2018 ha determinato l’arresto del leader del SCNC Julius Ayuk Tabe e di altri 46 esponenti del movimento, i separatisti hanno lanciato una campagna di guerriglia volta all’ottenimento della piena indipendenza nei confronti delle autorità centrali di Yaoundé, annunciata dal nuovo leader Sako Ikome Samuel, che si è dichiarato Presidente Ad Interim e ha annunciato l’istituzione di milizie di autodifesa.

Dunque, le iniziali proteste pacifiche iniziate nel 2016, con la richiesta di una maggiore inclusione delle regioni di lingua inglese nei processi decisionali delle autorità centrali camerunensi, si sono trasformate in una vera e propria insurrezione secessionista, in parte in risposta alla politiche repressive del governo. Infatti, anziché proporre tavoli negoziali e discutere le problematiche politiche in maniera pacifica, le istituzioni camerunensi hanno utilizzato il pugno di ferro, equiparando il SCNC ad una organizzazione terroristica. In risposta alla durezza di Yaoundé, gli anglofoni camerunensi  hanno radicalizzato le proprie istanze, proclamato la Repubblica Federale di Ambazonia, e avviato la campagna di guerriglia. A nulla è servita l’invocazione al Presidente camerunense Paul Bayaper un ritorno almeno alla Costituzione Federale del 1961 – 1984, proposta rigettata senza alcuna esitazione.

Nel portare avanti la propria agenda indipendentista, la regione ha citato i presunti fallimenti da parte del governo centrale, accusato di non aver mai implementato politiche di decentramento amministrativo, di non aver mai garantito adeguata rappresentanza alla popolazione anglofona nelle istituzioni e di aver costruito un sistema di potere corrotto e autoreferenziale. Gli anglofoni hanno sempre accusato il governo di Yaoundé di discriminazione nell’accesso agli impieghi pubblici, costringendoli ad adottare la lingua francese in tutti gli atti ufficiali e nei luoghi di lavoro, nonostante anche l’inglese sia una delle lingue ufficiali del Paese.

Tuttavia, le rivendicazioni della comunità anglofona hanno anche una forte dimensione economica. Infatti, i cittadini dell’Ambazonia chiedono una più equa ripartizione dei proventi dell’industria petrolifera, a cominciare dai giacimenti della penisola di Bakassi. I separatisti ritengono che la rendita ottenuta sia destinata integralmente alle casse del governo centrale e che la popolazione anglofona non benefici nemmeno in minima parte di quei guadagni.

Alla campagna di guerriglia da parte dei separatisti dell’Ambazonia, Yaoundé ha risposto con misure ancor più dure che in passato, quali forti restrizioni alle libertà civili e drastiche violazioni dei diritti umani, arresti ingiustificati di attivisti politici, giornalisti e ricercatori, divieto di manifestazioni di piazza e incendi di interi villaggi. La repressione nei confronti dei ribelli è anche stata il pretesto per l’applicazione della legislazione anti-terrorista, utilizzata dalle autorità per arrestare e minacciare i ribelli e creare un clima di terrore, poiché permette di trattenere indefinitamente coloro che sono accusati di “terrorismo” e di condannarli a pene che arrivano fino a quella capitale. La crescente influenza dei separatisti rappresenta una delle minacce più gravi per la stabilità del Paese governato da ben 35 anni dal Presidente Biya, soprattutto in vista delle elezioni presidenziali previste per il prossimo ottobre. L’assenza di un ricambio al potere per più di tre decenni ha accentuato il carattere autoritario dello Stato, i fallimenti della governance, l’assenza di legittimità delle élite locali, le tensioni sociali e anche quelle generazionali.

La Comunità Internazionale si è mostrata sinora riluttante nel prendere misure forti che avrebbero potuto mettere sotto pressione il presidente Biya; nonostante l’Unione Europea, gli Stati Uniti e Amnesty International si siano espressi contro le violenze in Camerun, l’Unione Africana si è astenuta dall’intervenire nella crisi in corso nel Paese.

Tuttavia, l’eventuale aggravarsi della situazione interna potrebbe portare a due opzioni d’intervento, ossia l’applicazione di sanzioni nei confronti del governo centrale oppure la sospensione dall’Unione Africana. L’attenzione sulla gravità della situazione del Paese è stata ultimamente accentuata anche dalle dichiarazioni rilasciate dall’ambasciatore statunitense in Camerun, Peter Henry Barlerin, che ha aspramente denunciato gli omicidi mirati da parte delle Forze Armate governative e altri abusi nella lotta contro gli attivisti della regione anglofona del Paese.

Infine, sotto il profilo internazionale, l’incalzare della rivolta potrebbe acuire le rivendicazioni indipendentiste dell’intera regione, andando a creare una sorta di “effetto domino” che coinvolgerebbe movimenti separatisti limitrofi, quali i gruppi nigeriani del Niger Delta Avengers o dell’Indigenous People of Biafra, gli indipendentisti della regione del Casamance in Senegal o i separatisti angolani di Cabinda.

Il raggiungimento di una soluzione sostenibile potrebbe trovare attuazione se il governo iniziasse a dare maggior rilievo alle richieste e alle lamentele della popolazione anglofona del Paese. Il decentramento sarebbe lo strumento più efficace, considerando anche il fatto che è stabilito nella nuova costituzione del 1996 ma non è mai stato realmente attuato. La legge stabilisce che la minoranza anglofona dovrebbe gestire autonomamente le proprie finanze ed essere responsabile dei servizi pubblici locali, ma questi testi giuridici non sono rispettati nella pratica.

Considerando la critica situazione del Paese, che vede da una parte la forte avversione del governo di Yaoundé nel concedere la tanto reclamata indipendenza alla popolazione dell’Ambazonia e dall’altra una tenace insistenza da parte dei ribelli anglofoni nel rivendicare i propri diritti, lo scenario interno camerunense non può non destare preoccupazione sull’aggravarsi della crisi e sulla sua evoluzione in una guerra civile su larga scala. Al momento nessuno si è proposto come mediatore o facilitatore di un dialogo, ma certamente l’intervento dell’ECOWAS (Economic Community of West African States) o dell’Unione Africana ridurrebbe i rischi di un ulteriore peggioramento delle violenze nelle aree anglofone.

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