Una nuova escalation nel Delta del Niger
Africa

Una nuova escalation nel Delta del Niger

Di Marco Di Liddo
13.07.2016

Negli ultimi 5 mesi la vasta regione meridionale nigeriana del Delta del Niger è tornata ad essere teatro di un rinnovato attivismo da parte di formazioni paramilitari di estrazione etnico-tribale. Nello specifico, a partire dal 10 febbraio del 2016, data dell’attacco al connettore gasifero di Bonny Soku, si è assistito ad un massiccio incremento dei sabotaggi e degli attentati alle infrastrutture energetiche della regione, in maggioranza controllate, gestite e manutenute da compagnie straniere. Dall’inizio dell’anno ad oggi si sono registrati ben 14 attacchi, di cui 11 nel solo bimestre maggio-giugno. Tra questi, i più significativi hanno completamente distrutto o compromesso la funzionalità di importanti arterie idrocarburiche nigeriane necessarie al trasporto di gas e petrolio nei siti di stoccaggio. Nel dettaglio, il 19 febbraio è stata fatta esplodere la pipeline Clough Creek Tebidaba Agip nello Stato Federale di Bayelsa, il 4 maggio è stata danneggiata la Chevron Valve Platform di Abiteye, il 31 maggio sono stati attaccati i pozzi di petrolio 23 e 24 di Dibi, entrambi della Chevron. Infine, tra l’1 e il 3 giugno una serie di attacchi coordinati ha neutralizzato diversi oleodotti e gasdotti negli Stati Federali di Bayelsa e Delta. Gli effetti di queste azioni sono stati devastanti, in quanto hanno costretto la Chevron ad interrompere qualsiasi attività estrattiva e commerciale per una settimana e hanno fatto calare la produzione petrolifera nigeriana di circa 600.000 barili al giorno, da 2,2 a 1,6 milioni, minimo storico degli ultimi 20 anni. L’impatto sull’economia di Abuja, dipendente al 70% dalle esportazioni di greggio, è quantificabile in perdite per oltre 28 milioni di dollari giornalieri e in una contrazione dello 0,36% del PIL. Quest’ultimo dato appare preoccupante se si considerano i tassi medi di crescita del Paese, oscillanti intorno al 6% nell’ultimo quinquennio.

A rivendicare gli attacchi contro il comparto petrolifero nigeriano è stato il gruppo Niger Delta Avengers (NDA, “Vendicatori del Delta del Niger”). Nato ufficialmente nel gennaio 2016, l’NDA rappresenta l’ennesima manifestazione eversiva della lotta indipendentista delle popolazioni che abitano gli Stati Federali del Sud del Paese (Abia, Akwa Ibom, Bayelsa, Cross River, Delta, Edo, Imo, Ondo, Rivers), ricchissimi di quelle risorse energetiche indispensabili alla sopravvivenza economica della Nigeria. Infatti, il gruppo è composto prevalentemente da miliziani di etnia Ijaw (10% della popolazione nigeriana) e, in misura minore, di etnia Igbo (17 %) e di etnia Ogoni (0,86%, pari a 1,5 milioni di persone). Si tratta di gruppi emarginati all’interno di un panorama istituzionale dominato dagli Hausa-Fulani (musulmani, 28% della popolazione) e dagli Yoruba (cristiani, 21%).

La conflittualità nei rapporti tra le diverse etnie nigeriane affonda le proprie radici nell’artificiale genesi coloniale dello Stato, sorto a causa della spartizione anglo-francese dei possedimenti lungo il corso del fiume Niger, e nella conseguente convivenza forzata tra popoli precedentemente organizzati in regni autonomi. La lotta per l’autodeterminazione delle comunità Igbo e Ijaw è iniziata con la sanguinosa guerra del Biafra (1967-1970), proseguita con la mobilitazione del Movimento per la Sopravvivenza del Popolo Ogoni (MSPO) negli anni ‘80 e ‘90 e riaccesasi con la campagna terroristica e del Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger (MEND) tra il 2004 e il 2009. Sotto l’ombrello ideologico dell’indipendenza politica e dell’identità etnica, la ribellione delle regioni meridionali ha assunto una matrice economica. Infatti, il malcontento derivante dalla mancanza di adeguata rappresentatività democratica risulta acuito dallo sfruttamento a cui sono sottoposte queste regioni, dove l’industria petrolifera ha devastato l’ambiente naturale, compromettendo le attività ittiche e agricole alla base del sostentamento delle comunità locali. Inoltre, i popoli del Delta del Niger lamentano la mancanza di investimenti nazionali e di una equa redistribuzione degli introiti derivanti dalla vendita di gas e petrolio.

Al di là delle problematiche sistemiche, sussistono altri fattori all’origine della ripresa dell’insurrezione dei popoli del Delta del Niger. Innanzitutto, il taglio del 70% nel budget del Programma di Amnistia e Reintegrazione (PAR). L’accordo, siglato dall’allora Presidente Goodluck Jonathan (Igbo, originario del Bayelsa), aveva sancito la pace tra il Governo centrale e il MEND che, in cambio della cessazione degli attacchi e della smobilitazione, avrebbe ricevuto sostanziosi conguagli in denaro per i leader, e posti di lavoro per i miliziani. Con il crollo del prezzo del petrolio e l’ascesa alla presidenza di Mohamed Buhari (musulmano del Nord), attento alle esigenze dei gruppi settentrionali, il PAR è stato ridimensionato, eliminando i benefici offerti alle popolazioni settentrionali e innescando la nuova ribellione. Inoltre, l’autoritarismo dimostrato dalle istituzioni verso i movimenti per la difesa dei diritti delle comunità locali ha contribuito alla radicalizzazione delle agende indipendentiste di Igbo, Ijaw e Ogoni. L’NDA ha usufruito di questo clima di rinnovata tensione, riuscendo a reclutare non solo nuovi miliziani, ma anche ex-combattenti del MEND in rotta con le vecchie leadership o esclusi dai benefici del PAR. A prova di questa continuità e di questi rapporti tra le 2 generazioni di insorti sono sia il numero di combattenti (circa 700-800 unità), sia il bagaglio capacitivo. Infatti, il livello di sofisticazione e il numero degli attentati, l’utilizzo scientifico della propaganda, dei social network e del sistema di welfare informale denotano il possesso di un notevole bacino di reclutamento nonché di un know how acquisito attraverso l’esperienza di vecchi combattenti, poiché impossibile da raggiungere in pochi mesi di attività.

Al momento non sussistono informazioni né sulla leadership né sulla struttura del gruppo, anche se è lecito sospettare che questa ricalchi quella del MEND, ossia una rete a maglie larghe con grande autonomia operativa concessa alle singole brigate. Una simile organizzazione rispecchierebbe la complessità e la frammentazione clanica all’interno delle etnie Ijaw e Igbo, formate da centinaia di tribù territorializzate e gelose della propria autonomia. Inoltre, la nascita dell’NDA ha gettato pesanti ombre sui possibili fiancheggiatori e finanziatori del gruppo appartenenti al mondo politico. Infatti, esiste la possibilità che alcune influenti personalità del sud del Paese, tra le quali gli Oba (monarchi tribali) o i membri del gabinetto presidenziale di Goodluck Jonathan (il cugino Robert Azibola e Waripamowei Dudafa), abbiano patrocinato la nascita dell’NDA per destabilizzare il Paese e mettere in difficoltà Buhari. Tale dinamica ricorda, per alcuni aspetti, la nascita di Boko Haram, inizialmente sostenuto e finanziato dai governatori del Nord per colpire la presidenza cristiana e “meridionalista” di Jonathan.

Nel prossimo futuro, l’NDA potrebbe rappresentare una minaccia alla stabilità nigeriana ed alla tenuta della sua economia. Anche se al momento gli attacchi sono rivolti contro infrastrutture critiche, nei prossimi mesi il movimento potrebbe espandere la propria attività verso il rapimento di cittadini occidentali, sia a scopo di estorsione che come atto dimostrativo. Allo stesso modo, non è da escludere la possibilità di un avvicinamento tra l’NDA e le bande di pirati attivi nel Golfo di Guinea. Infatti, entrambe le realtà condividono l’origine tribale, il network di conoscenze ed affiliazioni sviluppato ai tempi del MEND nonché le radici economico-politiche. Per tale ragione, non è da escludere un’alleanza tra NDA e pirati sia per scopi di lucro legati al business dei rapimenti, sia per dimostrazioni di carattere propagandistico e politico.

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