La questione saharawi dopo la morte di Mohamed Abdelaziz
Africa

La questione saharawi dopo la morte di Mohamed Abdelaziz

Di Giulia Conci
26.07.2016

Martedì 31 maggio, Mohammad Abdelaziz, Segretario Generale del Fronte Polisario (Frente Popular para la Liberaciòn de Sagua el Hamra y Rio de Oro), movimento per l’indipendenza del Sahara Occidentale, è morto in un ospedale algerino in seguito a una lunga malattia.

Originario di Marrakech, nel 1973 diventò co-fondatore assieme a Mustafa Sayed el-Ouali dell’organizzazione per l’autodeterminazione del popolo saharawi e per la sua liberazione dal giogo spagnolo e del Marocco. Quest’ultimo, seguito il ritiro di Madrid (1975), decise di occupare unilateralmente il Sahara Occidentale, regione ricca di fosfati e giacimenti d’idrocarburi. Nel febbraio 1976, il Fronte Polisario non accettò l’occupazione e proclamò la nascita della Repubblica Araba Democratica dei Saharawi con capitale Bir Lahlou e Abdelaziz Presidente. Grazie al supporto offerto dall’Algeria, il Fronte Polisario ottenne il permesso d’insediarsi nell’aerea attorno alla città di Tindouf.

In seguito alla morte di Abdelaziz, il Fronte Polisario ha decretato 40 giorni di lutto in attesa della nomina di un nuovo leader, mentre Khatri Abdouh, attuale capo del Consiglio Nazionale Saharawi, è stato scelto come Presidente ad interim. La nomina di un successore pone alcuni dubbi sulla futura agenda del movimento: se si avvicinerà maggiormente a quella radicale di Abdelaziz, che negli ultimi mesi aveva assunto posizioni poco inclini al negoziato con Rabat e aveva addirittura annunciato il possibile rilancio dell’offensiva armata o se, viceversa, prediligerà cercare una base di dialogo per intavolare nuove trattative con le autorità marocchine.

In ogni caso, la futura leadership dovrà fare i conti con il disagio delle giovani generazioni, soprattutto dei nati e cresciuti nei campi di Tindouf, molto critiche verso la linea politica e l’establishment di potere del Fronte Polisario. Infatti, impossibilitati nel riconoscersi nelle strutture, nell’ideologia e nell’agenda del movimento, i giovani potrebbero essere sedotti dalla retorica e dalla propaganda eversiva delle organizzazioni salafite o jihadiste, con in testa al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) e lo Stato Islamico (IS o Daesh). Infatti, i gruppi jihadisti attivi nel Maghreb sfruttano il diffuso sentimento di frustrazione dei giovani saharawi, proponendosi ad essi come una concreta alternativa per migliorare le proprie condizioni di via e sostenere le proprie battaglie politiche.

A questo proposito, lo scorso maggio, l’autoproclamato emiro dello Stato Islamico nel Grande Sahara, Adnan Walid al-Saharawi, ha annunciato una imminente campagna di attentati contro le autorità e il popolo marocchini. Al-Sahrawi, nel recente passato, è stato uno dei principali comandanti di al-Mourabitoun (Le Sentinelle), organizzazione jihadista nata nell’agosto 2013 dalla fusione di elementi del Movimento per l’Unicità e il Jihad in Africa Occidentale (MUJAO), di cui al-Sahrawi era fondatore, e della Brigata dei Mascherati di Mokhtar Belmokhtar. Al di là delle attuali funzioni di al-Sahrawi, da almeno un decennio centinaia di giovani saharawi hanno deciso di arruolarsi nelle tante sigle terroristiche attive nella regione del Sahel, elemento che potrebbe generare una nuova ondata di instabilità nel prossimo futuro nel caso in cui questi miliziani decidessero di rientrare in patria e scatenare una rivolta anti-marocchina.

La morte del segretario-generale Abdelaziz e la conseguente paralisi del Fronte impegnato nella scelta della nuova leadership sembrano poter peggiorare lo stallo dei negoziati con il Marocco. Le trattative tra il Fronte Polisario e il governo marocchino proseguono dall’aprile 1991, quando il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 690 decretando l’avvio dell’operazione MINURSO (Mission des Nations Unies pour l’Organisation d’un Référendum au Sahara Occidental).

La missione, oltre ad avere il compito di monitorare il cessate il fuoco raggiunto nel 1991, cerca di promuovere la realizzazione del referendum per soddisfare il diritto all’autodeterminazione del popolo saharawi e scegliere tra l’indipendenza del Sahara Occidentale e l’integrazione con il Marocco. Data la mancata indizione del referendum, il mandato di MINURSO è stato continuamente prorogato negli anni, l’ultima volta il 29 aprile 2016, con l’adozione da parte del Consiglio di Sicurezza della risoluzione 2285 in cui è stato rinnovato fino ad aprile 2017.

Tuttavia, il Consiglio di Sicurezza ha riconosciuto l’impossibilità della missione di poter adempiere ai propri compiti a causa del ritiro del personale civile marocchino.

Infatti, in seguito a due dichiarazioni del Segretario Generale Ban Ki-moon si è aperta una severa crisi diplomatica tra il Palazzo di Vetro e Rabat. Infatti, lo scorso Il 5 marzo, in occasione della visita ai campi profughi saharawi nell’area di Tindouf, il Segretario Generale ha prima domandato l’indizione di un censimento della popolazione saharawi e poi ha utilizzato l’espressione “occupazione” per definire la presenza del Marocco nel Sahara Occidentale. Le dichiarazioni sono state intese dal governo marocchino come un attacco diretto alla propria sovranità e hanno portato, come forma di rappresaglia, al ritiro dei 73 rappresentanti marocchini nell’operazione MINURSO, compromettendone la piena funzionalità.

Inoltre, il mancato riferimento all’obbligatorietà di ricorso al referendum come unica soluzione politica (ris.1754 del 2007) alla controversia, una postilla che apparentemente potrebbe ridurre il ventaglio di opportunità a disposizione del Fronte Polisario, spingendo i saharawi ad abbracciare forme di mobilitazione violenta.

Nel frattempo, il Marocco continua a proporre un complesso compromesso per il Sahara Occidentale. Infatti, il governo Marocchino ha proposto una soluzione alternativa che prevede la negoziazione di uno statuto d’autonomia che include l’esclusività in materia esecutiva, legislativa e giudiziaria e una sensibile autonomia nei settori economico, sociale e culturale.

Incalzato dalla minaccia jihadista e schiacciato dalla durezza delle posizioni marocchine, appare possibile che il futuro leader del Fronte Polisario, per contenere il malcontento delle giovani generazioni saharawi, possa mantenere la linea radicale adottata da Abdelaziz negli ultimi mesi. La speranza per la leadership saharawi, o il rischio per la stabilità dell’area, è che una retorica aggressiva o atti violenti possano aumentare l’appreal del Fronte Polisario e rafforzare la scarsa legittimità dell’attuale leadership.

Infatti a due settimane dal rinnovo di MINURSO (aprile 2016), Abdelaziz aveva inviato una lettera al Segretario Generale ONU in cui minacciava la ripresa di scontri armati, legittimati come misura di emancipazione per popoli assoggettati a regime coloniale, per ribadire la necessità imprescindibile del ricorso al referendum (con la scelta tra indipendenza, autonomia e integrazione) come unica soluzione accettabile al conflitto.

Ciò che sembra possa influenzare maggiormente il futuro dei negoziati, oltre alla linea che verrà adottata dal nuovo leader del Fronte Polisario, è anche il futuro del sistema politico algerino e l’elezione del nuovo Presidente. Infatti, non bisogna mai dimenticare che una grossa fetta delle fortune del Fronte Polisario dipendono dal sostegno di Algeri.

Date le precarie condizioni di salute dell’attuale Capo dello Stato Abdelaziz Bouteflika e l’altrettanto precaria tenuta del sistema di potere nazionale, sussiste il rischio che la questione del Sahara Occidentale e la conflittualità con il Marocco possano essere utilizzate come valvole di sfogo in caso di crisi interna.