Riconciliazione o fallimento: la Libia al bivio
Medio Oriente e Nord Africa

Riconciliazione o fallimento: la Libia al bivio

Di Francesco Tosato, Marco Di Liddo e Stefania Azzolina
24.02.2016

Con l’aggravarsi della guerra civile libica, l’atrofizzazione del negoziato tra i due parlamenti di Tripoli e Tobruk e il sempre più intenso dibattito sulla possibilità di una missione di stabilizzazione da parte della Comunità Internazionale, si è rafforzata la necessità di comprendere quali siano le forze profonde che caratterizzano l’attuale scenario del Paese e quali eventuali evoluzioni queste possano subire nell’immediato futuro.
Il presente lavoro intende analizzare le radici della complessità politica libica, offrire una chiave di lettura degli suoi prossimi sviluppi, indagare la natura delle minacce alla sicurezza e alla stabilità nazionale e, infine, suggerire degli spunti di riflessione e delle raccomandazioni di policy per la definizione di una efficace exit strategy.

Nell’anniversario dei 5 anni della Rivoluzione del 17 febbraio e della destituzione di Muammar Gheddafi, la popolazione libica deve confrontarsi con un panorama politico, sociale, economico e di sicurezza precario, volatile e fallimentare. La Libia odierna è un Paese frammentato, in balia di un profondo conflitto politico tra due attori, il parlamento islamista di Tripoli e quello “laico” di Tobruk, privi di estesa e credibile legittimità popolare, incapaci di esercitare una qualsivoglia forma di potere reale sul territorio, vessati da pericolose frizioni interne e poco inclini a trovare il tanto auspicato compromesso per la formazione del Governo di Unità Nazionale (GUN).

In particolare, nella ricerca forzata di un’intesa tra le due assemblee, le Nazioni Unite hanno talvolta dimostrato una pericolosa cecità politica, apparentemente sovrastimando sia la capacità dei parlamentari libici di mettere da parte le rispettive acredini e la spinta alla lottizzazione dei Ministeri strategici sia l’impatto effettivo dell’eventuale sottoscrizione dell’accordo. Al di là della necessità di avere un esecutivo di larghe intese che soddisfi il requisito giuridico internazionale e quello politico formale del riconoscimento, elemento imprescindibile per l’avvio di un’azione globale più incisiva e diretta per la stabilizzazione del Paese, il Palazzo di Vetro sembra aver ignorato le reali dinamiche politiche libiche. Infatti, anche qualora si giungesse all’accordo per la formazione del GUN, esiste la possibilità che quest’ultimo e il resto della Comunità Internazionale che lo sostiene debbano confrontarsi con la resilienza di tutte le forze ad esso contrarie. Partendo dal presupposto che sia Tripoli sia Tobruk guidano sistemi di alleanze fragili e cangianti e non dispongono di una forza militare direttamente alle proprie dipendenze, è lecito aspettarsi la nutrita resistenza di tutti quelli attori politici nazionali contrari a subire i nuovi equilibri stabiliti a tavolino dai rappresentanti delle sue assemblee.

In sintesi, la formazione del GUN rischia di essere una vittoria di Pirro per Tripoli, Tobruk e per le Nazioni Unite, una sorta di mero passaggio procedurale che lascia insolute tutte le problematiche che oggi affliggono il Paese.

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