Il ritorno dei militari in Myanmar
Asia e Pacifico

Il ritorno dei militari in Myanmar

Di Leonardo Palma
31.01.2021

Nella notte di domenica in Myanmar, l’Esercito, su ordini del Capo di Stato Maggiore, Generale Min Aung Hlaing, ha attuato un preannunciato colpo di Stato e dichiarato lo stato di emergenza per un anno. In seguito all’annuncio, sono stati arrestati esponenti di spicco del governo, tra cui Aung San Suu Kyi e il Presidente U Win Myint, insieme a Ministri, politici di opposizione, giornalisti e il Paese è stato isolato dall’esterno oscurando la rete internet e sospendendo i voli internazionali. Il golpe è maturato in seguito alle accuse di brogli elettorali mosse dall’establishment militare nei confronti del partito NLD (National League for Democracy) che, nelle ultime consultazioni, avrebbe ottenuto l’83% dei seggi disponibili in parlamento.

Il Myanmar è così tornato sotto il controllo di una giunta militare dopo un esperimento di “quasi-democrazia” che durava dal 2011. In effetti, il potere delle Forze Armate del Paese non è mai stato messo in discussione poiché l’attuale impianto costituzionale prevede una quota fissa di seggi parlamentari (25%) e ministeri (Interno, Difesa, Esteri) che, di diritto, vengono assegnati ai militari.

Il rapporto tra leadership democratica e Tatmadaw, dunque principalmente tra Aung San Suu Kyi e i suoi interlocutori militari, è stato finora impostato all’insegna di un algido pragmatismo. Le difficoltà che la stessa Suu Kyi ha dovuto affrontare per impostare ed avviare il dialogo di riconciliazione con i gruppi di insorgenza su base etnica, arrivato ad un punto di stallo negli ultimi anni, è stato l’esempio principale di questo difficile bipolarismo. La gestione dei rapporti con le minoranze etniche, infatti, rimane la priorità cardine dell’agenda delle Forze Armate.

Il colpo di Stato militare rischia di far cadere il Myanmar in una nuova stagione di isolamento internazionale. In un momento in cui il Paese si apprestava ad osservare la formazione del secondo governo frutto di elezioni dagli Anni ’60, la scelta dei vertici del Tatmadaw di fare una passo avanti potrebbe essere motivata da ragioni di potere e di equilibri all’interno delle stesse Forze Armate. Il Generale Min Aung Hlaing, infatti, avrebbe dovuto lasciare la propria carica l’estate prossima precarizzando così la sua rete personale di potere, un complesso network di conglomerati commerciali legati alla sua famiglia ed ai suoi uomini più fidati. Il prolungamento dell’emergenza nazionale permetterebbe invece al Generale di restare in sella e di provare a guardare ai vicini regionali per trovare poi un sostegno esterno, consapevole del ruolo che il Paese ha assunto nella competizione tra Cina e India all’interno dell’Oceano Indiano.

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